4/ Operazione castori. Cosa c’è dietro il loro insediamento e cosa può succedere

Ma che sta succedendo con tutti questi castori che in Italia “conquistano” territori diversi in diverse regioni? Il sospetto – molto motivato – è che sia stato introdotto e diffuso volontariamente, e anche con una certa competenza e abilità. Infatti l’improvvisa diffusione del roditore sembra – per come sta avvenendo – la conseguenza di una “operazione rilascio volontario”. Non è possibile che il “castoro italico” diffuso un tempo nelle terre medicee, sia rimasto inosservato per oltre mezzo secolo, per poi riapparire come se nulla fosse. Quindi c’è stata un’operazione castoro, ma soprattutto un’operazione riuscita impeccabilmente
Il reportage di MAURIZIO MENICUCCI
AL CONVEGNO DI Sesto Fiorentino la definizione tabù, troppo a lungo rimandata, alla fine è stata pronunciata: rilascio volontario. Significa che in centro Italia il ‘Castor Fiber’, con tale nome ‘sistemato’ da Carl Von Linnaeus nella sua casella naturale, è stato introdotto, qualche anno fa, e nessuno, ormai, lo nega. È vero che fino al 1600 c’erano anche qui, come osserva, ad esempio, Franco Tassi, storico direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo e decano dei naturalisti italiani, a proposito del lago laziale di Posta Fibreno, al confine con Abruzzo e Molise. “Il nome deriva, forse, da Fiber’, e sembra confermare l’antica italianità della specie”, spiega Tassi, anche se, questo modo, diciamo onomastico, di risalire alle origini nostrane del castoro, finisce per metterlo in imbarazzante compagnia con l’ex presidente brasiliano Bolsonaro, che invoca asilo in base al cognome veneto. Tuttavia, non è plausibile, nemmeno a livello di ipotesi, che qualche nucleo di quei castori medicei sia sopravvissuto per mezzo millennio senza farsi notare; così come è escluso che siano scesi dalla Mitteleuropa, attraverso quella pianura padana, dove anche i lombrichi, oggi, sono contati. Poi, va bene che, con i suoi 25 chili, somiglia a un’enorme nutria con la coda piatta, ma confonderli, per gli specialisti che fanno questi censimenti, è impossibile. Semmai, per via della taglia, è più probabile scambiare la lontra con la nutria, parola che gli spagnoli avrebbero derivato proprio dal latino “Lutra”.
Anche il comportamento dei castori e gli effetti della loro presenza sugli ambienti ripari son ben diversi, senza dubbio meno dannosi, di quelli della nutria, che gli argini li distrugge. Dunque, l’ultimo censimento, che ha portato i ricercatori di “Rivers with Beavers” a battere anche i più piccoli corsi d’acqua dell’Italia di mezzo a piedi, in kayak e a bagno-maria, è più che credibile: i roditori ben insediati a Civitella Paganico, nel Grossetano, dove siamo ora, a San Sepolcro, nell’Aretino, dove hanno già tirato su una piccola diga, a Murlo, Monticiano e Montalcino, nel Senese, a Città di Castello, Deruta e Urbino, nel Perugino-Pesarese, a Mercatello sul Metauro e a Terni, nelle Marche, e da pochi giorni anche nel Reatino, oramai in marcia su Roma. E suggerisce anche, lo studio sul campo, che chi li ha liberati ha seguito un progetto scientifico, e lo ha fatto molto bene, come solo un esperto saprebbe fare. Ha selezionato esemplari selvatici geneticamente impeccabili, della sottospecie ovest europea, che nulla hanno a che fare con gli individui in cattività in alcuni bioparchi locali, come lo zoo di Poppi, dai quali, perciò, non possono essere usciti. Inoltre, li ha distribuiti in un territorio vasto, scegliendo aree nascoste e poco frequentate, dove potessero moltiplicarsi prima di essere scoperti, ma, troppo lontane, una dall’altra, almeno all’inizio, per immaginare che si siano irradiati da soli. La dispersione naturale può essersi verificata in seguito, seguendo gli assi fluviali, soprattutto il Tevere e l’Ombrone, ma è chiaro che ‘l’Operazione Castoro’ è partita puntando subito su numerosi siti, per avere maggiori probabilità di successo. Ed è perfettamente riuscita.
Secondo le ultime stime, oggi sarebbero una cinquantina e se lasciati tranquilli, hanno tutte le possibilità di colonizzare altre zone. Ma, sul lasciarli proliferare in pace, gli esperti suggeriscono cautela, per evitare scontri frontali con chi teme di dover fare spazio ai corsi d’acqua ‘castorizzati’. Come ricorda Luca Lapini,zoologo del Museo friulano di Storia naturale di Udine, “il castoro è un moltiplicatore di vita. Se si stabilisce in un tratto di fiume montano, lo trasforma, moderando la corrente, in una serie di bacini interconnessi da aree umide, dove altri organismi cominciano a proliferare in un modo impressionante. Nell’arco di due anni la biodiversità aumenta del 200 o anche del 300 per cento”. A spese, quasi sempre, dell’agricoltura, è vero; però, a rigor di logica, non si tratterebbe di appropriazione indebita di terreni, ma di risarcimento, perché sono stati i coltivi a sottrarre le sponde naturali e gli alvei secondari ai fiumi, che oggi, trasformati in canali, s’imbizzarriscono, trascinando a valle ponti, strade, case e cristiani, e non riescono più a cedere acqua alle terre che attraversano. Ma le resistenze sono forti: si potrebbe banalmente concludere che i castori non votano, e perciò, almeno in Italia, la fine è nota, ma il dibattito non è banale e le esperienze di altre nazioni europee sono molto utili, per comprendere sia chi è che semina i castori, e perché lo fa, sia le ragioni di chi si oppone. (4. continua; la prima puntata è stata pubblicata il 23 febbraio 2023, la seconda il 26 febbraio 2023, la terza il 6 marzo 2023) © RIPRODUZIONE RISERVATA