I segreti dell’Europa di mezzo. L’abbazia di Melk, la biblioteca delle meraviglie, il fantasma di Adso
Pronti a stupirvi? Vi proponiamo un viaggio nell’atmosfera, tra fascino della Mitteleuropa e riferimenti letterari suggestivi (da Umberto Eco a Josè Saramago). Nella Bassa Austria, domina una splendida vallata sul Danubio l’abbazia di Melk, inaspettatamente un trionfo di barocco, ma dai sorprendenti colori luminosi. Qui si può visitare una strepitosa biblioteca, con manoscritti che hanno anche più di mille anni, con sorprese preziose, come le opere di Frau Ava, la prima donna di cui si conosca il nome ad aver scritto componimenti in lingua tedesca
Il racconto di CESARE PROTETTÌ
A CHI ARRIVA dalle parti di Melk, in Bassa Austria, percorrendo la strada panoramica che costeggia il Danubio (che qui chiamano Danau), l’imponente costruzione che domina la vallata non richiama subito alla mente il giovane monaco Adso, coprotagonista del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco. Ti aspetteresti una costruzione medievale, grigia e austera, e invece, alzando gli occhi, vedi un trionfo di barocco, per di più verniciato, dopo il restauro, in luminosi toni giallo-arancio.
Così com’è oggi, ricostruito tra il 1702 e il 1736, il monumentale complesso ti porta invece alla mente la chiesa e il gigantesco convento di Mafra: più che al Medioevo mitteleuropeo dei monaci copisti pensi al primo Settecento iberico dominato dall’ Inquisizione; più che a Umberto Eco lo associ d’istinto a Josè Saramago e al suo “Memoriale del convento”, una delle opere che gli valsero il Nobel della Letteratura nel 1998. E invece qui, nel racconto di Eco, c’era Adso da Melk, figlio minore del barone locale, che in questa abbazia (più precisamente, nella sua famosa biblioteca) scriveva, ormai anziano, le sue memorie.
Ma tutto cambia quando, da una meravigliosa terrazza che si affaccia dalla rupe che domina il Danubio, si entra nella straordinaria biblioteca dell’abbazia di Melk. Qui non ci sono, come a Mafra, i pipistrelli che la notte divorano i parassiti dei libri e li proteggono nei secoli, ma c’è comunque un’attenta conservazione di una raccolta straordinaria di 1.800 manoscritti e 750 incunaboli: tra i più antichi un Beda Venerabilis dei primi anni del IX secolo e un manoscritto virgiliano che risale al X-XI secolo. Comprensibile che nel Nome della Rosa, pur non ambientato a Melk, ci fosse un riferimento forte – tramite la figura di Adso – a questo prezioso patrimonio di cultura tramandato a noi posteri a partire dal primo fiorire della vita monastica tra il 1140 e il 1250. Qui i due terzi di tutti i manoscritti rimasti risalgono al periodo della Riforma del XV secolo. E c’è un motivo: la vita monastica imposta dalla regola di San Benedetto (Ora, Labora et Lege), ossia “prega, lavora e leggi” attirava molti studenti e molti professori dell’Università di Vienna. E’ qui che furono copiati alcuni commenti di San Girolamo, altri della Regula Benedicti, nonché testi dalle Sacre Scritture, formulari e anche libri di diritto. Melk fu così un importante centro culturale nell’ambito dell’alto medioevo tedesco, anche perché qui non si scrivevano e copiavano solo opere strettamente teologiche, ma anche alcune a carattere letterario e poetico come quelle di Frau Ava, la prima donna di cui si conosca il nome ad aver scritto componimenti in linea tedesca.
Oggi l’abbazia benedettina austriaca conserva 1.700 opere del XVI secolo, 4.500 del XVII secolo, 18.000 del XVIII. Poi ci sono le pubblicazioni più recenti che portano a un totale di 100.000 libri. Nella grande sala della biblioteca aperta ai visitatori ce ne sono “solo” 16.000, ordinati secondo gruppi tematici. Nello scaffale I si conservano diverse edizioni della Bibbia, negli scaffali dal II al VII varie opere di teologia; nell’VIII giurisprudenza, nel XIX geografia e astronomia, dal X al XV storia.
A partire dal XVIII secolo lavorarono nell’abbazia di Melk molti importanti storici austriaci e tedeschi, tra i quali P. Ignaz Franz Keiblinger, autore di una monumentale Storia dell’abbazia benedettina di Melk, in Bassa Austria. Facilmente intuibile come questa formidabile base di documentazione, aggiunta a quella ancora conservata nell’Abbazia di Montecassino, cuore del monachesimo benedettino, potesse ispirare a Umberto Eco quell’intrigante capolavoro che è stato Il nome della Rosa.
Oggi il visitatore dell’Abbazia di Melk ha appena il tempo di scorrere velocemente qualche titolo di quei libri rilegati e alcune pagine di incunaboli tra quelle delle teche esposte al pubblico. Al massimo si sofferma sulle quatto sculture lignee accanto alle porte che rappresentano le quattro Facoltà: teologia, filosofia, medicina e giurisprudenza. E se ha tempo getta uno sguardo distratto sui due grandi globi: il globo terrestre e quello celeste, che provengono dall’antica biblioteca del 1690 e sono opera dell’italiano Vincenzo Coronelli.
L’abbazia di Melk è inseparabile dalla storia dei primordi dell’Austria. I benedettini vivono e operano a Melk, senza alcuna interruzione effettiva o giuridica, dal 21 marzo 1089 e svolgono due compiti storicamente acquisiti: il lavoro come docenti e educatori e quello pastorale. Nel corso dei secoli le cinque parrocchie iniziali afferenti al convento sono diventate 29, di cui 23 ancora curate dall’Abbazia, che gestisce anche direttamente un liceo classico e uno linguistico, nonché un liceo con indirizzo, classico, scientifico e artistico.
Resta un po’ di amaro in bocca, andando via da Melk, per come sia stata stravolta nel tempo una roccaforte medioevale nella quale gli amanuensi tramandavano il sapere. Per fortuna restano i libri: quelli antichi e quelli della grande letteratura che, come in Eco e Saramago, ci restituiscono, con immaginazione, due affreschi corali che – davanti all’arroganza dei tempi che viviamo – ci offrono sempre la speranza di un rinnovamento sociale e culturale. © RIPRODUZIONE RISERVATA