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Dopo due referendum il fantasma torna tra noi. No al nucleare nella “tassonomia verde” europea

di Italia Libera   
Dopo due referendum il fantasma torna tra noi. No al nucleare nella “tassonomia verde” europea

La fissione nucleare è più vecchia del transistor, ha detto il Nobel per la fisica Giorgio Parisi. È maledettamente pericoloso, prima durante e dopo. E inciderebbe sulle bollette in modo vertiginoso, proprio adesso che il governo sta pensando a come calmierare i costi esorbitanti dell’energia recapitati a Natale nella cassetta delle lettere degli italiani. Ora il fantasma del nucleare si sta riaffacciando prepotentemente nel futuro dell’Europa, nonostante l’Italia abbia chiuso i ponti con l’atomo nel 1990 e abbia promosso da più di 30 anni la transizione al gas. Già nel 1987 e nel 2011 due referendum popolari hanno bocciato le centrali. Il movimento ambientalista torna ad indossare l’elmetto

L’inchiesta di LILLI MANDARA
CORSI E RICORSI STORICI necessari dopo che la Commissione Ue ha proposto di inserire il nucleare e il gas nella tassonomia verde considerandoli quindi fonti green e aprendo loro le porte ai finanziamenti del Recovery. Una specie di etichetta di sostenibilità dalle conseguenze disastrose, che vanificherebbe tra l’altro la neutralità climatica. Che però per fortuna ha incontrato un primo stop: il presidente della Piattaforma Ue sulla finanza sostenibile, Nathan Fabian, ha detto alla “Reuters” che la proposta di regolamento delegato della Commissione «ha punti deboli che rendono i criteri non adatti a prodotti di finanza sostenibile». In pratica, gli orizzonti temporali indicati dalla proposta della Commissione Ue per l’inserimento del gas naturale e del nucleare nella tassonomia impediscono di classificare queste fonti come sostenibili, seppure in presenza di precisi paletti ambientali.

I DISTRETTI

I territori sono importanti, importantissimi. Il loro coinvolgimento è indispensabile. Per questo con la mozione anti nucleare viaggia in Italia un’altra risoluzione — anche questa ispirata dallo storico leader antinucleare italiano Massimo Scalia —perché venga attivato al più presto il tavolo della Conferenza Stato-Regioni. Lo scopo è quello di istituire una conferenza permanente regionale per la ricerca e l’innovazione sui sistemi delle energie rinnovabili e per il vettore idrogeno, coinvolgendo Università, Cnr, Enea e i laboratori del territorio. «Aprire e coordinare due tavoli di confronto: uno con la PMI dei settori coinvolti nella produzione/consumo delle fonti energetiche rinnovabili; uno con i grandi enti energetici e l’industria metalmeccanica, per verificare i loro impegni nell’attuazione del programma PNRR per quel che riguarda le realizzazioni regionali»: è questo uno dei punti cardine della mozione. Si sostiene inoltre la necessità di costituire i “Distretti delle rinnovabili”, aree industriali su scala almeno provinciale, attrezzate alla produzione di componenti e sistemi per l’utilizzo delle Fer (Fonti energetiche rinnovabili) e per la produzione di idrogeno verde. Il distretto dovrà poter fruire dell’apporto delle Università e dei laboratori di ricerca presenti nel territorio e quindi svolgere verso i cittadini la funzione di sportello informativo anche per gli aspetti finanziari, e promozionale dell’attività produttiva e di ricerca. Insomma, occhi vigili delle Regioni e di tutti i cittadini sui fondi del Pnrr, dai quali dipende il nostro futuro.Ma ha incontrato anche la bocciatura di due premi Nobel, Rubbia nel 2007 e quindi in tempi non sospetti, e Parisi qualche settimana fa («il nucleare è più vecchio del transistor», appunto), proprio sulla tecnologia antiquata e poco sicura. C’è inoltre una mozione — ispirata da Massimo Scalia, docente di Fisica matematica e padre dell’ambientalismo scientifico italiano, e cavalcata da gran parte dei consiglieri di centrosinistra — che sta facendo il giro delle regioni per essere presentata in tutti i Consigli comunali per chiedere al governo italiano di opporsi all’inserimento di nucleare e gas nella tassonomia verde dell’Europa. Un impegno importantissimo che servirà a orientare le scelte del Pnrr che — ricorda Scalia — dovrebbe basarsi sul coinvolgimento dei territori, in particolare Regioni e Province, ma anche di Università e Laboratori. Una contraddizione, quella della commissione Ue, annota Scalia nella mozione, con gli impegni presi nel G20 e ribaditi nella Cop 26 a Glasgow, che confermerebbe l’inadeguatezza della politica di far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico.

Adesso spetta ai cittadini far sentire la propria voce. E di motivi ce ne sono a bizzeffe: nucleare e gas col nuovo abito green determinerebbero innanzitutto un enorme rischio ambientale e radioattivo, inoltre non potrebbero fornire alcun contributo significativo contro il global warming, senza considerare che l’Italia è priva di centrali nucleari e non sarebbe in grado di realizzarne una operativa entro il 2030. «ll Governo italiano ha già messo in conto circa quattro miliardi di euro per limitare il vertiginoso aumento delle bollette energetiche. Che cosa diventerebbero queste bollette se ai costi miliardari del decommissioning del modestissimo parco nucleare italiano si dovessero aggiungere quelli di una nuova sperimentazione nucleare?».

