Gianni Agnelli raccontato dalla Rai. Cosa non è stato detto nella storia della Fiat e del suo “Principe”

Gianni Agnelli raccontato dalla Rai. Cosa non è stato detto nella storia della Fiat e del suo “Principe”

A vent’anni dalla scomparsa di Gianni Agnelli, Raitre ha mandato in onda un documentario che ne racconta il personaggio, la cui vita è inevitabilmente intrecciata non solo con quella della Fiat ma anche con l’Italia stessa. “Gianni Agnelli, in arte l’Avvocato”, però, pur ricco di ricordi e testimonianze, ha alcune lacune che rendono parziale la ricostruzione che viene suggerita. Vittorio Emiliani, che da direttore del Messaggero ha conosciuto Agnelli, racconta qui le “assenze” della ricostruzione televisiva, aggiungendo un paio di ricordi privati che danno colore alla storia del “vecchio Principe”

Il ricordo di VITTORIO EMILIANI

A BOTTA CALDA, il racconto televisivo sui Rai 3 dedicato alla vita di Gianni Agnelli pubblica e privata con numerose testimonianze personali di collaboratori e collaboratrici nonché consanguinei e famigliari mi è parso con alcuni “buchi” evidenti. Premetto che mi sono occupato molto di Fiat prima, durante e dopo l’autunno caldo. Al lavoro della Rai sono mancate vistosamente alcune cose. Anzitutto che l’azienda era rimasta palesemente vecchia in ogni settore perché da sempre “protetta”. E quando sia la Lancia, rinnovata e rilanciata dalle continue vittorie di Munari nei rally, sia l’Alfa Romeo, rivitalizzata dalla cura di un manager indipendente come Luraghi, si affermarono, la vecchiezza “protetta” della Fiat si appalesò in modo clamoroso. Così come il suo apparato tanto gigantesco quanto legato alle impostazioni obsolete di Valletta sul piano progettuale e sul piano produttivo e sindacale. Basti dire che ancora nel 1969 potemmo constatare che il consiglio di fabbrica constava di appena 21 membri.

Nel racconto, accurato sul piano dei rapporti familiari, è però mancata la parte “dinastica” o è stata affidata a Lapo Elkann con esiti quanto meno poco convincenti o alla sorella Maria Sole di Campello che poco poteva dire della vita reale dell’Avvocato. Alla cui mondanità assai praticata si è dedicata una parte relativa del complesso racconto. Mi raccontò Giovanni Giovannini che ogni mattina l’Avvocato lo svegliava alle 6 per farsi raccontare i principali contenuti della “Stampa” in uscita. Per un po’ ci provò anche il fratello minore Umberto «che poi per fortuna smise». Una delle grandi passioni di Agnelli erano le barche, il mare. Una mattina all’alba propose a Giovannini di seguirlo in un giro in barca e rimase molto deluso, lui che si tuffava ignudo, allorché il suo direttore gli fece sapere che era regolarmente vestito e calzato. «Mi gettai lo stesso per non contrariarlo ma dovettero salvarmi da un probabile affogamento».

Il racconto televisivo è stato credibile quando ha mostrato un Agnelli soldato, anzi ufficiale che non si tirava indietro meritandosi pure una croce di guerra. Sul piano industriale, l’auspicabile rinnovamento strutturale della Fiat fu certo ritardato dal protezionismo e quando si diffuse la notizia dell’apertura di un nuovo stabilimento a Rivalta in un solo mese (ricordo) si riversarono alla Stazione di Torino quasi 40mila immigrati del Sud.

