Asclepios e l’Enkoimeterion, il “sogno incubatorio” nella casa-ospedale del figlio di Apollo
Ad Epidauro, l’“enkoimesis” (letteralmente incubazione) pare fosse una terapia particolarmente efficace, a sentire gli storici antichi. Il potere taumaturgico del Nume della Medicina è testimoniato dalle migliaia di ex voto e di epigrafi in loco e, perfino, dalla descrizione dei miracoli che vi si verificavano. Come quello di un ragazzino muto fin dalla nascita: addormentato dai medici-sacerdoti, con la tecnica che vi ho raccontato, al suo risveglio, quando uno dei sacerdoti chiese al padre se volesse continuare la cura e se avesse denaro a sufficienza per poterla pagare, il ragazzo intervenne a gran voce, dicendo che sì, egli avrebbe voluto rimanere ancora in ospedale, perché potesse imparare anche a cantare
Il racconto di ARTURO GUASTELLA, nostro inviato nella Magna Grecia
A ME, SMARRITO nell’ammirazione del teatro antico forse il più bello del mondo, immaginandovi la rappresentazione di, mettiamo, un Edipo Re, di un’Ecuba, dell’Alcesti, o delle Coefore o dell’Orestea, in questi miei percorsi immaginifici, alla ricerca di sentieri comuni tra la terra di Omero e la mia Magna Grecia, mi sarei aspettato di poter incontrare un Eschilo, un Sofocle o un Euripide, accontentandomi anche di un Menandro, mai potendo immaginare che mi sarei potuto imbattere in una divinità. Eppure, neanche per un istante ho dubitato che quel possente Kuros (uomo), dalla barba fluente e dal chitone argentato, potesse essere meno di un semidio, se non, addirittura un Nume. E, del resto il luogo, sulla collina rocciosa della piccola penisola di Atte, nel golfo Saronico, a nord del Peloponneso, ad Epidauro insomma, mi avrebbe dovuto suggerire che qui, oltre a tragediografi, commediografi e teatranti, avrei potuto imbattermi in lui, in Asclepios.
Asclepios era il Dio della Medicina in persona, figlio di Apollo e Koronis (della quale vi ho già raccontato), che, vedendomi perso nella contemplazione del (suo) teatro, con un sorriso bonario, come si conviene agli Dei, mi propose di ospitarmi nel suo Katagogeion. L’Albergo dei Pellegrini era una sorta di astanteria del suo Ospedale, un edificio a due piani, con ben 160 camere riservato ai parenti dei pazienti che da tutta la Grecia e anche dalla Magna Grecia e dalla Ionia, qui accorrevano numerosissimi per essere sanati dal Nume taumaturgico e dai suoi medici-sacerdoti. Un altro indizio, per così dire, architettonico, avrebbe dovuto fornirmelo anche il nome dell’architetto, Policleto il Giovane, fratello minore di Naucide II, allievo, a quanto si racconta, di Policleto il Vecchio e del grande architetto Dedalo, cui si deve la realizzazione del teatro in cui mi trovo, edificato nel 350 a.C.. Policleto il giovane era stato co-progettista, insieme a Teodoto, del tempio dorico dedicato proprio al Dio della Medicina, e l’architetto di una straordinaria Tholos (tempietto di forma circolare) con splendide decorazioni all’interno e al suo esterno, la cui ricostruzione si può tuttora ammirare all’interno del museo del sito.
A questo punto, al vostro frastornato cronista, sia concessa una “errata corrige”, per modificare quei “sentieri immaginifici” in autentici percorsi onirici, in quanto qui, nella casa-ospedale di Asclepios ad Epidauro, si praticava la terapia del cosiddetto “sogno incubatorio”. Nei fatti, in questo ospedale, in assoluto il più antico della Grecia, c’erano dei reparti che contenevano dei pagliericci di vimini, la Stoa di Abaton, o “Enkoimeterion”, dove si induceva, con un decotto di erbe, il sonno degli ammalati, chiamato “sogno incubatorio” durante il quale Asclepio veniva a trovare il malato e, se non lo guariva direttamente, gli suggeriva le cure più adatte, che, poi i medici sacerdoti somministravano ai degenti. L’“enkoimesis”, letteralmente incubazione, pare fosse una terapia particolarmente efficace, a sentire gli storici antichi che l’hanno raccontata, anche perché, se la malattia del paziente era particolarmente grave (per esempio affezioni organiche neurologiche) e l’ammalato non si svegliava dal sonno, i medici procedevano perfino alla trapanazione del cranio, come dimostrato dalla strumentazione per questo tipo di interventi, che gli archeologi hanno rinvenuto nel sito.
E non si creda che i parenti degli ammalati, ospitati nell’Albergo dei Pellegrini, non ricevessero anch’essi, particolari attenzioni. Infatti, proprio di fronte all’albergo, c’erano delle terme confortevoli e, poi, il teatro ai cui spettacoli potevano assistere gratuitamente, delle vaste sale-mensa e perfino uno stadio, dove chi voleva, poteva partecipare alle gare, o, comunque, mantenersi in forma. Inoltre, mentre i sacerdoti di Asclepio erano esenti da qualunque tipo di tributo, gli Epidauri erano costretti a pagare una tassa religiosa alla vicina Argo. Un balzello che li aveva particolarmente irritati (anche perché il culto del Dio della Medicina, veniva qui praticato sin dall’Età del Ferro, dal X sec. avanti Cristo, molti secoli prima, cioè, della costruzione del teatro e dell’ospedale-santuario). Essi ritenevano che la propria divinità non fosse seconda a nessun altro nume del Pantheon greco e perciò, dall’ottavo secolo a.C., aderirono alla lega religiosa Anfizonia, in opposizione ad Argo, alleandosi con Ermione, Egina, Atene, Prasia, Nauplia e Orcomeno (Strabone VIII, 6, 14, 374), fino al riconoscimento pieno della straordinaria importanza di Asclepio e di come il suo santuario-ospedale fosse un unicum in tutta la Grecia continentale, la Magna Grecia, la Ionia e, perfino, della terra degli Ittiti, l’odierna Turchia.
Il potere taumaturgico del figlio di Apollo, per chi ne avesse voglia, è testimoniato dalle migliaia di ex voto e di epigrafi in loco e, perfino, dalla descrizione dei miracoli che vi si verificavano. Come quello di un ragazzino muto fin dalla nascita, che addormentato dai medici-sacerdoti, con la tecnica che vi ho raccontato, al suo risveglio, quando uno dei sacerdoti chiese al padre se volesse continuare la cura e se avesse denaro a sufficienza per poterla pagare, il ragazzo intervenne a gran voce, dicendo che sì, egli avrebbe voluto rimanere ancora in ospedale, perché ora potesse imparare anche a cantare (sic!).
Ora non mi resta che tornare al teatro di Epidauro, con la sua straordinaria acustica, insieme ad un folto gruppo di ospiti dell’Albergo dei pellegrini, per assistere alla “prima” del Discorso di Aristofane, una “piece” dissacrante sulla professione del medico. È bastato solo il prologo a far scoppiare dalle risa quasi tutti gli spettatori, malati compresi. Il coro racconta come fosse stato lo stesso Aristofane a farsi passare il singhiozzo applicando un rimedio (la stimolazione allo starnuto) suggeritogli dal medico Erissimaco, il cui nome, guarda caso, significava, non ci crederete, “lo strenuo combattente contro il rutto”. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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