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Clima che cambia, in Italia è peggio. Giulio Boccaletti: «la scelta è tra catastrofe ed opportunità»

di Italia Libera   
Clima che cambia, in Italia è peggio. Giulio Boccaletti: «la scelta è tra catastrofe ed opportunità»

Lo stravolgimento climatico si riflette sulla Terra con effetti diversi. «L’Europa — spiega il fisico Giulio Boccaletti, docente di sostenibilità a Oxford — si riscalda più in fretta del resto dell’emisfero; l’Italia e il Mediterraneo più in fretta dell’Europa. E noi dobbiamo anche fare i conti con un Paese che, già delicato per natura, abbiamo reso ancora più vulnerabile con le nostre azioni ed omissioni». Da un anno, il professor Boccaletti dirige il Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti climatici. E va dritto al sodo: «Trump fomenta il caos e manda in pezzi il multilateralismo che, bene o male, regolava il sistema globale per fronteggiare la crisi climatica. Dobbiamo vedere quanto durerà. Per essere obiettivi, anche prima di lui stavamo sbagliando quasi tutto»

◆ L’intervista di MAURIZIO MENICUCCI con GULIO BOCCALETTI

La storia dell’uomo? Si può ben dire che faccia acqua da tutte le parti, e non solo perché questa eccentrica molecola di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, squilibrata elettricamente ai poli e quindi dotata di straordinarie proprietà chimico-fisiche, costituisce fino al 60 per cento del vivente. Qui, non parliamo della sua essenza, ma della sua presenza, strategica nella nostra evoluzione culturale, di antropologia, urbanizzazione, economia, società organizzate, stati e nazioni. Acqua non solo da bere, dunque, ma per cacciare, pescare, coltivare, muoversi, difendersi e offendere, distribuirla, ricavare energia: una vera e propria ossessione, i cui segni possiamo leggere nella geografia, nell’archeologia, nella mitologia, nella religione… Perfino nella lingua, se è vero che la madre Eva risponde all’ancestrale radice di ea, aqua, water (come il semitico Adham, alla Terra). Del resto, è ancora l’etimologia a rintracciare le origini della parola ‘pontefice’ nella funzione eminente di coloro che le acque erano chiamati a regolare con argini e ponti, trasformando, così, l’ambiente naturale in paesaggio.

Di questo infinito e controverso rapporto tra Eva e il Sapiens, trattano due saggi Mondadori, diversi ma complementari, del fisico bolognese Giulio Boccaletti docente di sostenibilità a Oxford − rimandiamo al web per il suo intero, incontenibile curriculum − che dirige da un anno il Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti climatici. Il primo dei due saggi, edito nel 2022, s’intitola ‘Acqua, una biografia’. In quarta di copertina, si presenta come “una storia delle civiltà, dalla Mezzaluna Fertile alla globalizzazione”, riletta ponendo in primo piano il ruolo determinante, ma non sempre ben compreso, giocato dal fattore acqua. Nel secondo, ‘Siccità’, l’attenzione si sposta sulla gestione sostenibile dell’oro blu, ed è questa la vera specializzazione dell’autore, che per anni ha diretto una delle maggiori ong internazionali per l’ambiente e poi ha fondato ‘Chloris Geospatial’, una società privata che sviluppa tecnolo- gie per misurare dallo spazio i parametri ecologici della Terra. La premessa di ‘Siccità’ è che alluvioni e crisi idriche, via via più intense e frequenti nelle stesse aree, tracciano un solco epocale tra il prima e il dopo. Una nuova frontiera che rende indispensabile ridisegnare completamente modi e tecniche con cui da millenni sfruttiamo l’acqua, ‘prendendone anche le distanze’, cioè, adattandoci ai futuri livelli che potrà avere nei prossimi anni con l’aumento delle temperature.

— Professor Boccaletti, la cito a memoria: “Il cambiamento climatico non è solo una questione esistenziale per i danni che arrecherà alle cose, alle persone, agli ecosistemi e ai paesaggi”. Perché: ci aspetta anche di peggio?

