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Destra al governo. Elaborare il lutto, riprendere la strada maestra sulle sfide epocali

di Italia Libera   
Destra al governo. Elaborare il lutto, riprendere la strada maestra sulle sfide epocali

Immediato è stato l’endorsement di Giorgia Meloni da parte dell’Amministrazione Usa. Non molti giorni prima del voto, la premier in pectore ha rilasciato un’intervista, ignorata dai media pur benevolenti ma un po’ provinciali, nella quale si schierava duramente per l’autonomia di Taiwan contro la Cina. Musica bipartisan per le orecchie americane. Fiera paladina dell’Atlantismo e dell’Ucraina contro la guerra di Putin, i guai le potrebbero venire se le sue simpatie per gli impresentabili di Visegrad, Ungheria e Polonia in testa, si trasformassero in concrete posizioni di aperto contrasto con la Ue. Insomma, un governo che regge, con il consenso industriale e dei “poteri forti” che era già stato preannunciato. E avrà di fronte un’opposizione debole e divisa che ci metterà parecchio per trovare una strada, senza scontare che essa sia comune. Il dominio del Mascellone sui temi energetici si consoliderà e ne soffrirà tutta l’adeguatezza del Paese alla lotta epocale contro il climate change



L’analisi di MASSIMO SCALIA


La copertina dell’ultimo numero di “Internazionale” sulla reazione della stampa estera alla vittoria della Destra postfascista in Italia

ERA IN CORSO la valutazione sui risultati elettorali nella tradizionale “maratona Mentana” su La7 e già lo “storico” Paolo Mieli si proponeva come gran ciambellano di Giorgia. Con abusato artificio retorico si sorprendeva della sorpresa per l’esito del voto manifestata in vari giornali internazionali: «Quando ho visto quelli anglosassoni mi è venuto un colpo. Pensavo fossero più preparati a questo scenario e invece ho visto titoli allarmanti con il ‘governo più a destra dai tempi di Mussolini’». Per poi impartire alcuni insegnamenti alla futura presidente del Consiglio. Con tono mellifluo e vagamente mafiosetto.


Non so a quali giornali abbia accesso uno “storico”, però, francamente, quand’anche si fosse manifestata in modo generale quella sorpresa, con argomentazioni anch’esse retoriche e — fatto non nuovo — sostanzialmente dispregiative per l’Italia, guarderei, libero da possibili investiture di gran ciambellano, con maggior attenzione ai fatti più che alla carta stampata o al broadcast. E i fatti non sono piacevoli, almeno per me, ma vanno affrontati per quel che sono.


Riguardo agli Stati Uniti non conta molto l’allarme di qualche giornalista, se c’è stato, in quanto immediato è stato l’endorsement di Giorgia da parte dell’Amministrazione Usa. Certo, gli Stati Uniti sono usi dal Dopoguerra ad appoggiare regimi osceni e sanguinari che rispondano però agli interessi americani, ma, in questo caso, bisogna ricorrere a una struttura più fine per l’analisi del fenomeno. Si coglie allora con evidenza che Giorgia ha fatto bene i compiti, a febbraio di quest’anno presenziando all’Assemblea dei Neocons statunitensi, ma, soprattutto, rilasciando a non molti giorni dal voto un’intervista, mi pare ignorata dai media pur benevolenti ma un po’ provinciali, nella quale si schierava duramente per l’autonomia di Taiwan contro la Cina. Musica bipartisan per le orecchie americane.


