1/ La grande sete. L’emergenza siccità e il caso Italia: gli sprechi e gli errori della politica

Si avvicina un’estate che potrebbe essere drammatica. Si prevedono temperature più elevate della media degli anni passati, e al contempo meno precipitazioni: l’emergenza in Italia sarà per tutti i fronti dell’economia, dall’agricoltura che produrrà di meno (e in alcuni casi rischierà il collasso) ai disagi per il turismo. Quello che i Paesi del Terzo mondo hanno sempre sofferto ora lo soffriranno di più. Comincia un tempo di nuove migrazioni, ad inseguire un clima più favorevole, cercando acqua da bere e per irrigare. Ma la novità è che questo flagello colpirà anche Paesi che per tanti anni hanno vissuto il benessere, un clima favorevole, piogge regolari. Anche l’Italia dovrà fare i conti con una nuova stagione che potrebbe diventare sempre più difficile. Pagando il conto di pianificazioni maldestre, di sprechi, di mancata manutenzione degli impianti, tutti gli errori di una politica colpevole
L’analisi di FABIO MORABITO
VIVIAMO NEL PIANETA dell’acqua e lo chiamiamo Terra. Non è l’unico pianeta d’acqua, e perfino nel sistema solare non è quello con più acqua (a Ganimede, luna di Giove, si riconosce questo primato; anche se laggiù l’oceano liquido è sotto un involucro di ghiaccio). Ma dall’acqua siamo dipendenti in tutto. Definito “oro blu” per questo suo valore incredibilmente non compreso, quando apriamo un rubinetto e “lasciamo scorrere”. Il 71% della superficie terrestre è fatta di acqua, ma meno dell’1% è acqua dolce in forma liquida. L’oro blu, appunto. Che potrebbe diventare una causa – ebbe a dire Kofi Annan, diplomatico ghanese che è stato Segretario generale delle Nazioni Unite – all’origine delle guerre del XXI secolo.
Perfino nei conflitti locali con attori globali, come la guerra che si è esasperata in questi giorni nel Sudan tra forze militari e paramilitari, l’acqua gioca un suo ruolo, almeno in prospettiva. Perché l’Etiopia, che sta concludendo i lavori di una diga gigantesca che governerà parte delle acque del Nilo azzurro, vede la necessità di un’amicizia con il Sudan, con il quale confina, come l’Egitto. Ma quest’ultimo sente minacciata dalla grande diga etiope la sua “sicurezza idrica”.
Il diritto all’acqua potabile è sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma nella realtà sono quasi ottocento milioni gli abitanti del mondo (prevalentemente dell’Africa sub-sahariana) che non hanno sufficiente accesso a una fonte sicura, e quindi sono esposti a gravi e fatali malattie. Solo la dissenteria causata da acqua non potabile provoca ogni anno una cifra vicina al milione di morti. E se ormai è normalità parlare di “migranti climatici” in fuga – ma non necessariamente verso l’Europa, anche solo verso Paesi confinanti – soprattutto perché non c’è abbastanza acqua per vivere, le cifre sul mondo che soffre la “grande sete” sono nell’ordine di oltre 1,2 miliardi di esseri umani.
I cambiamenti climatici, poi, portano l’emergenza nei Paesi del benessere. Dove l’acqua si è sempre sprecata, ora manca. Non piove più abbastanza per dare energia ai fiumi, per dare livello ai laghi, e quando piove questo avviene in tempi sincopati. E così succede che le coltivazioni debbano soffrire per un tempo la siccità, per un altro i grandi temporali e le conseguenti alluvioni. E se nell’agricoltura si studiano tecniche sempre più efficaci di irrigazione, coinvolgendo i satelliti nel monitorare le necessità della terra – ma non tutti possono permettersi di pagare il progresso – l’innalzamento della temperatura rende necessaria più acqua, quando al contrario sta piovendo sempre di meno.
