A spasso con Castore e Polluce, tra intemerate di Licofrone, epos omerico e miti ancestrali

Mentre cerco di non prendere cappello per una rampogna del poetastro euboico, ecco affiancarmi, come per sortilegio (non a caso qui, nella terra degli Dei, tutto è possibile), due giovani di bellissimo aspetto, che non faccio fatica (non chiedetemi come) ad identificare come i Dioscuri. Narrano dei templi e dei santuari a loro dedicati, come quello di Locri Epizefiri nell’attuale Calabria e quello del Foro romano nella città eterna. Evocano le battaglie e le vicende — a cavallo tra Atene, Sparta e Roma — che hanno segnato la vita dei due singolari gemelli: probabilmente la fusione di due coppie distinte, una di divinità celesti e una di eroi spartani
Nella foto sotto il titolo, scultura in marmo dei gemelli del mito; qui in alto, le tre colonne superstiti del tempio di Castore e Polluce nel Foro romano della capitale
Il racconto di ARTURO GUASTELLA, nostro inviato nella Magna Grecia
CON ANCORA NELLE ORECCHIE e nella mente, gli echi funebri delle grida di Cassandra e dei suoi due figli avuti da Agamennone, trucidati a colpi d’ascia da Clitemnestra e dal suo amante Egisto, il primo appena uscito dal bagno del palazzo reale e i secondi proprio sulla strada prospiciente la famosa Porta dei Leoni, avevo imboccato la via che da Micene conduce ad Argo, quando mi raggiunge, in affanno per la corsa, Licofrone, uno dei poeti greci tragici della Pleiade (IV sec. a.C.). Mi rampogna per non aver letto il suo “Alessandra”, altro nome della figlia di Priamo, dove avrei potuto, a suo dire, trovare tutti gli spunti della tragedia che aveva colpito la profetessa troiana, il cui destino era stato quello di non essere mai stata creduta. Mentre i suoi vaticini, sempre veritieri e sempre inascoltati, a partire dal famoso cavallo di Epeo, sino alla tragica fine del Re di tutti i Greci e al destino fatale che, essa stessa aveva previsto per sé, dopo lo stupro di Aiace e la sua convivenza coatta con Agamennone. «Eppure — continua Licofrone — il mio poema è stato sicuramente letto dal tuo Giovanni Boccaccio (De Claris Mulieribus), dall’inglese Chaucer (“La leggenda delle Donne Esemplari”), di Settles (“Virgin Prophetess”) e dello stesso poeta di Stratford on Evon, di Shakespeare nel suo “Troilus and Cressida”. Ma già, tu, uomo della Magna Grecia, forse conosci soltanto Diodoro Siculo, Timeo o il solito Strabone».
Il tempio ionico di Locri Epizefiri: sul fronte occidentale erano poste le sculture in marmo dei Dioscuri
Mentre cerco di non prendere cappello per questa settaria intemerata del poetastro euboico, ecco affiancarmi, come per sortilegio (non a caso qui, nella terra degli Dei, tutto è possibile), due giovani di bellissimo aspetto, che non faccio fatica (non chiedetemi come) ad identificare come i Dioscuri, Castore e Polluce, che stazionavano nelle vicinanze, forse per dare manforte, nel caso, alla sorella Clitemnestra. «Ho sentito parlare di Magna Grecia — mi dice Castore — una terra che noi conosciamo molto bene, tanto che a Locri Epizefiri c’è un nostro santuario, per aver aiutato i Locresi, nel 540 avanti Cristo, nella battaglia del fiume Sagra, contro i Crotoniati e il loro esercito che, malgrado il numero preponderante di opliti che avevano schierato, subirono una cocente sconfitta». E, forse, non per niente sono semidei, cogliendo il mio sguardo perplesso per la loro stretta parentela con Elena (altra loro sorella) e Clitemnestra — la prima per essere stata la causa della guerra di Troia e la seconda, infedele e cinica uxoricida — interviene l’altro Dioscuro, Polluce: «te lo raccomando il re di tutti gli Argivi, che non aveva esitato a sacrificare la figlia Ifigenia alla sua voglia guerrafondaia e per le sue ambizioni di potere…». «Comunque — interviene l’altro fratello — visto che vuoi andare ad Argo, forse la città più antica dell’intera Grecia, chiedi del suo re, Acrisio, che, per sete di potere, non esitò a scacciare il fratello Preto, e la cui figlia, Danae generò Perseo, cui era stato vaticinato che sarebbe stato l’uccisore del nonno. Di se stesso, quindi, e, perciò, decise di rinchiudere madre e figlio in un’arca che gettò in mare, sperando che fossero inghiottiti dai flutti.