Il premier ungherese Viktor Orbán e l vincitrice delle elezioni politiche Giorgia Meloni

Fiera paladina dell’Atlantismo e dell’Ucraina contro la guerra di Putin — sempre scellerata — i guai le potrebbero venire se le sue simpatie per gli impresentabili di Visegrad, Ungheria e Polonia in testa, si trasformassero in concrete posizioni di aperto contrasto con la Ue. Soprattutto, poi, in materia di politiche economiche. Anche su questo terreno, però, Giorgia ha cominciato a posizionarsi bene fin dalla campagna elettorale, palesando, a beneficio germanico, nette perplessità su interventi che comportassero spostamenti di bilancio, mentre il suo alleato scemo continuava, pallosamente monocorde, con: “Trenta miliardi”. Magari ce ne vorranno anche di più, ma il problema è arrivare a soluzioni concordate nella Ue, e su questo come sulla crisi del caro energia, il basso profilo tenuto da Giorgia ricordava più un Draghi in sedicesimo che non le vampate grilline, peraltro di successo, di “Giuseppi” Conte. Anche per la formazione del governo, che non è certo frutto di improvvisazioni ma è allo studio da tempo, circolano ormai nomi che sul terreno dell’economia e della politica estera possano rappresentare un riferimento accettabile a livello Ue.


Dal 2019 Georgia Meloni è stata accreditata fra i neoconservatori americani, mentre Salvini si accreditava con Novarossiya di Putin: ben scavato vecchio Bannon

Insomma, sottovalutare l’avversario è sempre uno sbaglio e affidarsi a speranze su dissidi interni che, a partire dalla attribuzione dei Ministeri, sbreccino in poco tempo la costituenda compagine governativa, come accadde a suo tempo al primo governo Berlusconi, mi sembra più un esercizio religioso che una valutazione politica. I gruppi industriali del Nordest, che costituivano la parte “pregiata” del consenso alla Lega, hanno deciso di appoggiare Giorgia e non un poveraccio come Salvini. Un aspetto che va sottolineato riguardo alle reali possibilità del “capitano” di giocare un qualche ruolo politico significativo, sorvegliato speciale com’è, ma forse non ancora per molto, dei governatori di Lombardia e Veneto e dei loro entourage.


Insomma, un governo che regge, con il consenso industriale e dei “poteri forti” — con chi si schiererà il Corsera? — era già stato preannunciato. E avrà di fronte un’opposizione debole e divisa che ci metterà parecchio per trovare una strada, senza scontare che essa sia comune. Il dominio del Mascellone sui temi energetici si consoliderà con conseguenze più generali già previste e ne soffrirà tutta l’adeguatezza del Paese alla lotta epocale contro il climate change [leggi qui]. E ci sarà sicuramente il Calenda di turno che proporrà il nucleare, ovviamente sicuro, pulito e di IV generazione, trovando orecchio benevolo nella maggioranza. Trasformino la proposta in una legge che la attui! Gli faremo le natiche a strisce, come nei due precedenti, con un terzo referendum in materia.


I partiti politici sono inadeguati a guidare la trasformazione sociale ed economica che i tempi richiedono

Che fare? Domanda che dai tempi di Cernysevskij (1863) agita periodicamente menti e cuori di chi non si arrende al non “cambiare lo stato presente delle cose”. Suona vano rivendicare “lo avevamo detto”, come potrebbe fare a buon titolo Italia Libera per i suoi tanti articoli. Bisogna consumare rapidamente il lutto per l’inadeguatezza dei partiti, per l’inesistenza di una compagine politica potente e determinata a guidare la trasformazione sociale ed economica che i tempi richiedono. E riprendere, con impegno, incisive pratiche di mobilitazione e di movimento che non solo si oppongano ma che, soprattutto, continuino a indicare la strada maestra che anche l’Italia deve percorrere. E sommare, pezzo per pezzo, i risultati che, pure, si otterranno. 


Ci può essere d’aiuto, anche se magari un po’ sconfortante per tutti quelli che hanno in mente un progetto di società, da trasformare concretamente in programma, la riflessione dell’ultranovantenne Alain Touraine, profondo indagatore dei movimenti sociali. Touraine osserva come processi importanti e “salvifici” sono determinati nelle società moderne da principi osmotici e moti “molecolari”, non diretti dall’alto o dalla politica, ma capaci di plasmare in senso progressivo e sostenibile la realtà socioeconomica e culturale. Del resto, che cosa pretendere di più in una società liquida? © RIPRODUZIONE RISERVATA


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