L’aumento del 470 per cento del gas, principale responsabile dell’aumento delle bollette, dell’inflazione e del carovita che sta colpendo il Paese, configura tra l’altro rilevanti profitti per l’Eni, si sottolinea nella mozione. Cinque le richieste al governo italiano inserite nella mozione Scalia: opporsi all’inserimento di nucleare e gas nella tassonomia verde; orientare conseguentemente le scelte del Pnrr, in particolare impegnandosi perché gli obiettivi energia/clima al 2030 vengano al più presto rivisti e adeguati a quelli dell’Unione europea; scoraggiare ogni nuovo investimento sul gas; ridurre i sussidi ambientalmente dannosi (Sad) che vengono versati nella misura di circa 20 miliardi all’anno all’industria nazionale, vincolandoli a piani di breve termine e a iniziative concrete per l’efficienza energetica e per l’utilizzo delle fonti rinnovabili; imporre una forte modifica delle attuali strategie dell’Eni, con una rinuncia a nuovi investimenti nelle fonti fossili.

«Questa storia mi ricorda molto quando in Italia venne utilizzata una quota delle bollette elettriche per sostenere l’energia per le fonti rinnovabili — racconta Aurelio Angelini, accademico e presidente della Commissione tecnico specialistica per le Valutazioni Ambientali in Sicilia — il famoso Cip 6. Solo che alla fine, anziché per le rinnovabili, quei soldi vennero utilizzati per gli inceneritori». Tristemente famoso, c’è da dire: il CIP6 era una delibera del Comitato interministeriale dei prezzi adottata nel 1992 con cui furono stabiliti prezzi incentivati per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”. Quell’”assimilate” rappresentò la scorciatoia-truffa per allargare gli incentivi agli inceneritori. “Siamo di fronte allo stesso depistamento, come nel 1992 quando l’incenerimento venne assimilato alle rinnovabili: ora usiamo lo stesso meccanismo per finanziare i soliti sporcaccioni, una storia che si ripete. I signori del fossile, il solito padronato confindustriale che sa come mungere denaro pubblico (non sono imprenditori, ma prenditori di denaro pubblico), ha individuato un’altra volta una scorciatoia per spacciare le fonti fossili come fonti green”.

C’è stato in Italia, spiega Angelini, una specie di inquinamento lessicale: della norma di legge che introduceva i finanziamenti per le fonti rinnovabili, a firma Massimo Scalia e Gianni Mattioli, nel corso degli anni fu fatta strage grazie all’introduzione del neologismo “energie da fonti alternative” che soppiantò “fonti rinnovabili” e grazie al quale “tanti miliardi sono finiti nelle tasche sbagliate”. “Oggi assistiamo allo stesso identico meccanismo, e così finiremo per spacciare l’energia da fonti fossili come fonti green”. Prima a cavalcare la mozione Scalia è stata l’Emilia Romagna. Scrive Silvia Zamboni, giornalista e Vice-Presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna, Consigliera regionale Gruppo Europa Verde: “La proposta della Commissione Ue sarebbe incompatibile con l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette al 2050 e di tutelare l’ambiente, la salute e la sicurezza dei cittadini. Una scelta del genere, inoltre, rischierebbe di compromettere sui mercati finanziari internazionali la credibilità della attuale tassonomia istituita per creare un gold standard per gli investimenti sostenibili. Per queste ragioni oggi ho depositato la risoluzione con cui chiedo alla Regione Emilia-Romagna di intervenire sul governo per opporsi alla proposta della Commissione UE. Nella risoluzione evidenzio la diseconomicità dell’investimento sul nucleare il cui costo del kwh è incomparabilmente più alto di quello del solare fotovoltaico e dell’eolico. Inoltre, restano irrisolti il problema del confinamento in sicurezza delle scorie altamente radioattive e quello delle emissioni di radioattività anche in fase di esercizio di routine”. Con la Regione Emilia Romagna, si sta mobilitando anche Bologna. Tra i più attivi uno dei fondatori dei Verdi italiani, Paolo Galletti: “In Emilia ci stiamo muovendo in tanti: alla Regione la mozione è stata già presentata da Silvia Zamboni, lunedì scorso Davide Celli ha presentato la stessa mozione a Bologna, a Modena stiamo lavorando insieme a Sinistra italiana. In ogni piazza in cui siamo presenti con rappresentanze consiliari contiamo di far approvare la stessa iniziativa”.

Viaggia a pieno ritmo anche in Piemonte la mozione anti nucleare. “La proposta è stata sottoposta a tutti i gruppi consiliari – spiega Raffaele Barrina di Laboratorio democratico – e riscontri sono arrivati da Pd, Sinistra italiana, Area progressista. Entro la fine di febbraio terremo una iniziativa pubblica in cui illustreremo i contenuti della mozione e gli esiti della nostra iniziativa. La mozione lanciata da Laboratorio democratico ha raccolto già parecchie adesioni e molti gruppi consiliari si stanno muovendo anche nelle più grandi città del Piemonte, oltre naturalmente Torino”. “Iniziamo da Milano, che farà da capofila – spiega Carlo Monguzzi, capogruppo di Europa Verde in Consiglio Comunale – Col nostro esempio le altre città della Lombardia ci seguiranno a ruota. Dovunque siamo presenti, saranno presentate mozioni nei vari consigli comunali”. In procinto di essere discussa anche al Consiglio comunale di Roma e al Consiglio regionale del Lazio, sull’esempio dell’Emilia Romagna. Insomma, una specie di onda green sta investendo i consigli comunali d’Italia. Con la sensazione che questa sarà una battaglia più tosta di quella scatenata ai tempi del referendum. RIPRODUZIONE RISERVATA
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