Dall’epos omerico, ora siamo in pieno mito e, perciò, mi aspetto che da un momento all’altro mi venga in soccorso il poeta anglosassone Robert Graves, che dei miti greci sa proprio tutto. E, invece, nisba! Eccomi, perciò, ad Argo, che dell’antico splendore, conserva ben poco, tranne qualche testimonianza dell’antica Agorà, portata alla luce da Heinrich Schiliemann. Qui, dal beninformato archeologo Yorgos Zissimos, vengo a sapere che Danae e il figlioletto Perseo, vennero salvati dalle acque e il giovane, partecipando ai giochi di Larissa, e cimentandosi nel lancio del disco, colpì involontariamente con l’attrezzo il nonno, che in questa città della Tessaglia si era rifugiato, dopo aver saputo che Perseo non era perito in mare, causandone la morte. Ma come si erano salvati Euridice e il figlioletto? «Non a caso, Perseo era figlio di un Nume, Apollo — è il racconto del prof. Zissimos — il quale, a sua volta, chiese l’aiuto di Zeus, il quale fece approdare intatta la cassa con Euridice e il figlio, in riva alla città di Serifo, dove i due naufraghi furono accolti dal re Polidette, che li ospitò nel suo palazzo.
Il Tesoro di Atreo, la mitica tomba di Agamennone
Prima di invidiarmi per questi miei percorsi epico-mitologici, vi ricordo che qui la temperatura ha sfiorato, un giorno sì e l’altro pure, i quaranta gradi, per cui mi è toccato fermarmi più volte in qualche “taberna” e rinfrescarmi con il vino resinato di Asclepios. Non a scapito, voglio illudermi, della fluidità del racconto. Tuttavia, poiché mi ha intrigato (e non poco) la presenza dei Dioscuri in Calabria, vorrei saperne di più, e, quindi, rifaccio la salita fino a Micene e, proprio di fronte al “Tesoro di Atreo” (il mausoleo del padre di Agamennone e di Menelao), subito fuori la cinta muraria della città, mi avvicino ai Dioscuri che, ancora, stazionavano nei pressi. Stavolta è lo stesso Polluce, a raccontarmi come in Magna Grecia (e non solo), la loro improvvisa apparizione (epifania) nel campo di battaglia, in aiuto delle poleis che in qualche modo avevano origini peloponnesiache (Argo nello specifico, ma anche Sparta), era dovuta ad una precisa scelta del loro padre putativo Tindaro, il quale a sua volta era accorso sempre in aiuto delle genti della sua stirpe. Ed allora, mi viene spontaneo chiedere, come mai fu registrata (sic!) la loro presenza nella battaglia del lago Regillo, del 496 avanti Cristo, nel cuore della Sabina, cioè nel Lazio? «Mi meraviglio della tua meraviglia — non ricordo da quale dei divini fratelli, venne la precisazione — in quanto il nostro culto fu, per così dire, adottato dalla gens latina. Forse non sei mai stato a Roma?». Azz! Ora che mi viene in mente, ricordo che nel Foro romano, nel 484 a.C., venne eretto un tempio, dedicato, come voi, più informati di me, certo saprete proprio ai Dioscuri. © RIPRODUZIONE RISERVATA