5/ Castoro sì, castoro no. Non c’è accordo tra gli esperti. Ma nella Ue ora è presente in 22 Paesi

Agli inizi del Novecento, i castori – che prima erano diffusi in più parti d’Europa- sono rimasti in poche centinaia, e solo in un paio di posti: tra il Rodano e l’Elba, e una piccola parte anche in Norvegia. Ora sono diffusi in tutta l’Europa, e nell’Unione la loro presenza è segnalata in 22 Stati su 27. Bruxelles guarda con simpatia a questa specie, considerandola europea (in quanto riconosciuta come euroasiatica). Ma ai simpatizzanti si aggiungono gli entusiasti, come avviene in Gran Bretagna dove si pensa d’introdurre il castoro nei grandi parchi di Londra. E mentre diverse specie animali introdotte in natura in habitat dove non sono presenti hanno causato inaspettati problemi, per il castoro molti sono convinti che la sua diffusione provocherebbe straordinarie buone conseguenze, a cominciare da un arricchimento della biodiversità
Il reportage di MAURIZIO MENICUCCI
AL PRINCIPIO DEL secolo scorso, i castori europei, prima comunissimi, erano ridotti a poche centinaia tra il Rodano e l’Elba, e a qualche decina in Norvegia. Poi, tutelati e reintrodotti, si sono ripresi e oggi vivono in 22 paesi dell’Unione, stimati in un milione di esemplari. I ritorni più simili a quello italiano, quasi una fotocopia, sono quello britannico e quello spagnolo, anche se con esiti diversi. In Gran Bretagna, dove si erano estinti nel 1600, la riscossa è cominciata negli anni ’90, dalla Scozia, dove alcuni individui, fuggiti da tenute private, hanno cominciato a riprodursi in libertà. Dopodiché il confine tra rilasci sperimentali, evasioni pilotate ed espansione naturale s’è ingarbugliato. Quel che è certo è che a portarli all’estremità opposta dell’isola è stato il Devon Wildlife Trust, che un decennio fa ne aveva sistemati ‘un paio’ in un’area recintata di tre ettari sul fiume Otter (in inglese: lontra…). Chiarisce Mark Elliott, portavoce dell’associazione: «Volevamo vedere se avrebbero favorito gli habitat aperti, importante per molte farfalle e fiori selvatici». Il risultato è andato oltre le attese. «La modifica dell’ambiente operata dai castori si sta rivelando ottima, rinnova a amplia la biodiversità animale e vegetale e riduce l’inquinamento, filtrando l’acqua contaminata da letame e fertilizzanti».
fonte: TuBiDu
Dove si sia fermato il test, però, non è chiaro, perché improvvisamente i castori hanno cominciato a spuntare prima lungo tutto l’Otter, poi in Galles, infine dovunque. Dopodiché, la polemica tra gli ambientalisti, coalizzati nel Beaver’s Trust, e la Britain’s National Farmers Union, sindacato degli agricoltori, s’era fatta rovente. A chiuderla, forse per sempre, è stata — siamo nel Regno Unito! — la forza della tradizione: una norma feudale, la stessa, per intenderci, che aveva stretto una corda d’oro al collo di Jordie per aver rubato ‘due cervi nel parco del re vendendoli per denaro’; e che ancora oggi assegna ai Windsor la proprietà esclusiva della selvaggina più nobile. Così, sotto il minaccioso patrocinio dell’attuale monarca, Carlo d’Inghilterra, appassionato ai privilegi del blasone non meno che ai diritti dell’ambiente, i castori britannici hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 3 mila. Le ultime nuove da Albione le porta a Firenze Edward Cutler, giovane inglese che da anni segue la ricomparsa locale della specie. Senza nascondere la soddisfazione per gemellaggio biologico che simbolicamente conferma la sua scelta di trasferirsi in via definitiva in Maremma, dopo la Brexit, Edward racconta che «sull’onda della popolarità, alimentata da documentari come il celebre “Beavers without Borders”, della Cnn, i castori inglesi si preparano a entrare trionfalmente anche nei parchi cittadini, dove gli esperti propongono di introdurli, cominciare proprio da Londra».
Più precaria la loro nuova esistenza sull’Ebro, in Spagna, dove, rilasciati ‘di frodo’ una decina d’anni fa, forse sempre a opera della stessa setta di ‘Beavers’ Friends’ radicali, oggi sono un centinaio. Quanti, cioè, potrebbero essere tra un anno o due in Italia, con la differenza che la loro storia nella Penisola Iberica è molto meno certa: secondo alcuni, o non ci sarebbero mai stati, cosa improbabile, o risalgono a tempi molto antichi, anche se in Portogallo le loro ultime tracce sembrano contemporanee a quelle italiane e inglesi. Questa incertezza li priverebbe dello status di specie autoctona che Madrid, di fatti, esita a concedere, sperando che nel frattempo trappole e fucilate le risolvano il problema. Per Bruxelles, al contrario, è proprio il nome di castoro euroasiatico a dichiararla specie tipica di tutto il Vecchio Continente e per ciò da proteggere, a rigore delle numerose leggi che dichiarano intoccabili gli animali selvatici e i loro habitat.
