La locandina del film diretto da Andrew Dominik con Ana de Armas
Dopo la sua controversa partecipazione al festival di Venezia, “Blonde” è approdato sulla piattaforma Netflix, che lo propone anche nella versione originale con sottotitoli. E questo consente di apprezzare l’interpretazione della affascinante Ana de Armas, che dimostra di avere anche un notevole talento. La sceneggiatura è basata su un romanzo di Joyce Carol Oates uscito nel 1999, che ricostruiva la durissima vita dell’attrice. Nata da un padre ignoto e da una madre squilibrata che finì in un ospedale psichiatrico, cresciuta in un orfanotrofio, la giovanissima Norma Jeane Mortenson — questo il suo vero nome — arrivò alla fama per la strada più impervia, passando di scandalo in scandalo, sempre sfruttata e umiliata da uomini senza scrupoli
La recensione di BATTISTA GARDONCINI *
“BLONDE”, DI ANDREW DOMINIK, non è un bel film. È troppo lungo — quasi tre ore che sembrano interminabili — e alcune scelte di regia, come il feto ricorrente, le immagini distorte e l’abuso delle dissolvenze, lasciano perplessi. Ma vale la pena di vederlo perché la bionda è lei, Marilyn Monroe, e la infelice storia dell’attrice più famosa della storia del cinema, a sessanta anni dalla sua tragica morte per una overdose di barbiturici, continua a emozionare e a fare discutere.
Dopo la sua controversa partecipazione al festival di Venezia, “Blonde” è approdato sulla piattaforma Netflix, che lo propone anche nella versione originale con sottotitoli. E questo consente di apprezzare l’interpretazione della affascinante Ana de Armas, che dimostra di avere anche un notevole talento. Trasformata in Marilyn da ore di trucco, l’attrice cubana presta al suo personaggio una impeccabile gestualità e una voce perfettamente nella parte, che fanno rivivere sullo schermo tutte le fragilità della vera Marilyn.
Ana de Armas sul set del film distribuito ora anche su Netflix
La sceneggiatura è basata su un romanzo di Joyce Carol Oates uscito nel 1999, che ricostruiva la durissima vita dell’attrice. Nata da un padre ignoto e da una madre squilibrata che finì in un ospedale psichiatrico, cresciuta in un orfanotrofio, la giovanissima Norma Jeane Mortenson — questo il suo vero nome — arrivò alla fama per la strada più impervia, passando di scandalo in scandalo, sempre sfruttata e umiliata da uomini senza scrupoli. L’improvviso e straordinario successo non lenì le sue ferite e la sua insicurezza, combattuta con l’alcol e le droghe. Ebbe tre mariti, James Dougherty, l’ex campione di baseball Joe DiMaggio, e il commediografo Henry Miller, e numerosi amanti. Uno, il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, è lo squallido protagonista della scena di sesso più disturbante del film, quasi uno stupro dell’attrice debilitata dagli psicofarmaci. Pochi giorni dopo, il suicidio, con alcuni aspetti poco chiari che fecero sospettare il coinvolgimento dei servizi segreti. © RIPRODUZIONE RISERVATA
(*) L’autore dirige oltreilponte.org