Il “Codice di condotta”: come fermare i soccorsi in mare. Le proteste da Amnesty alla Cei

Non è una novità, ma un’ossessione ricorrente che dura da sei anni: come contrastare l’attività delle navi delle Ong nel Mediterraneo per salvare i migranti. Il “Codice di condotta” (anche se così l’hanno chiamato i giornalisti) è nel primo decreto dell’anno approvato dal Consiglio dei ministri. Contro questa “trappola normativa” si sono schierate le associazioni umanitarie, da Amnesty a Medici senza frontiere fino a Emergency. Ma anche il mondo cattolico, a cominciare dai vescovi
L’articolo di FABIO MORABITO
DI CODICE DI CONDOTTA per le Ong (Organizzazioni non governative) che fanno operazioni di soccorso in mare, se ne parla dal 2017, quando primo ministro era Paolo Gentiloni. La proposta italiana, presentata nel luglio di quell’anno in una riunione informale del Consiglio europeo di giustizia e affari interni, prevedeva già allora una serie di regole che avrebbero voluto mantenere le Ong lontane dalle coste libiche. Con molti di quei punti-chiave che ora sono presenti nel decreto approvato dall’attuale Consiglio dei ministri, tra cui anche il divieto di trasbordo di naufraghi da una nave di soccorso all’altra.
Poi nel 2017 si rinunciò alla stretta, forse anche per le proteste delle organizzazioni umanitarie come Amnesty International. Ma l’idea — frutto di una costante diffidenza verso le Ong — non è stata mai accantonata. Ora, con il nuovo decreto del governo Meloni (il primo del 2023) si vuole dare nuove limitazioni alle disposizioni approvate nel 2020 con il decreto Lamorgese. Vengono aggiunti nuovi requisiti, estendendo la responsabilità, oltre che al comandante, all’armatore e alla compagnia di navigazione. E prevedendo multe salate, ma anche il sequestro dell’imbarcazione. Dalla fine del 2022 — ricorda Amnesty International — il governo italiano ha iniziato a dare istruzioni alle navi delle Ong di sbarcare le persone nei porti del Centro e del Nord Italia. «Nello stesso periodo — sottolinea Amnesty — le navi della Guardia costiera e della Guardia di finanza hanno continuato a ricevere istruzioni per lo sbarco in Sicilia e Calabria. Pertanto, la nuova prassi sembrerebbe applicarsi solo alle navi delle Ong».
Il 16 gennaio scorso, in occasione dell’audizione presso le Commissioni riunite Affari costituzionali e Trasporti, alla Camera dei deputati, Amnesty ha presentato un documento dichiarando le sue «profonde preoccupazioni» per la nuova stretta all’attività delle Ong. Il nuovo decreto prevede infatti ulteriori limitazioni a quelle già in vigore da tre anni con il Decreto Lamorgese. Critico anche il mondo cattolico, e la Cei, Conferenza episcopale italiana. L’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, parla di decreto «costruito sul nulla» che «cadrà presto». E osserva «La prima considerazione da fare è se siano le Ong il problema della sicurezza dell’Italia o se invece sono proprio le Ong che salvano persone».
Sconcerta la norma che impone l’immediata partenza verso il porto di assegnazione, che va raggiunto tempestivamente, e che impedirebbe di effettuare nuove operazioni di soccorso. Rileva Amnesty: «L’obbligo di procedere allo sbarco immediatamente dopo ogni operazione di salvataggio combinato con la previsione di luoghi sicuri che si trovano a diversi giorni di navigazione dalla posizione in cui è stato effettuato il salvataggio, hanno come risultato quello di costringere le navi di soccorso — con a bordo persone già in situazione di vulnerabilità — a trascorrere una parte significativa del loro tempo nei trasferimenti, piuttosto che nelle aree del Mediterraneo centrale dove è statisticamente più probabile che avvengano naufragi». «L’allontanamento forzato delle navi di soccorso delle Ong — denuncia ancora Amnesty — aumenta significativamente il rischio di perdita di vite umane in mare». © RIPRODUZIONE RISERVATA