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Eclissi della politica e tramonto della libertà: l’ascesa del post-liberalismo nell’ultimo libro di Carlo Iannello

di Italia Libera   
Eclissi della politica e tramonto della libertà: l’ascesa del post-liberalismo nell’ultimo libro di...

La logica dell’impresa e del mercato concorrenziale è penetrata nel cuore dello Stato sociale: dalla sanità alla scuola all’università, fino a coinvolgere, in generale, le politiche di welfare. Esse sono state sostituite progressivamente dai bonus ai cittadini, affinché i bisognosi potessero acquistare sul mercato le prestazioni ‘sociali’ di cui necessitavano. Il principio concorrenziale è diventato il ‘regolatore’ dell’intera vita sociale, con una ‘coerente’ emarginazione del potere di governo degli organi democratico-rappresentativi. Una completa subordinazione dello Stato all’economia di mercato. Il fine dell’azione pubblica non è più la “conservazione” dei diritti naturali dei cittadini ma la creazione dell’ordine artificiale del mercato. Fino al ‘post-liberalismo’. «Oltre» lo Stato, svuotato di ogni effettivo potere di governo, mero esecutore di decisioni prese in sedi sovranazionali, cui non partecipa da protagonista. «Oltre» il neoliberalismo, con una nuova direzione (non più pubblica, come accaduto durante l’esperienza dello Stato moderno) dell’economia e della società, in un inedito dirigismo privato transnazionale

◆ L’anticipazione di CARLO IANNELLO, da “Lo stato del potere” (edizioni Meltemi) in uscita nel 2025

► Le politiche realizzate nel nostro Paese a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, comunemente definite neoliberali, hanno dispiegato i loro effetti ben al di là del campo economico e di quello sociale, finendo per modificare in profondità il ruolo e i compiti dello Stato. Il mercato ha inizialmente ‘conquistato’ settori precedentemente gestiti dal pubblico attraverso la privatizzazione del sistema bancario, la privatizzazione e la liberalizzazione dei grandi servizi nazionali e di quelli locali, la dismissione degli asset pubblici e di quasi tutto l’apparato produttivo pubblico. La sperimentazione realizzata in questi ambiti, con l’apertura al mercato di un rilevantissimo e strategico segmento di economia pubblica, preceduta dalla creazione di autorità indipendenti dal potere politico, è stata poi generalizzata. 

In un secondo momento, infatti, la logica dell’impresa e del mercato concorrenziale è penetrata nel cuore dello Stato sociale, coinvolgendo i più importanti servizi precedentemente garantiti in base al principio universalistico: dalla sanità alla scuola all’università (che hanno subito un processo di aziendalizzazione e di messa in concorrenza) fino a coinvolgere, in generale, le politiche di welfare. Ad esempio, le prestazioni, un tempo rese da amministrazioni di erogazione, sono state progressivamente sostituite da politiche market friendly, come la corresponsione di bonus ai cittadini, affinché i bisognosi potessero acquistare sul mercato le prestazioni ‘sociali’ di cui necessitavano, aprendo agli attori del mercato nuove possibilità di guadagno in campi di attività in cui erano precedentemente esclusi. Anche settori non economici sono stati così ‘regolati’ in base alle leggi del mercato e della competizione attraverso normative che hanno collocato l’erogazione di questi servizi in un ambiente concorrenziale (costruito artificialmente) dalle stesse discipline di settore. 

La logica dell’impresa si è, infine, insinuata nella stessa amministrazione pubblica, attraverso la privatizzazione dell’azione amministrativa e del pubblico impiego. Tali politiche hanno avuto come obiettivo quello di introdurre la concorrenza in ogni ambito della vita associata (senza che si potesse o volesse arginare questo movimento ai soli settori considerati economici). Promuovere, creare e favorire la concorrenza è diventato il compito essenziale del potere pubblico, cioè il suo ‘nuovo’ fine, in grado di conferire una ‘rinnovata’ legittimazione alle politiche (e alle istituzioni) pubbliche. Una volta affermatosi il principio concorrenziale come ‘regolatore’ dell’intera vita sociale ne è derivata una ‘coerente’ emarginazione del potere di governo degli organi democratico-rappresentativi. Una conseguenza non frutto del caso, ma assolutamente necessaria per evitare che le dinamiche di mercato fossero falsate dalla naturale propensione di questi organi a far valere fini sociali e istanze di giustizia sociale attraverso politiche di carattere redistributivo. Ne è derivata una completa subordinazione dello Stato all’economia di mercato.

Si è ribaltato il rapporto tradizionale tra politica e mercato, diventato la fonte esclusiva di legittimazione dell’azione pubblica e del potere pubblico. La neutralizzazione della politica ha prodotto, al tempo stesso, lo scardinamento dei principi dello Stato liberale di diritto (in cui la politica e il diritto hanno sempre svolto il compito di mediazione tra gli interessi in conflitto, quelli sociali e quelli del mercato) e lo smantellamento dello stato sociale, privato della stessa possibilità di realizzare politiche redistributive del reddito. Lo Stato, tuttavia, inteso come apparato burocratico autoritativo, ha rappresentato lo strumento essenziale per la realizzazione dei nuovi obiettivi. Non è quindi scomparso e nemmeno arretrato, come si è acriticamente sostenuto in passato, ma si è solo trasformato (1) e, nella sua dimensione autoritativa, persino rafforzato. Ciò che si è profondamente modificato è stato il fine dell’azione pubblica: non più la “conservazione” dei diritti naturali dei cittadini (fossero quelli individuali del primo costituzionalismo o anche quelli sociali del costituzionalismo novecentesco), ma la creazione dell’ordine artificiale del mercato (2). 

