Dante Alighieri e la Destra di Sangiuliano: il sonetto non era per Beatrice ma per Giorgia

Una buona volta diciamoci la verità e denunciamo i nostri errori, prima che a farlo siano gli altri: la sinistra non può pretendere di monopolizzare la cultura, come ha sempre fatto, in base all’assioma che, essendo colta, le spettano di diritto la prima e l’ultima parola sulle caselle da occupare. No. Anche la destra è colta. La vera differenza è che non se n’è mai vantata e questo le fa onore. Oggi, però, con la presidente Meloni che tiene un vero diario, vergato di suo pugno, e con vari ministri che saltellano agilmente tra volgari eloquenze, italiano ed esperanto, la destra, finalmente, ha preso coraggio e punta il dito con inopinata competenza e solidi argomenti su moltissimi artisti, che solo l’infinita albagìa dei comunisti poteva spacciare per progressisti
Il corsivetto di MAURIZIO MENICUCCI
E VA BENE, RAGAZZI, siamo onesti e ammettiamolo. Il ministro Gennaro Sangiuliano ha ragione. Quello che ha lanciato nello stagno immobile della cultura italiana non è una pietruzza, come tanti soloni, ovviamente di sinistra, hanno tentato di far credere, ma un macigno, e la sua traiettoria era calcolata per provocare una valanga. Perché nella partita politica che sta strattonando il Sommo Poeta, la destra deve ancora giocarsi la carta migliore: il celebre sonetto “tanto gentile e tanto onesta pare, la donna mia, quand’ella altrui saluta, ch’ogni lingua divien tremando muta e li occhi non l’ardiscono guardare” non è dedicato a Beatrice, come la critica letteraria giacobina ha fatto credere per due secoli e mezzo, ma alla Meloni. E se qualcuno dovesse obiettare che i tempi non combaciano, bene, ci sono le prove: è stato censurato proprio il capitolo della Commedia in cui l’avo di Dante, Cacciaguida, gli rivela il futuro avvento di Giorgia al vertice dell’Italia e lo invita a comporre una poesia in suo onore. “La Verità” di Belpietro e Borgonovo ha già pronta un’edizione speciale: ‘Il canto dantesco rimosso dai rossi’.
In ogni caso, considerando che i tempi in cui è vissuto il Sommo Poeta non concedevano grandi spazi sociali alla donna, lui, il Dolcestilnovista per eccellenza, si distingueva comunque per una visione del mondo decisamente più maschilista di tanti compagni di penna che ad angelicare la donna, privandola di contenuti e diritti terreni, proprio non pensavano. Perciò non possiamo evitare di sistemarlo nella casella che oggi, e non certo allora, si definisce di destra, anche perché non è l’unico grande che dovremo ‘lasciare andare’, di quei secoli nei quali i ‘fratelli di volgare’ cominciarono a riconoscersi ‘Fratelli d’Italia’. E sebbene altre rivendicazioni, per ora, non ci siano state, arriveranno. Magari da qualche altro esponente di spicco della maggioranza, perfino da Salvini, ma arriveranno, perché è chiaro che le sensibilità ora al potere sono tante e ognuna ha i suoi riferimenti ideali.
Del resto, l’elenco degli esuli che aspettano solo uno squillo di trombone per ritornare nella casa culturale della destra italiana è lunghissimo e autorevole. Che dire, ad esempio, di Matteo Maria Boiardo, al quale si erano chiaramente ispirati i rivoltosi neofascisti dei Moti di Reggio Calabria, col loro slogan “Boiardo chi molla?”. E come si può, in questa chiamata letteraria alle armi, non considerare la vera collocazione di campo dei Fratelli De Rege, altro duo di culto tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, col loro: “Vieni avanti, Aretino”, riferito, ovviamente, al celebre Pietro, artista che si divideva tra gli ambienti ecclesiastici e poemi dal titolo “sonetti lussuriosi”, dove non faceva nessun mistero del suo antifemminismo da bar, anzi da bargello?
E si può davvero evitare l’arruolamento nel fronte avversario del papalino Cecco Angiolieri, che divideva le femmine in giovani e leggiadre, da tenere per se’, e “vecchie e laide”, che “lasserei altrui”? E ancora, vogliamo contestare la lungimiranza imprenditoriale, libera da lacci & lacciuoli, di Francesco Petrarca, quando, come lui stesso ribadisce nel “De remediis utriusque fortunae”, al centro dei suoi interessi c’è l’Humanitas, cioè proprio la nota catena di case di cura, modello di una sanità privata che sta agli antipodi della sanità pubblica e del welfare? Per non parlare del presente: e Clint Eastwood? E Tex Willer? E Totò?
Una buona volta diciamoci la verità e denunciamo i nostri errori, prima che a farlo siano gli altri: la sinistra non può pretendere di monopolizzare la cultura, come ha sempre fatto, in base all’assioma che, essendo colta, le spettano di diritto la prima e l’ultima parola sulle caselle da occupare. No. Anche la destra è colta. La vera differenza è che non se n’è mai vantata e questo le fa onore. Oggi, però, con la presidente Meloni che tiene un vero diario, vergato di suo pugno, e con vari ministri che saltellano agilmente tra volgari eloquenze, italiano ed esperanto, la destra, finalmente, ha preso coraggio e punta il dito con inopinata competenza e solidi argomenti su moltissimi artisti, che solo l’infinita albagìa dei comunisti poteva spacciare per progressisti. Quando accadrà, quando li vedremo andare là dove avrebbero dovuto essere da sempre, intoneremo per l’ultima volta “Bella ciao” e poi consegneremo anche questo spartito al maestro Alberto Veronesi, secondo il quale la canzone non parla affatto di partigiani: no, anche questa è stata composta in onore di Giorgia. E se lo dice un maestro della musica e soprattutto dell’arte della fuga, come lui, c’è da credergli. Ciao Bella. Ciao. © RIPRODUZIONE RISERVATA