Guerra in Ucraina e oltre. Dal nazionalismo al bellicismo, una corsa folle da fermare subito

Guerra in Ucraina e oltre. Dal nazionalismo al bellicismo, una corsa folle da fermare subito

“All’armi, all’armi”, e pure di corsa, col passo del bersagliere tromba in resta. Dal Manzanarre al Reno e oltre, due secoli dopo il Manzoni, per altri disegni napoleonici. Come se la somma dei bilanci militari nazionali in Europa non fosse già tre volte e mezzo superiore al totale russo: 227,8 miliardi di euro contro 66,9. Guerra in Ucraina e oltre. Dal nazionalismo al bellicismo, una corsa folle da fermare subito. In Italia, «la percentuale delle spese in conto capitale» è passata «dall’11, 4%  del 2016 al 22,3 del 2022»: in termini assoluti quest’anno sfioriamo i 9 miliardi di euro. Ce lo dice il Servizio studi della Camera dei deputati. Ma non basta ancora e siamo sull’orlo della Terza (e ultima) Guerra Mondiale. È questo che stiamo preparando ai nostri figli?

Questo editoriale apre il numero 22 del nostro magazine distribuito nelle edicole digitali dal 16 marzo 2022
L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ
NO, NON C’È più religione civile: con l’elmetto calato sugli occhi,  al Tg1 persino il Papa non ha diritto di parola contro armi e guerra. Giovedì 24 marzo, papa Bergoglio è netto: «Una pazzia aumentare la spesa per le armi al 2%, mi sono vergognato». Parole riprese da tutta la stampa mondiale. Tutta, tranne il telegiornale della rete ammiraglia Rai diretto da Monica Maggioni. Una censura durata un giorno intero, fino alle 13:30 del giorno dopo, oramai decontestualizzata dall’annuncio di Draghi di aumentare le spese militari. A Montecitorio, due giorni prima avevamo visto un Draghi impettito: «Putin vuole la guerra. Vi manderemo altre armi», rivolto al presidente Zelenzky. C’era poi un’altra frase-chiave nell’intervento del premier, ma la vediamo dopo.

“All’armi, all’armi”, e pure di corsa, col passo del bersagliere tromba in resta. Dal Manzanarre al Reno e oltre, due secoli dopo il Manzoni, per altri disegni napoleonici. Come se la somma dei bilanci militari nazionali in Europa non fosse già tre volte e mezzo superiore al totale russo: 227,8 miliardi di euro contro 66,9. Armonizzarli e ridurli è forse la cosa giusta da fare. O no? In Italia, «la percentuale delle spese in conto capitale» è passata «dall’11, 4%  del 2016 al 22,3 del 2022»: in termini assoluti quest’anno sfioriamo i 9 miliardi di euro. Ce lo dice il Servizio studi della Camera dei deputati. Ma non basta ancora, dopo gli ordini impartiti dal comandante in capo, Joe Biden, a Bruxelles.

Nella logica binaria imperante — secondo il format televisivo “o di qua o di là” — vogliamo essere chiarissimi, per non finire d’ufficio nei “putinieri” decretati dagli opinionisti a gettone: per pesare nel mondo, l’Unione europea ha bisogno di darsi una politica estera comune e, conseguentemente, una politica di difesa comune. Occorre riallacciare, cioè, i fili intessuti nel 1954 dopo il Secondo conflitto mondiale da Pierre Mendès France e Alcide De Gasperi per una Comunità Europea di Difesa, come ha ricordato su queste pagine Vittorio Emiliani. Anche qui, qualche cifra aiuta il ragionamento. Nel 1957, i Paesi fondatori della Comunità europea spendevano il 4% del Pil per la difesa, poi sono scesi sotto il 2% in piena Guerra fredda. Per una ragione molto semplice. In un disegno federalista, l’Europa ha coltivato una sola ambizione: un ordine internazionale fondato su istituzioni democratiche e sul consenso, non sulla deterrenza.

Abbiamo costruito così — lo hanno fatto i nostri padri — il primo e unico esperimento nella storia umana di cessione volontaria di sovranità per un edificio politico e istituzionale superiore. Lo abbiamo fatto su un Continente insanguinato da due Guerre mondiali con decine di milioni di morti. Pace e benessere hanno conquistato i giovani d’Europa, ben oltre la cortina di ferro che lo aveva diviso per mezzo secolo. Fino a che… Fino a che — dopo il crollo del Muro di Berlino — «la fine della storia» di Fukuyama memoria non ha rimesso in moto i vecchi arnesi della carneficina nel mondo. Fino a che — a margine dei moti di Piazza Maidan a Kiev nel 2014, prove generali della guerra in corso — Victoria Nuland (segretario di Stato americano aggiunto), al telefono con l’ambasciatore Usa in Ucraina, Geoffrey Pyatt, per ricordargli i 5 miliardi di dollari spesi lì dal suo Paese, non se ne è uscita col suo «Fuck the Eu»: «L’Unione europea si fotta». Appunto. 

E qui c’è la seconda frase-chiave del premier Draghi pronunciata a Montecitorio, rivolto al presidente Zelensky sotto l’assedio del “macellaio Vlad”: «Vi apriremo le porte dell’Europa». Ecco, lo avessimo fatto nel 2008 — in alternativa ai traffici dei falchi americani per tirare l’Ucraina ad ogni costo dentro la Nato —, oggi l’Europa sarebbe un soggetto politico autorevole e autonomo rispetto ai disegni militari dell’Alleanza atlantica a guida statunitense. E non saremmo sull’orlo della Terza (e ultima) Guerra Mondiale, legati al filo mortale dei fossili, alla mercé di oligarchi e autocrati. È questo che prepariamo ai nostri figli? © RIPRODUZIONE RISERVATA
Leggi qui il sommario del quindicinale n. 23 (1-15 aprile 2022)