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Agrigento, il rigassificatore a 1 km dalla Valle dei Templi: «un progetto folle conto la nostra storia»

di Italia Libera   
Agrigento, il rigassificatore a 1 km dalla Valle dei Templi: «un progetto folle conto la nostra storia»

La riesumazione del progetto di un rigassificatore a ridosso del Tempio della Concordia e sulla soglia di casa di Luigi Pirandello non risolverebbe l’emergenza energetica immediata conseguente alla guerra in Ucraina. Rappresenterebbe una minaccia per le comunità: pericolo di incidenti rilevanti, vulnerabilità agli attacchi terroristici, impatto ambientale e ricadute sul turismo e sull’industria della pesca. Perché non trasformare gli impianti del petrolchimico di Gela, Priolo, Milazzo, Porto Empedocle, in impianti di biocarburanti di alta qualità, idrogeno e in centrali a solare termico con la tecnologia sperimentata da Rubbia? Potrebbero contribuire alla riduzione delle emissioni e ad alimentare la rigenerazione urbana

L’intervento di  ALESSIO LATTUCA, presidente Confimpresa Euromed

CIRCA VENT’ANNI fa la “saga dell’impianto di rigassificazione” di Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, a due passi dalla Valle dei Templi, è stata giustamente vissuta come una scelta scellerata, sia dal punto di vista territoriale ed energetico, sia sotto il profilo occupazionale, per il bilancio negativo tra il potenziale di occupazione dell’impianto di rigassificazione e quello delle bonifiche o dello sviluppo di energie rinnovabili. Una vera minaccia per le comunità, private della legittima possibilità di “scegliere”. Infatti, sono ben note le conseguenze dannose che la presenza del rigassificatore comporterebbe; ad esempio, il pericolo di incidenti rilevanti, la vulnerabilità rispetto agli attacchi terroristici, l’impatto ambientale e le ricadute sul turismo e sull’industria della pesca. Inoltre, è stato spiegato da soggetti qualificati e competenti, in possesso di dati concreti, che il rigassificatore non produrrebbe nessun utile in termini occupazionali: i posti di lavoro, compresivi dell’indotto, sarebbero poche decine, peraltro talmente specializzate da non essere presenti sul territorio. 

A tale proposito è utile ricordare che oltre settemila cittadini nella sola città di Agrigento si sono recati alle urne votando contro l’impianto, e che il Comune di Agrigento, la Camera di Commercio, il Comitato “No rigassificatore”, la Confimpresa Euromed, Medit, il Cerchio, il Parco Pirandello e altri enti e associazioni e semplici cittadini hanno presentato ricorso contro il progetto dell’impianto di rigassificazione, collocato a ridosso della Valle dei Templi (Patrimonio dell’Umanità), in zona Kaos, sulle argille azzurre di Pirandello. Un aspetto di non secondaria importanza poi, è che il progetto del rigassificatore di Porto Empedocle è stato già ‘bocciato’ con il ‘No’ agli aiuti di Stato da parte della Commissione Europea per la Concorrenza, a seguito del ricorso presentato da Confimpresa Euromed; circostanza questa che ha spinto Enel Nuove Energie a rallentare e infine a recedere dal proposito, proprio per il venir meno dei contributi pubblici. 

Ad ogni modo, se corrispondesse al vero l’assunto che i rigassificatori possano svolgere una funzione rilevante per l’emergenza energetica di questi mesi, basterebbe valorizzare gli impianti esistenti nel Paese. Attualmente i rigassificatori attivi in Italia sono quello di Panigaglia nel golfo di La Spezia, di proprietà di Snam con una capacità di 3,5 miliardi di metri cubi l’anno, l’Adriatic Lng di Rovigo da 8 miliardi di metri cubi, di proprietà di ExxonMobil e Qatar Petroleum, e quello galleggiante al largo di Livorno, da 3,75 miliardi di metri cubi, che fa capo per il 49% a Snam e per il 48% al fondo australiano First Sentier Investors. Lo scorso anno questi impianti non sono stati utilizzati al massimo delle loro potenzialità: hanno trattato solo 9,8 miliardi di metri cubi importati da Qatar, Algeria e Stati Uniti a fronte di 15,3 di capacità complessiva che potrebbe arrivare a 20 miliardi di metri cubi se il Governo riuscirà ad aggiudicarsi almeno una di quelle che in gergo vengono chiamate “Floating storage regasification unit” con una capacità di 5-6 miliardi di metri cubi. 