«È evidente, ormai, che di questo passo potremmo arrivare a una catastrofe totale, con scenari sociali difficili da fronteggiare. Però, ovviamente, la crisi potrebbe anche diventare un’opportunità, costringerci a riconsiderare le modalità e i mezzi con cui trattiamo e trasformiamo il territorio».

— Lei definisce l’Italia ‘un paese alla frontiera del clima’. Ma non siamo tutti nella stessa emergenza?

«Purtroppo no, lo stravolgimento climatico si riflette sulla Terra con effetti diversi. L’Europa si riscalda più in fretta del resto dell’emisfero; l’Italia e il Mediterraneo più in fretta dell’Europa. Noi, inoltre, dobbiamo anche fare i conti con un paese che, già delicato per natura, abbiamo reso ancora più vulnerabile con le nostre azioni e omissioni».

— Perché una parte dell’opinione pubblica non crede nè a quel che vede e vive, né alla Scienza che lo spiega? C’è un errore di comunicazione che confonde il giudizio su cause e responsabilità?

«Non so se sia possibile negare quel che si vede. Giorni fa, un agricoltore che mi stava dicendo di essere ben consapevole che i cicli di semina sono anticipati di un mese rispetto a vent’anni fa. Il Bolognese ha subìto nel giro di due anni, tre eventi alluvionali di una violenza tale che prima si calcolava avessero tempi di ritorno di un secolo e mezzo. La situazione è chiara a tutti, ma ci sono eventi disastrosi di cui non abbiamo memoria e non sappiamo come affrontare. Siamo in terra incognita e questo rallenta e rende tutto più difficile. Ci sono resistenze ai cambiamenti e alle abitudini di vita. Occorrono scelte rapide e costose e qualcuno teme di pagare più degli altri: pensiamo al caso di un agricoltore a cui si chiede di sacrificare un terreno per lasciar espandere il fiume, o di una famiglia che deve lasciare la casa a rischio. Ci siamo immaginati un mondo dove tutti accettassero subito di sacrificarsi, ma non è così. Occorre spiegare, convincere, negoziare. Il processo è delicato e complesso, mette alla prova la democrazia».

— Lei scrive che per puntare alla sicurezza idrica è urgente ripensare la gestione globale dell’acqua. Partendo dall’alto, o dal basso?

«L’emergenza idrica è fatta di problemi locali, ma la gestione dell’acqua è naturalmente collettiva, dalla fonte alla foce. Perciò le soluzioni devono essere complessive, reclamano un coordinamento di interessi e interventi, altrimenti i problemi si ripresentano puntualmente a valle. C’è bisogno di istituzio- ni e di regole, e specialmente oggi, di infrastrutture costose, accessibili solo se le comunità fanno sistema. Quindi la gestione è dal basso, nel senso che tutti gli eventi sono locali, e dall’alto, nel senso che poi, la sintesi, che non è la semplice somma degli interessi del condominio, spetta alle istituzioni».

— A proposito, chi è più legittimato a decidere: i tecnici, o i politici?

«Siamo animali politici, la politica è l’unico sistema che abbiamo per vivere insieme. Certo, il percorso istituzionale deve includere un apparato tecnico burocratico competente, ma è stato un errore, in passato, pensare che i fatti scientifici da soli potessero orientare le scelte. La politica è ancora più legittimata se è capace di scegliere in modo meditato e responsabile, interpretando e integrando la Scienza con ciò che vuole la collettività. Poi, è evidente che ciò che vogliamo deve essere coerente con ciò che succede nel mondo».

— Un capitolo di ‘Siccità’ è dedicato al rovescio della medaglia: non tutta la colpa dell’emergenza idrica è del clima. Il Veneto e la Romagna, ad esempio, pagano ora una storia molto antica di regimazioni e interventi per ingabbiare i fiumi e strappare all’Adriatico terre da coltivare.