E l’Italia? Come al solito, è plurale nelle opinioni al limite dello schizofrenico, anche se poi, sotto le sottigliezze di un dibattito che sembra frantumare le parti, si sentono pulsare più le convenienze che le convinzioni. Chi più, chi con maggior prudenza, tutti i relatori del convegno hanno portato nuovi dati sulla compatibilità e sulla potenza del castoro come risanatore della natura e regolatore dei flussi idrici. S’è detto, e nessuno ha eccepito, che laddove lo hanno reintrodotto in buon numero, le inondazioni, così come i fenomeni di siccità, si sono più che dimezzati. Assodato, poi, che il concetto di danno è discutibile e particolare, mentre se il fiume può allargarsi e ‘respirare’, i benefici sono generali, anche il sospetto che il castoro possa ostacolare la biodiversità ittica, favorendo le specie di acqua ferma a scapito di quelle di corrente, non sta in piedi. Secondo un recente lavoro dell’Università di Exeter, nelle piscine create dalle loro dighe, la varietà dei pesci e la loro quantità sono aumentate del 37 per cento, rispetto ad altri punti del fiume. Quanto agli alberi, i castori rivolgono i loro incisivi solo ai tronchi giovani di diametro inferiore a 30 centimetri, anche per ovvie ragioni di peso, visto che poi devono trascinarli e, sempre a forza di denti, sistemarli. Dunque, diradano il bosco, lasciando più spazio ai fusti maggiori.
Sembrerebbe la premessa per un liberatorio “crescete e moltiplicatevi”. Invece, no, perché se sull’utilità del castoro gli studiosi concordano, invece sulla sua sopravvivenza nell’Italia Centrale prevale il pollice verso, e proprio a causa di quell’introduzione ‘non autorizzata’, che, come tutti i peccati originali, non è lui ad aver commesso. La condanna è avallata, oltretutto, dalla massima autorità pubblica in fatto di fauna selvatica, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Ed è condivisa, a sorpresa, anche da chi, come il friulano Lapini, quando va a vedere il Ponta, si commuove come fosse un’epifania. Il biologo torinese Sandro Bertolino, presidente dell’Associazione Teriologica Italiana, la riassume così: «Accettare la presenza dei castori eurasiatici in Italia centrale, verosimilmente frutto di immissioni illegali, costituisce un pericoloso precedente, in grado di innescare analoghe iniziative nel futuro. Ragion per cui chiediamo un piano per rimuovere gli animali». Più sfumate, e anche un po’ fumose le voci contrarie. Come Franco Tassi, per il quale «Nel valutare situazioni del genere, ci sembrerebbe più appropriato considerare l’ecosistema nel suo equilibrio dinamico, e nelle continua evoluzione, anziché limitarsi agli aspetti statici teorici»; o come Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), che, «pur contrario a immissioni clandestine», dice di «non condividere assolutamente posizioni così drastiche in casi come questo, perché si tratta comunque di fauna selvatica storicamente presente in Italia. I piccoli nuclei di castoro dell’Italia centrale dovrebbero essere oggetto di monitoraggio ambientale e, se ben inseriti sul piano naturalistico, tutelati in vista di una futura e auspicabile espansione dell’areale».
Un’osservatore interessato al verdetto, non potrebbe, a questo punto, che domandare alla giuria quando e come verrà eseguita la sentenza capitale. «E sbaglierebbe» — mi fa sottovoce il biologo forlivese Giancarlo Tedaldi, mentre Cutler, perfino lui che viene da Oltre Manica, se la ride perché ha capito tutto. «Mettiamola così — continua Tedaldi — in Italia circolano milioni di cinghiali e di nutrie, specie che, quelle sì, rompono le tasche senza possibilità di smentita. Poi, se vogliamo restare in zona, nei boschi dell’Appennino tosco-emiliano, abbiamo un’invasione di procioni, gli orsetti lavatori americani, scappati da gabbie e giardini, che sono simpaticissimi, ma creano montagne di problemi ecologici sanitari: non si riesce a fermarli, figurati eradicarli. Vogliamo parlare dei gamberi della Louisiana? O delle tartarughe d’acqua dolce tropicali? Crediamo seriamente che qualcuno si metta a perseguitare cinquanta castori?».
Dunque, quella che si offre ai castori da chi li vorrebbe lasciare dove sono, ma non osa confessarlo, è una salvezza pragmatica: una soluzione all’italiana, che potrebbe anche bastare, se non si trattasse, in realtà, di una pena differita, una vera e propria ‘fatwa’, che chiunque potrebbe eseguire per conto suo, come e quando vuole, su animali non protetti. Perciò, nemmeno i princìpi ne escono così integri come si vorrebbe far credere. Senza considerare il paradosso che i castori, benché illegalmente, si trovano molto meglio sull’Appennino, in gran parte spopolato e riconquistato dalla vegetazione spontanea, che sulle Alpi, dove comunque sono stati reintrodotti, anche se questo è avvenuto in Austria e Slovenia, e non direttamente in Italia. Ma forse è più saggio pensare che ci sono state vere e proprie civiltà del castoro. Nelle culture dei nativi del Nord America, ad esempio, la cui consapevolezza ecologica continua a stupirci e a ispirarci, era considerato una delle principali specie totemiche, per la sua operosità e la capacità di costruire e mantenere gli ambienti, e il Canada, accogliendo questa tradizione, lo ha dichiarato nel 1975 ‘animale nazionale’. Oggi potremmo invertire l’ordine del binomio e parlare di ‘castoro della civiltà’: se 22 paesi dell’Europa a 27 lo hanno reintrodotto e protetto, forse varrebbe la pena accettare il dato di fatto. Perché mai, solo l’Italia, per rispettare un principio astratto, oltretutto smentito tutti i giorni, dovrebbe dire di no a una presenza che risarcisce la Natura di una piccolissima parte di quel che le abbiamo tolto, e di cui anche noi ci siamo privati, in nome del profitto? (5. fine; la prima puntata è stata pubblicata il 23 febbraio 2023, la seconda il 26 febbraio 2023, la terza il 6 marzo 2023; la quinta il 10 marzo 2023) © RIPRODUZIONE RISERVATA