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Il 2022 che sarà. Il governo Draghi apre al mercato e privatizza acqua, trasporti e rifiuti

di Italia Libera   
Il 2022 che sarà. Il governo Draghi apre al mercato  e privatizza acqua, trasporti e rifiuti

L’acqua pubblica finirà nelle mani dei privati, un bene primario trasformato in “merce”. La stessa sorte toccherà ai servizi pubblici, senza eccezione alcuna: la gestione degli acquedotti, dei trasporti urbani, della raccolta dei rifiuti, dei centri di assistenza ai cittadini e qualsiasi altro servizio pubblico economicamente rilevante potrà essere trasferito ai privati. Un attacco all’autonomia dei Comuni, per mantenere la gestione in house dovranno giustificarsi con procedure farraginose multinazionali pronte all’acquisto, proteste dei movimenti ambientalisti. l Forum per i movimenti in difesa dell’acqua ricorda che «era il 5 agosto 2011 quando l’allora governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, insieme al presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, scrisse una lettera al presidente del Consiglio Berlusconi, in cui indicava come necessarie e ineludibili le privatizzazioni su larga scala, con particolare riferimento ai servizi pubblici locali»

L’analisi di ANNA MARIA SERSALE
PER I COMUNI è un “attacco” alla loro sovranità, diventando meri esecutori della propria spoliazione, privati della loro autonomia, perderebbero risorse e le funzioni di garanzia nei confronti dei cittadini. Una cosa che non ha precedenti. È quanto prevede l’art. 6 del Ddl sulla concorrenza, approvato a fine anno dal Consiglio dei ministri, in piena sintonia con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e condizione necessaria per ricevere i fondi Next Generation Eu. Il testo andrà presto in Parlamento, per la conversione in legge. Ma considerando che gli atti del governo Draghi arrivano in aula praticamente “blindati” non sarà facile cambiare rotta, anche se i sindaci di mezza Italia si preparano a contestare la norma che li spoglia delle loro prerogative.

La logica dell’intero disegno di legge è quella di aprire le porte al mercato. Una logica che ispira le scelte politiche del premier, che alla privatizzazione dei servizi pensava già da lungo tempo. Il Forum per i movimenti in difesa dell’acqua ricorda che «era il 5 agosto 2011 quando l’allora governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, insieme al presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, scrisse una lettera al presidente del Consiglio Berlusconi, in cui indicava come necessarie e ineludibili le privatizzazioni su larga scala, con particolare riferimento ai servizi pubblici locali». Esattamente quello che sta accadendo ora, con la corsa alle privatizzazioni, con l’obiettivo di affidare ai privati anche i beni comuni primari (come l’acqua) e tutti i servizi pubblici (compresi quelli essenziali).

Ma vediamo nel dettaglio che cosa accade. Qualora il testo diventi legge i Comuni che intendano mantenere in house i propri servizi dovranno “giustificare” il mancato ricorso al mercato, che nei fatti è considerato una “anomalia”. Inoltre dovranno dimostrare anticipatamente e periodicamente il perché della scelta, sottoponendosi al giudizio dell’Antitrust; infine dovranno prevedere un complicato sistema di monitoraggio dei costi. Ma se i Comuni saranno costretti a fare i conti con procedure farraginose i gestori privati, viceversa, saranno soltanto chiamati a presentare una relazione annuale sulla qualità dei servizi e sulle somme investite. Non solo. A vantaggio dei privati sono anche previsti incentivi per favorire le aggregazioni di gruppi, sul modello delle grandi società multiservizi quotate in borsa, che potranno essere anche di solo capitale privato.

Tutto questo è nei programmi del governo anche se il ricorso alla gestione privata il più delle volte si è dimostrato fallimentare, soprattutto nei servizi idrici: pessime gestioni, zero investimenti, scarsa manutenzione, controlli insufficienti e ingenti perdite di rete compensate con tariffe alle stelle. Tutto questo mentre il Pianeta soffre una crisi idrica senza precedenti, una crisi che sembra lasciare indifferente anche Bruxelles, dal momento che continua a emanare direttive che considerano l’acqua un “bene economico”, da immettere sul mercato e quotare in borsa, come già avvenuto negli Usa decenni fa. Dunque, l’entrata dei mercati nel mondo dei servizi pubblici e lo sviluppo di beni in regime di concorrenza sono il cuore del Ddl governativo. Si parte dall’acqua, poi si passerà a tutto il resto.

I Movimenti in difesa dell’acqua attaccano il provvedimento, passato in nome di una falsa idea di efficientismo, fortemente voluto dalle lobby finanziarie: «È pessimo – dicono – spoglia il settore pubblico di tutto e gli vieta di gestire qualsiasi cosa, anche i monopoli che naturalmente gli appartengono. Agli Enti resta il compito di stabilire le regole e fare i controlli, anche se la realtà ha dimostrato che questo meccanismo è più costoso, non funziona e può portare a disastri». Sottolineano inoltre che è scandaloso il fatto che nel Pnrr si stanzino una marea di soldi non per investire nel rifacimento e nella manutenzione delle reti colabrodo che disperdono il 42% dell’acqua in distribuzione (dato Istat) ma per finanziare la privatizzazione del sistema idrico. In sostanza, spenderemo soldi per rimettere a posto gli impianti da affidare ai privati, mentre alcune multinazionali francesi (e non solo) sono pronte a fare “acquisti”, in alcune aree del Nord e del Centro Italia.