Posto che l’impresa della realizzazione del rigassificatore vada in porto, occorre trovare il gas. Al netto degli annunci di Washington, infatti, sul mercato non c’è disponibilità di gas liquefatto. Anche se gli Usa nel medio periodo aumentassero l’offerta, quest’ultima resterebbe comunque limitata fino al 2025, tenuto conto del fatto che ogni fornitore è vincolato a contratti già stipulati e che non può venir meno agli impegni assunti con le controparti per dirottare Gnl verso l’Europa. In ogni caso, il costo sarà ben superiore a quello delle importazioni dalla Russia, che avvengono in buona parte sulla base di contratti di fornitura di lungo periodo e che non comprendono la tariffa per l’uso del rigassificatore. Per far fronte all’emergenza del caro prezzi, quindi, sarebbe molto più utile che il Governo verificasse la proporzione tra l’incremento reale del costo delle materie prime e l’indiscriminato aumento delle tariffe posto in essere dalle grandi aziende (Eni, Enel, Snam), seguendo l’esempio della Francia, che ha introdotto un tetto del 4% ai rincari.

Ad ogni modo, l’eventuale, ma molto improbabile, riesumazione del progetto di Porto Empedocle non rappresenterebbe una risposta all’emergenza, in quanto occorrerebbero molti anni per riattivare l’iter burocratico di approvazione e altrettanti per la costruzione e la messa in funzione dell’impianto. Nel frattempo, si spera non si discuterà più di idrocarburi. È evidente che per sottrarsi alla dipendenza energetica dai paesi che chiudono i rubinetti del gas secondo i loro interessi, occorra accelerare sulle fonti rinnovabili. Infatti, l’aumento dei prezzi di molte materie prime è legato non solo alla situazione congiunturale che stiamo vivendo, ma anche a una tendenza strutturale, in un contesto globale di consumi crescenti di materiali la cui disponibilità non è illimitata.

La transizione verso modelli di produzione e di consumo circolari è dunque sempre più una necessità non solo per la sostenibilità ecologica, ma anche per la solidità della ripresa economica e la competitività delle imprese. Sarebbe auspicabile, quindi, la predisposizione di progetti da inserire nel Pnrr che avessero ad oggetto il rifacimento del porto, l’attivazione dei processi di riconversione, interventi di riqualificazione di tutta l’area, come la demolizione di edifici in rovina, al fine di incrementare investimenti sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Progetti quali la trasformazione degli impianti del petrolchimico (realizzati a partire dagli anni ’60) di Gela, Priolo, Milazzo, Porto Empedocle, in impianti di biocarburanti di alta qualità, idrogeno e di centrali a solare termico con la tecnologia sperimentata da Rubbia. Interventi che potrebbero contribuire, non solo alla riduzione delle emissioni, ma, al tempo stesso, alimentare politiche di rigenerazione urbana. Un vero piano di sviluppo appositamente studiato per limitare le superfici occupate, con l’obiettivo di perseguire la sostenibilità ambientale, valorizzando il territorio e di conseguenza il tessuto sociale. 

L’obiettivo di tali politiche sarebbe anche quello di risarcire la Sicilia per i danni ambientali subiti e per quelli alla salute sofferti dai cittadini, vittime del degrado ambientale dovuto all’industria, causato da un malinteso senso dello sviluppo, che ha arricchito i soliti e impoverito e inquinato una regione ricca di risorse e biodiversità, che avrebbe potuto, e dovrà, individuare progetti sostenibili. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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