Campagna elettorale al via: evitiamo i colpi di sole, please. La Meloni e “i fasci dell’incompetenza”
La Destra vince così spesso nel nostro Paese, anche con personaggi francamente squallidi o inguardabili, perché il nostro è, storicamente, un Paese conservatore. Allora ci dobbiamo sorbire l’erede di Almirante e di Rauti? A quello ci penseranno eventualmente gli elettori col loro voto. Il mio è un appello a non insistere sulla Meloni come prodromica di un nuovo fascismo. Se mai davvero dovesse andare così, non credo che sarei il solo pronto a scendere in piazza. In modo organizzato. E quindi? Lo schieramento di Destra è del tutto scoperto sulla riconversione ecologica dell’economia e della società, pronto a favorire piccoli interessi corporativi, a cominciare da tassinari e balneari. Dobbiamo denunciare le incredibili lacune e la sciatteria delle proposte, e delle persone, le improvvisazioni e il ritardo culturale. E che roba vecchia è la loro cultura, quando mai la propongono
Il commento di MASSIMO SCALIA
HA RAGIONE PAOLO MIELI, quando bacchetta chi contro la Meloni inalbera per l’ennesima volta la bandiera rossa dell’antifascismo. Un’affermazione che mi costa due volte: e perché la Meloni non rappresenta, certo, i miei ideali e le mie opzioni di governo, e perché non sopporto il crogiolarsi di Mieli nel titolo di “storico”, che la “mediocrazia” gli ha conferito in barba a un’embrionale carriera accademica. E anche di storico.
Nell’ultimo quarto di secolo la Destra ha vinto alle elezioni più spesso della Sinistra, portando alla ribalta personaggi da offesa del buon costume, e del buon gusto. Figuriamoci, poi, la morale della “moglie di Cesare”! Ma chi, Poppea? Da ultimo, nel 2018, un capopopolo, immancabilmente un uomo da intrattenimento, che, anticipando di parecchio l’incitamento di Trump contro il Campidoglio, ha invitato i suoi a entrare nel Parlamento per “aprirlo come una scatola di sardine”. A quanto pare si era dimenticato di dargli la chiavetta. In ogni caso, ha preso quasi un terzo dei voti degli Italiani, mentre si affermava come leader della Destra quello che solo due anni prima proponeva in Tv di uscire dalla Nato. Sì, Salvini, non Turigliatto. E adesso si contorna di icone di madonne e sarebbe disposto, penso, a prostrarsi pubblicamente davanti al segretario della Nato, Jens Stoltenberg, pur di far dimenticare qualche peccatuccio filorusso, non estraneo alla caduta del governo Draghi. In questo contesto — lasciamo stare il vegliardo puttaniere —, la Meloni spicca come Galadriel, la regina degli Elfi nel “Signore degli anelli”, anche se francamente ricorda più Gollum, quello di “mio tessoro”.
La Destra vince così spesso nel nostro Paese, anche con personaggi francamente squallidi o inguardabili, perché il nostro è, storicamente, un Paese conservatore. Con l’attenuante di profondi e radicati motivi storici, nella sua sfiducia nello Stato, che poi è anche Amministrazione e Giustizia. Il Parlamento e i partiti di massa ci hanno pensato da soli, a meritarsela la sfiducia, con la vicenda che trent’anni fa originò “Mani pulite”.
A ben guardare, la maggioranza della popolazione dei vari Stati europei si esprime alle elezioni in senso conservatore, con inoltre una non certo trascurabile presenza politica di destra estrema, anche a non tener conto dei gaglioffi di Visegrad. Insomma, il riformismo, la cultura sociale avanzata sembra roba buona per le democrazie scandinave, sopravvalutate, poi, perché tutte assieme hanno la metà degli abitanti dell’Italia; e lo stato sociale ha da attingere a grandi risorse materiali ed economiche, dal legno delle foreste, alla pesca — nel mare del Nord c’è più pescato che in tutto il Mediterraneo — alle miniere e al petrolio. Negli altri Stati le riforme sono state l’esito di un cammino lungo e faticoso, anche in quelli che hanno avuto una vera rivoluzione borghese, come la Francia, dopo, e, prima, l’Inghilterra — se l’Ucraina è “parte dell’Europa”, e concordo, mi riesce alieno non considerarci dentro la Gran Bretagna, nonostante Wilson.
Insomma, il “cambiare lo stato presente delle cose”, che una generazione lesse, aderendo o meno, come un invito rivoluzionario, preoccupa molto la maggioranza dei cittadini europei, che preferiscono navigare in acque sicure, se non nella calma piatta del “cambiare assai poco e, se mai, molto, molto gradualmente”.
Allora ci dobbiamo sorbire la Meloni? Figuriamoci, a quello ci penseranno eventualmente gli elettori col loro voto. Il mio è solo un appello a non insistere sulla Meloni come prodromica di un nuovo fascismo. Non è così stupida e subirà di fatto già tanti veti, soprattutto internazionali, che non mi pare elegante, in un Paese dove per mezzo secolo ha imperato il veto del “fattore K”, prodursi con dei no fondati su una del tutto improbabile reincarnazione del fascismo. Oh, e poi, se mai davvero dovesse andare così, non credo che sarei il solo pronto a scendere in piazza. In modo organizzato.
E quindi? Bisogna beccare, questa volta, le incredibili lacune e la sciatteria delle proposte, e delle persone, le improvvisazioni e il ritardo culturale. Senza indulgenza. Non è il problema dell’essere “fasci”, ma quanto siano impreparati e inadeguati, e che roba vecchia è la loro cultura, quando mai la propongono. Oddio, il mitico 6% di italiani che fatica per rendere migliore il Paese [leggi qui nota 1]vale anche per loro, ma di “buoni destri” ci sarà un marginale 6% ad avere spazio nella campagna elettorale della Destra.
Non saranno certo queste denunce, ripetute, che faranno riflettere gli eterni insoddisfatti, i campioni del “piangere il morto per fottere il vivo”, gli ominicchi e le donnicchie che sbraitano contro la “scatola di sardine”. E non è neanche per un inutile “ve l’avevamo detto”. È perché è un obbligo etico-politico, un compito cui non ci si può sottrarre.
Lo schieramento di Destra è del tutto scoperto sulla riconversione ecologica dell’economia e della società, pronto a favorire piccoli interessi corporativi, a cominciare da tassinari e balneari, a danno di quelli generali. Per non parlare di condoni o dell’ipotesi horror, già circolante, del predatore Descalzi come ministro della “transizione ecologica”, al posto dell’inutile, a quel punto, Roberto Humpty Dumpty Cingolani. E poi il rilancio del nucleare come progresso, roba vecchia di cinquant’anni. E l’elenco richiederà altre puntate.
Ma anche non aver pietà dell’inadeguatezza culturale. L’altro giorno, in occasione della negazione alle Camere, dell’adozione di genere per le cariche e i compiti, sempre tutti al maschile, Isabella Rauti, ideologa o aspirante tale, è riuscita a dire che mettere “la” invece di “il” «rappresenta l’anticamera dell’ideologia gender che punta a una società liquida». A parte la perla — ma che te possino! — della “ideologia gender” [leggi qui nota 2], dando voce romana al povero Zygmunt Bauman: è dagli anni Novanta che l’accademico polacco lamentava le società post-moderne come le società dello “stato liquido”. Una trasformazione già avvenuta! E qualcuno osservò: “mi sembra più liquame, che liquido”. Isabella, quando ti capita di leggere, capire non è un optional. Che su questo sarà d’accordo magari anche lo “storico” Paolo Mieli. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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