«L’Anci non ha ancora preso posizione ufficiale, ma sappiamo – afferma Emilio Molinari, uno dei fondatori del Forum nazionale dei movimenti per la tutela dell’acqua pubblica – che anche i sindaci di destra si stanno ribellando e anche loro chiedono l’eliminazione dell’art. 6. Quella norma che mercifica l’acqua va contro lo spirito della Costituzione e potrebbe sottrarre ai Comuni non solo la gestione ma anche la proprietà delle condotte. Aprire alle speculazioni porterà all’emarginazione di territori e popolazioni, il servizio pubblico e partecipativo è un modello irrinunciabile».

Il dibattito pubblico è pressoché inesistente, ma contro la corsa alle privatizzazioni del governo Draghi si sono schierate tutte le Associazioni ambientaliste e i Movimenti di tutela dell’acqua pubblica, che chiedono la cancellazione dell’art.6. “Fermiamoli prima che sia troppo tardi”, “No alle nuove privatizzazioni”, “Stop al Ddl concorrenza”, queste le parole d’ordine che circolano, gridate a Milano in piazza della Borsa e in altre città, tra cui Napoli e Palermo. Gli attivisti si sono dati appuntamento nei sit-in, ai quali hanno preso parte Agorà, Cevi, Movimento blu, Emmaus, Laudato sii, Forum italiano dei movimenti per l’acqua, Monastero del bene comune e altri gruppi. A Napoli la Carovana dell’acqua ha attraversato il centro storico per dire <no> alle speculazioni e difendere la nuova organizzazione di gestione totalmente pubblica dell’acqua, con bilanci in attivo.

Nel mirino delle associazioni e dei sindaci il famigerato art. 6. «Servizi pubblici essenziali normalmente gestiti dai Comuni diventeranno strumenti di competizione sul mercato – osserva Mario Agostinelli, presidente della Laudato sii – Ma di quale giustizia sociale e miglioramento della qualità dei servizi pubblici parliamo? Il governo vuole privatizzare e questo è un attacco ai diritti dei cittadini e delle amministrazioni locali che perdono risorse». In tema di acqua ai privati ci sono illustri precedenti. Si erano adoperati per la privatizzazione anche il ministro per le politiche comunitarie Andrea Ronchi nel 2009 (durante il quarto governo Berlusconi) inserendo la norma all’interno di una riforma dei servizi pubblici; e in tempi più recenti Matteo Renzi, con il decreto Sblocca Italia.

Quello che impressiona da noi ora è il silenzio che circonda fatti così gravi anche dopo che il governo il 15 dicembre scorso, con un emendamento a tarda sera, ha reso ancora più stringenti le norme: sotto esame i criteri della gestione pubblica, se giudicati non adeguati il servizio Idrico confluirà “nella gestione unica” individuata dall’Ente di Governo che provvederà all’affidamento a una società ad azionariato privato. Il governo nell’emendamento ha anche dettato una scadenza: tutto dovrà essere fatto entro il primo luglio 2022. Una analoga norma era presente nel recente decreto Semplificazioni, ma dopo le proteste di molti sindaci era sparita. Con il colpo di mano dell’emendamento notturno la norma è stata infilata nel Ddl concorrenza e approvata al volo nel silenzio generale.

Il saccheggio dei beni pubblici e la privatizzazione dell’acqua nel mondo globalizzato tocca anche altri Paesi. Contro il neoliberismo imperante ci sono state manifestazioni anche a Bruxelles e a Parigi. Da noi il Ddl viene duramente contestato anche perché (come è accaduto in passato con governi di vario colore) ignora la volontà popolare, calpestando il referendum nazionale del giugno 2011 quando ventisei milioni di italiani sono andati alle urne per difendere l’acqua pubblica come bene comune, pronunciandosi per la cancellazione delle norme che consentivano la privatizzazione del servizio idrico e chiedendo il ripristino generalizzato della gestione pubblica. Da allora nulla è stato fatto. Anche la legge di iniziativa popolare, accompagnata da 400.000 firme, che prescriveva l’affidamento del servizio idrico a enti di diritto pubblico giace in Parlamento da dieci anni. Né i governi, né il Parlamento, né le Regioni hanno legiferato per dare attuazione alla volontà dei cittadini: acqua pubblica gestita da enti pubblici. Quanto all’attuale governo, appare chiaro che Draghi procede sulla linea del libero mercato, anche se la pandemia ha dimostrato che il mercato non basta a regolare la vita della gente e a garantire l’uguaglianza di tutti rispetto ai bisogni primari.

Intanto, la situazione politica contingente dà più tempo alle Associazioni per mobilitarsi contro le privatizzazioni. Il Ddl concorrenza prevede che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge dovrà essere fatto un decreto di riordino dei servizi pubblici, una sorta di testo unico, ma il Parlamento sarà impegnato per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e i tempi per l’esame del disegno di legge slitteranno. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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