Gli Stati si sono così trasformati in profondità. Neutralizzato il loro ruolo politico, gli organi rappresentativi si sono sempre più allontanati sia dal paradigma liberale che da quello sancito dalle costituzioni novecentesche. I cardini su cui si sono tradizionalmente retti sono stati sconficcati. Integro (perché indispensabile al mercato) è restato l’apparato autoritativo (difesa, ordine pubblico e amministrazione della giustizia). Le libertà politiche e i diritti sociali sono stati infirmati dal decadimento dei fondamenti delle liberaldemocrazie (come sanciti dai testi originari del costituzionalismo settecentesco: conservazione dei diritti, principio rappresentativo e separazione dei poteri) e dal tramonto del solidarismo (cuore del costituzionalismo novecentesco). Sono rimaste intatte le sole libertà (negative) legate al mercato, presupposto indefettibile della società aperta: iniziativa economica e proprietà.

Libertà di iniziativa economica e proprietà, architravi del neoliberalismo, sono tuttavia adesso minacciate proprio dalla efficiente realizzazione dell’ordine imposto dalle stesse politiche neoliberali, caratterizzato dalla fuga del potere dalle sedi politiche e dalla sua sempre crescente concentrazione (3). Il recente arretramento persino delle libertà economiche (della piccola e media impresa e della piccola e media proprietà privata, compromesse dall’implementazione delle agende digitali e green, che sta avvenendo con la logica del piano, come ad esempio il Pnrr), lungi dal favorire un ritorno dello Stato come attore di governo (4), ha prodotto una ulteriore radicalizzazione della tendenza pregressa: lo Stato è ancor più confinato nel ruolo in cui le politiche neoliberali lo avevano collocato, cioè di ancella di un mercato sempre più oligarchico. Oramai, l’erosione delle libertà non risparmia più nemmeno quelle economiche, rimaste, fino a poco tempo fa, indenni.

Gli stessi fondamenti teorici del neoliberalismo sono entrati in crisi. Gli studiosi neoliberali auspicavano una società senza pianificazioni, senza etero-direzione dell’economia, senza un governo politico, in cui tutte le scelte fossero lasciate al libero dispiegarsi delle preferenze individuali all’interno di un mercato concorrenziale: frutto, cioè, di una dinamica, comunque sia, determinata da una pluralità di attori. Decenni di politiche neoliberali hanno, paradossalmente, minato gli stessi presupposti teorici del neoliberalismo. Una nuova forma di centralizzazione economica, realizzata dagli stessi attori del capitalismo transnazionale, sta governando l’economia e la società, attraverso istituti che rimandano alle pianificazioni di stampo collettivistico. È oramai l’impresa (rectius, le grandi imprese multinazionali, le piattaforme digitali, i fondi di investimento) che, celandosi dietro una retorica di stampo comunitarista, sta occupando il vuoto creato dall’eclissi della politica e a farsi essa stessa Stato. Sta cioè emergendo una nuova forma di impresa, ‘l’impresa-stato’, come lucidamente messo in evidenza dagli studi sociologici (5).

Proprio come il neoliberalismo era stato in grado di negare il liberalismo classico, questa nuova tendenza arriva finanche a sconfessare il neoliberalismo. Siamo al ‘post-liberalismo’: «oltre» lo Stato e lo stesso neoliberalismo. «Oltre» lo Stato, perché esso è oramai svuotato di ogni effettivo potere di governo, mero esecutore di decisioni prese in sedi sovranazionali, cui non partecipa da protagonista. «Oltre» il neoliberalismo, perché si sta affermando una nuova direzione (non più pubblica, come accaduto durante l’esperienza dello Stato moderno) dell’economia e della società, bensì realizzata dai grandi attori transnazionali del mercato. Un’impresa che si avvale degli strumenti un tempo usati dallo stato per correggere le dinamiche di mercato (le pianificazioni), per occupare ogni spazio possibile. Un inedito dirigismo privato, volto alla pianificazione dell’economia e della società, che minaccia anche le superstiti libertà economiche, per dare piena realizzazione ai fini stabiliti delle nuove oligarchie economiche. Il segno distintivo del ‘post-liberalismo’ è il tramonto della libertà (6). © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Note

(1) S. Cassese, Territori e potere, Il Mulino, Bologna, 2016, 48

(2) N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 2001, passim

(3) W. Streeck, Globalismo e democrazia. L’economia politica nel tardo neoliberismo, Feltrinelli, Milano, 2024, passim

(4) Come sostenuto, ad esempio, da G. Amato, Bentornato Stato, ma, Il Mulino, Bologna, 2022, passim.

(5) C. Rhodes, Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi Editore, Milano, 2023, 150

(6) Queste riflessioni anticipano un lavoro più ampio la cui pubblicazione è prevista nel 2025, per i tipi della Meltemi, con il titolo “Lo stato del potere”

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