Dal taccuino di Emiliani: «il botto del ‘Giorno’ fra i giovani lettori e i giornali plumbei confindustriali»
Al suo apparire in edicola nel 1956, colpì il suo stile asciutto e sintetico dopo un lead di poche righe vivace e riassuntivo. Gli altri quotidiani a cominciare dal “Corriere della Sera”, primo in edicola e con molti abbonamenti aziendali, erano decisamente plumbei, monotoni, noiosi. Nonostante il successo iniziale, e nonostante gli sforzi del direttore Italo Pietra e del suo staff, il giornale voluto da Enrico Mattei non raggiunse mai lo stadio della popolarità. E, da Nord a Sud, il panorama editoriale era dominato da testate in attivo per i servigi resi ai loro proprietari
◆ L’articolo di VITTORIO EMILIANI
► I quotidiani che leggevo sui vent’anni e quello in cui entrai come collaboratore fisso e poi come redattore economico-finanziario, cioè “Il Giorno”, avevano introdotto in Italia lo stile asciutto e sintetico dopo un lead di poche righe vivace e riassuntivo. Gli altri quotidiani a cominciare dal “Corriere della Sera”, primo in edicola e con molti abbonamenti aziendali, erano decisamente plumbei, monotoni, noiosi. Avevano lettori (lettrici assai poche) molto tradizionali sia a Milano che nei capoluoghi di provincia. Le inchieste erano rare e riportavano le posizioni ufficiali di Confagricoltura, Confindustria e Confcommercio. I loro comunicati, letterali spesso. Dovevano svecchiarsi molti anni dopo, soprattutto con le direzioni di Alberto Cavallari e di Piero Ottone. Dopo una parentesi di Giovanni Spadolini paludata e ufficiale con un marcato calo di vendite e con una Cronaca di Milano ultraconservatrice.
Per questo “Il Giorno” fece il botto di lettori in specie giovani quando andò in edicola nel 1956. Ma, o perché era troppo nuovo o perché nelle edicole non era generalmente offerto come primo giornale, non raggiunse mai – nonostante gli sforzi del direttore Pietra e del suo staff – lo stadio della popolarità. Malgrado alcune sue firme a partire da quella di Gianni Brera avessero un vasto pubblico di lettori affezionati. Anche fra noialtri giovani. Per questo “Il Giorno” non raggiunse mai il pareggio (men che meno l’attivo) di bilancio. Venne malamente ceduto dall’Eni e iniziò una decadenza senza fine.
C’erano quotidiani in attivo ma per i servigi che rendevano ai loro proprietari. Per esempio il “Resto del Carlino” e “La Nazione” agli zuccherieri monopolisti in Emilia-Romagna e in Umbria e Toscana. A Roma, prima dell’uscita di “Repubblica”, i lettori fruivano soprattutto delle cronache del “Messaggero” controllato in toto dalla famiglia Perrone con l’apertura ad alcune nuove firme e ad una nuova moderna grafica nel 1956. “Il Tempo” di proprietà della famiglia Angiolillo aveva raggiunto una tiratura di 300 mila copie subito dopo la Seconda guerra mondiale. A Napoli vendeva soprattutto “Il Mattino” di proprietà del Banco di Napoli. Tuttavia il tentativo del Banco di Napoli (Iri) di farne un quotidiano moderno naufragò con la pur intelligente direzione di Roberto Ciuni. Nel Mezzogiorno vivacchiavano a Bari “La Gazzetta del Mezzogiorno” e per un certo periodo l’edizione pugliese del “Messaggero” di Roma ricca di inchieste e di ottimi collaboratori fra gli intellettuali pugliesi come Cosimo Damiano Fonseca e lo stesso Giuseppe Laterza e però chiusa poi perché mai remunerativa.
In Sicilia si dividevano i mercati il “Giornale di Sicilia” a Palermo (dove “l’Ora” figliata da “Paese Sera” filocomunista era stata all’avanguardia contro la mafia con un inviato Tullio De Mauro rapito, ucciso e rinchiuso in una colonna di cemento), e “La Sicilia” a Catania e ad Augusta-Ragusa con le raffinerie petrolifere delle Sette Sorelle. Mentre a Messina, detta dalla mafia la “provincia babba” cioè priva di una criminalità veramente organizzata, dominava il mercato un editore-padrone come il futuro aedo di Dubai e degli Emiri del Golfo, con “La Gazzetta del Sud”. Il quadro generale non migliorava certo in Lucania (dove la vendita di quotidiani registrava il minimo nazionale con 27 copie ogni mille abitanti) e in Calabria dove pure le cronache non parlavano della n’drangheta, dove il ricatto dei rapimenti di commercianti e imprenditori facoltosi durava crudelmente mesi.
Questo quadro depresso e deprimente della diffusione e della lettura dei quotidiani venne analizzato da Ignazio Wiess per anni mensilmente sulla bella rivista di Adriano Olivetti “Comunità” alla quale ebbi l’onore di collaborare a partire dal 1956 sia come Vittorio Emiliani sia col nome di penna di Antonio Stefani perché “Il Giorno” non permetteva collaborazioni socio-culturali esterne. Tante mie documentate inchieste sociali ed economiche sono state pertanto firmate con pseudonimi. Poi purtroppo il tempo di riviste come “Comunità” a Milano con Renzo Zorzi, “Nord e Sud” di Francesco Compagna, “Roma moderna” di Franco Ferrarotti, è tramontato per sempre e pure quello dei “Quaderni Piacentini” dei fratelli Bellocchio. Un deserto. © RIPRODUZIONE RISERVATA