Gianni Agnelli era un grande appassionato di calcio e seguiva le partite a volte persino dalla panchina dell’allenatore (specie dopo il grave incidente sciistico che lo aveva praticamente privato di una gamba). Però non era un caso che in quella Juve giocassero un siciliano, Furino, un pugliese, Causio, un sardo, Cuccureddu, un romagnolo, Bonini, e così via. Agli allenatori diceva di volerli alti e forti, ma ai suoi dirigenti doveva suggerire anche altro. Come il campo dimostrava. Con questi e altri limiti e lacune, sul tramonto di quell’impero invecchiato con l’alba di un mercato comune europeo e con l’ingresso in Mediobanca di nuovi soci (ne accenna appena un giovane La Malfa jr che il padre aveva per sicurezza candidato nella Circoscrizione 1 Torino-Novara-Vercelli) si conclude la complessa vicenda dell’Avvocato.

La maggiore responsabilità di Gianni Agnelli è stata quella di non capire per tempo che la gestione passatista di un Valletta era ormai un ferrovecchio rispetto al quadro europeo e mondiale, che il tempo del monopolio ben protetto era finito e che lo stesso Luraghi pur nell’ambito pubblico con l’Alfa Romeo di media cilindrata era più avanti. Mentre le auto Fiat erano meno belle, meno attraenti, meno sprint. Anche se per qualche tempo l’utilitaria Fiat avrebbe avuto un suo mercato popolare per esempio con la 850. Ma eravamo già prossimi alla scelta anche popolare di modelli stranieri, europei. Né era certo Cesare Romiti l’uomo adatto ad imprimere una svolta innovativa. Anzi. Nel lungo e dettagliato racconto Rai sulle vicende spesso avventurose di “Gianni Agnelli, in arte l’Avvocato” è mancato a mio avviso il protezionismo di cui in quei decenni hanno potuto godere, come rilevavano Ernesto Rossi e il gruppo radicale del Mondo di Pannunzio ma pure il più diffuso e popolare Espresso di Arrigo Benedetti.

L’Italia industriale poté fruire di una sorta di esenzione da quel Mercato Comune Europeo che i Trattati europei stavano per imporre. Decisivo fu il ruolo della politica democristiana la quale, soprattutto dopo la scomparsa di Alcide De Gasperi, pretese che i grandi gruppi industriali e finanziari fossero più direttamente condizionati dalla politica clientelare della Dc e dei suoi più stretti alleati in funzione anti-comunista, essendo il Pci ancora organicamente legato a Mosca. Le elezioni politiche del 18 aprile del 1948 si tennero in un acceso e quanto mai settario clima di contrapposizione con i Comitati Civici di Gedda e la stessa Chiesa di Pio XII Pacelli in prima linea e i partiti laici minori ridotti a ruoli gregari a partire dal Psdi di Saragat. Pietro Nenni, d’altronde, formò col Pci togliattiano un listone frontista unico respingendo la intelligente proposta di Pieraccini e di Lombardi per una lista federata. Proposta respinta da Nenni e Morandi.

Dopo la clamorosa debacle del 18 aprile 1948 Nenni non scrisse per anni una pagina di Diario dopo questa durissima annotazione «giornalista sono nato, giornalista sono stato, giornalista sarei dovuto rimanere» sottolineando il proprio errore strategico. La politica doveva impiegare anni per rimettersi in movimento con la pretesa di Almirante di tenere un comizio a Genova città medaglia d’oro della Resistenza e la accesissima reazione di piazza che coinvolse marittimi e portuali armati di ganci. Rivolta sedata da Ferruccio Parri, Franco Antonicelli e altri intervenuti a fermare quei moti altrimenti ad alta pericolosità sbandierando i gonfaloni delle città martiri.

Un ultimo ricordo privato. Avevo incrociato Gianni Agnelli in particolare alle cene del Quirinale conversando con lui amabilmente. Dopo il licenziamento da me preteso dal Messaggero per evitare ogni sospetto di corruzione, Marco Viti (addetto alle pubbliche relazioni di Agnelli) chiese a mio fratello Andrea, per decenni soprintendente in Emilia-Romagna, il favore di illustrare Ravenna all’Avvocato e questi quasi subito gli domandò: «Come sta suo fratello?». Con un tono di stima sincera nella inconfondibile voce da vecchio Principe. © RIPRODUZIONE RISERVATA