«Le ultime di quelle opere furono realizzate negli anni ’80, in previsione di un tipo di sviluppo, che ora il clima sta spiazzando. Intendo dire che la gestione idrica è l’attività che più trasforma il territorio e comporta scelte che in seguito possono rivelarsi erronee. È quasi inevitabile, perché ogni intervento avviene alla luce dello stato dell’arte, cosicché anche quel che che oggi sembra ottimale, domani non lo è più. È meglio saperlo, e non cercare responsabilità, che spesso sono troppo antiche per essere colpe. Invece di esitare davanti agli interventi per paura che il futuro ci smentisca, dovremmo usare al meglio l’immaginazione e gli strumenti di previsione che la tecnologia ci rende disponibili. Specie quando si parla di grandi infrastrutture, la legittimità e la condivisione delle decisioni contano più della loro perfezione in tempi lunghi, che in realtà è impossibile da garantire. In ogni caso, man- tenere anche nei progetti più ambiziosi un certo grado di leggerezza e di flessibilità può essere una buona assicurazione contro gli imprevisti».

— Lei parla di ‘Grande Fiume Virtuale’. Che cos’è?

«È un’immagine degli specialisti, riflette il fatto che l’acqua è un fattore economico globale per eccellenza e attraverso i beni che permette di produrre e scambiare, è in continuo movimento, come un unico enorme fiume che bagna tutte le terre. Perciò, i problemi idrici di un certo territorio diventano sistemici. Ad esempio, quando la Cina non riesce a produrre abbastanza grano perché quell’anno le manca l’acqua, genera sui mercati internazionali un rincaro dei prezzi che danneggia i paesi più poveri».

— Veniamo a quello che lei chiama il ‘tradimento degli ultimi’, l’ostilità alle politiche ecosostenibili delle fasce più esposte alle conseguenze della crisi ambientale. Avendo vissuto molto negli Stati Uniti, si aspettava il ‘Trump 2’? Soprattutto, se lo aspettava in questi termini di folle negazionismo, tanto più letale perché abbinato allo specchio deformante dei social e degli algoritmi monopolizzati da Musk & compagni?

«Lo temevo, ma non mi ha sorpreso. Trump fomenta il caos e manda in pezzi il multilateralismo che, bene o male, regolava il sistema. Dobbiamo vedere quanto potrà durare. Però se vogliamo essere obiettivi, anche prima di lui stavamo sba- gliando quasi tutto. Già con Biden, gli Usa erano diventati il primo produttore di idrocarburi. Quello che più mi sorpren- de e mi preoccupa è la brutalità con cui viene smantellato un sistema scientifico che è fondamentale per il mondo intero. Banalmente, basta osservare che la risposta alle carestie in Africa è affidata a sistemi di avviso realizzati e finanziati dagli americani. Le conseguenze non sono ancora prevedibili, ma è chiaro che le economie vulnerabili saranno ancora meno protette».

— Alla luce di questo terremoto geopolitico, che forse è solo agli inizi, riscriverebbe qualcosa del suo libro?

«Nelle conclusioni, avrei dato ancora più spazio alla necessità di investire subito nel progetto repubblicano europeo, se non vogliamo essere travolti da Usa e Cina, i nuovi imperi che si preparano a spartirsi il mondo. In realtà, ci stiamo facendo distrarre da quello che avviene oltreoceano, ma dovremmo preoccuparci di noi: prepararci sia alla sfida dell’emergenza idro-climatica, sia a quella della nuova geopolitica, anche perché sono strettamente connesse».

— Boccaletti, da buon cittadino di Budrio (comune in provincia di Bologna, ndr), lei è un virtuoso di ocarina. Con la sua ensemble, deve tutti suonano questo flauto in terracotta, porta in tutto il mondo un repertorio di musica classica. L’ultima esibizione?

«In Giappone, sei mesi fa: 22 concerti e quarantamila spettatori. La prossima sarà ai primi di aprile, proprio a Budrio, per il Festival internazionale dell’ocarina».

— Scommetto che tra i suoi pezzi c’è La Musica sull’Acqua di Haendel…

«Le piace vincere facile…Ne ho eseguita una parte all’ocarina l’anno scorso, durante la ‘Conferenza Immaginaria sull’Acqua’, uno spettacolo che abbiamo messo in scena a Firenze con Stefano Accorsi».

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