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Giornali di carta, estinzione all’orizzonte. Il declino di un mondo nel racconto di un edicolante

di Italia Libera   
Giornali di carta, estinzione all’orizzonte. Il declino di un mondo nel racconto di un edicolante

Che fine stanno facendo i giornali di carta? Una brutta fine, una lenta (neanche troppo) agonia. Un tempo le licenze per aprire un’edicola erano un piccolo tesoro, oggi sembra non volerle più nessuno. Anche le figurine dei calciatori le comprano solo quegli adulti che le collezionavano da ragazzi. Per i giornalai vita dura, con qualsiasi tempo, caldo e freddo, sveglia prima dell’alba, ma incassi sempre più poveri. Un edicolante di Torino, unico superstite in una zona dove c’erano 6 rivendite, racconta la sua vita a bordo di un sogno che affonda

◆ L’intervista di FABIO BALOCCO con ALESSANDRO MUNARO, edicolante

► Da quando abito in centro a Torino, ho assistito ad una moria di edicole, sostituite di solito da negozi di bengalesi. Incuriosito, sono andato ad intervistare uno degli ultimi che sembra rispondere al motto di Francesco Saverio Borrelli “resistere, resistere, resistere”. Innanzitutto, lei come si chiama?

«Mi chiamo Munaro Alessandro, 46 anni anni».

— Da quando gestisce questa edicola?

«Dal 2005».

— Come mai decise di rilevare un’edicola?

«Io ho lavorato per dieci anni in una fabbrica in Piazza Massaua, poi ho deciso di iniziare una nuova avventura, di rilevare un’edicola, perché era il mio sogno di quando ero bambino».

— Quindi il coronamento di un sogno infantile…

«Sì, diciamo di sì, e comunque allora, quasi vent’anni fa, si lavorava abbastanza».

— Ecco, veniamo al punto: da quando ha rilevato l’edicola, ha notato sicuramente un cambiamento nella frequentazione da parte dei clienti.

«Sì, diciamo che per i primi dieci, dodici anni, reggeva ancora la vendita dei giornali, intesi come quotidiani, ma anche riviste e relativi gadget. Adesso siamo arrivati al punto che i quotidiani non si vendono praticamente più. Chi li compra è anziano e quando muore non c’è ricambio. E chi vuole leggersi un quotidiano lo fa gratis in rete, oppure si fa un abbonamento ma pagando comunque molto meno del cartaceo. Prendiamo “Tuttosport”, che costa 5.90 euro al mese l’abbonamento. Il quotidiano “La Stampa” in versione cartacea la domenica arriva a costare 2.20 euro».

— E quindi giovani qui dentro non ne entrano?

«Assolutamente, anzi io mi sento di essere guardato come un alieno dai giovani che transitano davanti all’edicola. Mi sembra che mi interroghino: “Ma cosa fai, vendi dei giornali?” Del resto, se si leggono i blog emerge la visione dei giovani della stampa, specie quella italiana: è spazzatura. I giovani la pensano così, sono diffidenti. Situazione diversa in Francia: io ho degli amici edicolanti in Francia e lavorano ancora bene».

— La conseguenza della crisi è che le edicole chiudono. 

«Guardi, qui in Via San Donato e in Piazza Statuto eravamo in sei. Sono rimasto solo io. Ma sto facendo una fatica enorme. Ormai sui giornali sono più i resi che i venduti».

— Una curiosità: su ogni quotidiano venduto, lei quanto guadagna?

«Il diciannove per cento. Lordo. Quindi trentotto centesimi, da cui detrarre le imposte».

— Le edicole hanno cercato di compensare parzialmente i mancati guadagni dei giornali vendendo gadget ed altro.

«Altro problema. La gente ormai compra su Amazon, anche se magari non sanno o non capiscono che in edicola lo stesso prodotto costa meno, come le carte dei Pokemon. E anche prodotti che c’erano prima, come dvd e cd, ormai sono scomparsi, trovi tutto in rete e digitale».

— A proposito di figurine, la Panini c’è sempre, no?

«Sì, ma sono calate le vendite anche di quelle. Il bambino, il ragazzino non fa più la raccolta delle figurine dei calciatori, come facevamo noi. Chi le acquista ancora ormai sono i genitori, non i figli».

— Immagino che una vendita che tenga sia quella della Settimana Enigmistica.

«Sì, anche se è calata anche quella. Il nostro purtroppo è un lavoro destinato a finire. Se pensa che nella mia famiglia, tra i miei amici, non c’è nessuno che compra un quotidiano, nessuno».

— Lei pensa di continuare?

«Se continua a diminuire il lavoro, no. Quando avevo iniziato tenevo aperto mattina e pomeriggio. Ho tenuto aperto tutto il giorno fino a circa cinque anni fa quando hanno spostato l’ingresso della scuola materna da questa via, San Donato, a Via Le Chiuse. Prima, quando l’ingresso era qui, passavano i genitori, i bimbi, le maestre al mattino, all’apertura della scuola, e al pomeriggio alla sua chiusura, e si vendeva ancora qualcosa. Ormai, oggi, se non ci fosse mia moglie che ha un buon lavoro, avrei già chiuso. E poi ai problemi che le ho detto si somma un problema con i distributori, uno di Settimo Torinese e uno di Milano. Questi inviano i prodotti che si vendono di più alle edicole residue che hanno un miglior fatturato, penalizzando noi piccoli. E questo non è giusto».

— A proposito di grandi edicole, ho presente quella di Piazza Castello, che vende ogni genere di prodotto.

«Sì, ma anche quella è in vendita. E le dirò di più: le licenze non si riescono a vendere. Io conoscevo un signore che voleva non vendere ma regalare la licenza per raggiunti limiti di età e non ci è riuscito. Nessuno le vuole più. Del resto c’è anche il problema dell’impegno: chi è che è disposto a lavorare oggi sette giorni su sette?».

— Vero, è anche un mestiere impegnativo. Lei a che ora apre al mattino?

«Al mattino mi metto la sveglia alle cinque e mezza, anche perché abito a Collegno. Poi vengo qui. Alle sei, sei e dieci sono qui, metto a posto i giornali e porto in giro i quotidiani ai bar della via e di Piazza Statuto, quattro o cinque li metto nelle buche delle lettere dei clienti che non ce la fanno più a camminare. Qualche settimana fa è morto un cliente fisso di ottantacinque anni che comprava “La Stampa”. È una “Stampa” in meno». 

L’intervista termina qui. Nel corso del nostro colloquio sono entrati tre clienti fissi ad acquistare il quotidiano, e con Alessandro si davano del “tu”. L’intervista, per la revisione, gliela invierò via Whatsapp. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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