Nei Paesi poveri i cambiamenti climatici stanno avendo gli effetti più drammatici, ma ormai un futuro che si immagina cupo incalza il benessere diventato incerto dei Paesi ricchi. L’Europa si sta muovendo e il tema di come affrontare la siccità incombente è più o meno nell’agenda di tutti i governi. Anche in quella dell’Italia, e Palazzo Chigi ha stabilito di volersi dare un piano contro la crisi idrica. Commissario, cabina di regia, semplificazioni: al di là della parole di sempre, sarà un esame per l’esecutivo che dovrà dimostrare – in un processo visibile – di saper affrontare l’emergenza programmando il futuro. Perché questo è stato l’errore capitale della politica in questo collasso idrico: non pianificare, non programmare, non farsi trovare pronti. La crisi dell’acqua si poteva prevedere? “Sì, questa crisi si poteva prevedere, e la previsione era certa, certissima” si era risposto il politologo Giovanni Sartori, sul “Corriere della Sera”, già all’inizio del nuovo secolo (un editoriale del 18 luglio 2002). Ora si può solo sperare che le scelte politiche facciano tesoro di quanto possano insegnare gli errori e gl’ignavia passata, e che non inseguano il teatro della visibilità.
Il Commissario per l’emergenza idrica avrebbe dovuto essere già nominato nel luglio scorso. Lo aveva annunciato il governo guidato da Mario Draghi. Era perfino stato deciso per quanto tempo sarebbe stato operativo: fino alla fine del 2024. Ma poi, il Consiglio dei ministri del 4 luglio 2022 si limitò a proclamare lo Stato d’emergenza per la siccità in cinque regioni del Nord, e a procrastinare il decreto che avrebbe previsto un Commissario, con ampi poteri anche di spesa, e una struttura ad hoc alle sue dipendenze per interventi rapidi e in autonomia. Si era già in ritardo, perché in piena estate, ma poi non se ne fece nulla. Il governo perse il sostegno di tre partiti rappresentati nell’esecutivo; non fu tecnicamente sfiduciato ma il segnale era sufficiente per far dimettere Draghi. La decisione conseguente del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella fu quella di sciogliere le Camere.
Quel percorso viene ora recuperato; un anno dopo, oppure – guardando in positivo – due mesi prima rispetto all’incombere della stagione critica. È un’emergenza che sta mobilitando tutta l’Europa e che nel nostro Paese ha già fatto danni importanti negli ultimi anni. In poco tempo l’Italia, da prima produttrice agricola nell’Unione europea, si trova ora al terzo posto (superata dalla Francia e dalla Germania). Per l’agricoltura si consuma quasi metà delle risorse idriche, e se ci sono culture che vivono quasi solamente della pioggia e si affidano alla sua alea, altre hanno bisogno di un sistema di irrigazione. In quindici anni – secondo Coldiretti – abbiamo perso 100 mila ettari coltivati. Dove si coltivava riso si fa spazio (come nelle campagne del Pavese) la soia, che ha bisogno di meno acqua. Ci sono frutti che diventano rari – sono stati sacrificati 20 milioni di peschi – mentre si fanno strada le coltivazioni di frutti tropicali, come l’avocado in Puglia.
Sono due gli aspetti principali della crisi. Il primo è la prevista siccità- conseguenza della crisi climatica – con la scarsa piovosità e i corsi e bacini d’acqua in sofferenza. Il secondo è la dispersione idrica, che è cosa diversa: le condutture sono vecchie, perdono acqua, complessivamente per oltre il 40 per cento (secondo l’Istat, dato 2022, il 42,2%). Allo spreco delle condutture (con punte di dispersione che nel Sud si avvicinano al 50%) si aggiungono le carenze dei sistemi di depurazione e di riutilizzo delle cosiddette acque reflue. Oltre al danno per l’inefficienza del sistema c’è la beffa delle sanzioni che l’Italia deve versare all’Unione europea. Ogni giorno che passa ci costa 165mila euro da mandare a Bruxelles, che significa 60 milioni l’anno. Non una cifra incredibile, ma una beffa: si paga l’inefficienza, quando si dovrebbe pagare per eliminare l’inefficienza.
L’Italia si distingue – spesso, non sempre – in primati negativi in Europa, come lo è lo spreco d’acqua potabile successivo a quell’altro spreco delle condutture-colabrodo: ogni italiano consuma 220 litri al giorno, rispetto a una media dei cittadini dell’Unione europea di 165 litri. — (1. continua) © RIPRODUZIONE RISERVATA