Bonifica di Bagnoli. «Il fatto non sussiste», ma “l’operazione è riuscita e il paziente è morto”
Dopo aver coinvolto anche la Corte di Cassazione, la Corte di appello di Napoli ha assolto tutti gli imputati di disastro ambientale in quanto i reati ipotizzati dalla Procura e confermati in primo grado non vi sono, in realtà, mai stati. Una conclusione clamorosa a distanza di venticinque anni dall’inizio dei lavori di bonifica mai portati a compimento. Il professor Carlo Iannello spiega cos’è avvenuto nella città partenopea nell’ultimo quarto di secolo in una delle aree simbolo della deindustrializzazione italiana e di mancato recupero ambientale e urbanistico. Una bonifica che non sarebbe dovuta neanche iniziare, mentre l’ottimo Piano regolatore approvato nel 2004 vent’anni dopo è rimasto sulla carta. E ha fatto da paravento per propagandare una Napoli all’avanguardia e, allo stesso tempo, per fare da capro espiatorio di una atavica incapacità gestionale
◆ Il commento di CARLO IANNELLO, giurista
► La bonifica di Bagnoli, ex sito industriale, ha prodotto una lunga vicenda giudiziaria che si è conclusa solo di recente. Dopo un iter molto lungo che ha coinvolto anche la Corte di Cassazione, la sentenza della Corte di appello di Napoli ha assolto tutti gli imputati sancendo che «Il fatto non sussiste». In altre parole, i reati ipotizzati dalla procura e confermati dalla sentenza di primo grado, non vi sono, in realtà, mai stati. I giudici hanno chiarito che, dal punto di vista del diritto penale, a Bagnoli non c’è stato disastro ambientale. Una notizia che rallegra tutti ma che, sul piano amministrativo, infittisce un apparente mistero, perché il recupero di Bagnoli è da tempo il simbolo dell’inconcludenza gestionale.
Qualcuno un giorno (non certo i giudici) dovrebbe spiegare perché a Bagnoli è stato speso un fiume di danaro pubblico (come evidenziato anche dalla Corte dei Conti nel 2020) eppure nessun risultato tangibile si percepisce. L’attività di bonifica, infatti, è iniziata da oltre 25 anni. Ci hanno provveduto: la Bagnoli s.p.a. dalla seconda metà degli anni Novanta; la Bagnoli futura (istituita nel 2002 e fallita nel 2013); l’attuale gestione commissariale (il commissariamento è del 2014). E ancora si lavora a una bonifica più approfondita delle precedenti i cui lavori, da cronoprogramma, dureranno ancora anni.
Porto un elemento di riflessione. Forse la bonifica non sarebbe mai dovuta iniziare, per due motivi. In primo luogo, perché la maggior parte dei terreni, sin dall’inizio, era compatibile con la localizzazione di attività di servizio (cioè di carattere commerciale). In secondo luogo, perché in nessuna parte del mondo si procede a bonificare un ex sito industriale, ma si realizza una più economica e rapida “messa in sicurezza permanente”. La differenza tra i due modelli sta in ciò: con la bonifica, gli inquinanti vengono eliminati (cioè portati in discarica); con la messa in sicurezza permanente, vengono isolati in situ in modo duraturo, affinché non nuocciano né all’ambiente né alla salute. Nessun amministratore tedesco ha mai immaginato di bonificare la Ruhr, il distretto industriale che si estendeva su circa quattrocento kilometri quadrati. Con una messa in sicurezza permanente in pochi anni è diventato un immenso parco, luogo di svago e fonte di reddito, con milioni di visitatori.
Se invece l’obiettivo è quello di eliminare ogni traccia degli inquinanti, tra bonifiche pasticciate e bonifiche radicali, temo che i lavori difficilmente vedranno la fine. Senza contare il paradosso. Si sta affermando l’idea che la colpa dei tempi infiniti risiederebbe nelle scelte ‘ideologiche’ di un piano regolatore in realtà mai voluto seguire (che si sarebbe dovuto attuare solo a valle dell’avvenuta bonifica), che peraltro dal 2014 non è più vigente per Bagnoli, sostituto da un nuovo strumento, il Praru (Programma di Risanamento Ambientale e di Rigenerazione Urbana). L’ottimo piano regolatore del 2004 ha purtroppo svolto sinora (adesso è in corso il processo di modifica) due funzioni, salvo quella propria, cioè indirizzare le scelte urbanistiche. Nessuna delle grandi trasformazioni ivi ipotizzate ha infatti visto la luce: dal parco archeologico a piazza Miraglia al parco verde di Bagnoli fino a quello di Capodichino. Al contrario, si è sempre proceduto in deroga, non solo a Bagnoli (con l’accordo di programma per Città della scienza del 1997) ma anche, da ultimo, per il centro storico, con la liberalizzazione dei frazionamenti degli immobili storici, che ha favorito la turistificazione della città.
Il piano regolatore del 2004, invece di essere celermente attuato, è stato strumentalizzato perché realizzasse due improprie funzioni. Una di carattere propagandistico: si è veicolato il messaggio di una Napoli all’avanguardia, con consumo di suolo zero. Un’altra, di capro espiatorio: tutto ciò che non si è fatto non dipende dall’atavica incapacità gestionale della sua classe dirigente, ma (paradossalmente) da scelte di un piano che non si è mai voluto attuare. Ciò che è realmente ideologico è pretendere di eliminare ogni traccia invisibile dal sito (gli inquinanti) in luogo di isolarli, mettendo rapidamente in sicurezza l’area, piuttosto che eliminare le tracce visibili, che hanno sfigurato Bagnoli, come la colmata, che si vuole lasciare lì dove sono, a imperitura memoria di una triste verità, cioè che non siamo in grado di custodire gli straordinari valori culturali che il nostro territorio esprime.
Per il giudice penale «il fatto non sussiste». I cittadini leggono questa sentenza alla luce della cultura popolare che, in casi come questi, dice: l’operazione è riuscita; il paziente è morto. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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