1/ C’è spazio a sinistra. Esiste un fermento di idee e di proposte, perché manca un partito unitario
Lo spazio politico esiste, ma c’è una sinistra che manca all’appello della politica. Una sinistra che sappia essere partito unitario, che sia l’interprete delle esigenze degli sfruttati e degli emarginati, e che non sia la somma di cento movimenti su temi diversi. Guido Ortona traccia la radiografia di un’assenza, ne spiega le ragioni, individua le necessità, propone un percorso. Partendo da un dato di fatto: in Italia c’è molta più sinistra di quanto si creda
L’analisi di GUIDO ORTONA, economista
Premessa. In questo articolo cercherò di argomentare quanto segue: a) Esiste lo spazio politico per un partito unitario della sinistra; b) Questo partito è necessario, ma non nasce spontaneamente; c) Questo partito deve sapere proporre un programma chiaro, praticabile, che unifichi gli interessi di diversi gruppi sociali (per semplificare, ma non troppo: di tutti gli emarginati e gli sfruttati); d) La sinistra manca al suo compito fondamentale di promozione di questo partito; e sulla base di ciò, nei due ultimi paragrafi, mi permetterò di dare due suggerimenti operativi. Penso che sia utile specificare che milito a sinistra da circa 60 anni, e ho studiato e insegnato Politica Economica per circa 50.
Esiste lo spazio politico per un partito unitario della sinistra. Oggi in Italia esiste molta più sinistra di quanto a sinistra di solito si pensi. Ci sono molti blog e siti di sinistra; e ci sono molte riviste on-line di sinistra, spesso di ottimo livello. La qualità di queste iniziative è spesso molto elevata; e la loro quantità indica che c’è un interesse ampio, e mi pare crescente, per i temi e le attività della sinistra. I sindacati di base (Usb) e parte della Cgil sono di sinistra. Ci sono persino degli iscritti al Pd, probabilmente parecchi, che sarebbero contenti dell’esistenza di un soggetto serio di sinistra; e sicuramente lo sono molti elettori del Pd e del M5S. Alle ultime elezioni politiche le liste di sinistra hanno avuto più del 5% dei voti; se si tiene conto dell’altissimo livello di astensione, parte della quale potrebbe essere recuperata, la sinistra può ragionevolmente darsi come obbiettivo di raggiungere il 10% dei voti. Chiarisco: come obbiettivo, qualche cosa che è possibile raggiungere con opportune strategie, non qualcosa che prima o poi arriverà per conto suo.
Questo partito è necessario, ma non nasce spontaneamente. Ho il massimo rispetto per gli attivisti che si impegnano nelle lotte locali, come la campagna contro la Tav, o settoriali, come l’implementazione dei diritti dei lavoratori della logistica. E sono convinto che queste lotte, così come la mobilitazione di piazza, siano molto importanti. Sono anche convinto dell’importanza dell’esistenza di numerose sedi di dibattito e di elaborazione in cui tanti compagni sono impegnati, dalle riviste on-line ai blog. Ma dobbiamo renderci conto che dalla somma di queste mobilitazioni non nasce “da sola” una piattaforma politica nazionale. Per un motivo semplice da enunciare e da riconoscere in termini molto generali quanto complesso da analizzare nella sua specificità, e cioè la fine della coincidenza fra i diversi, anche molto diversi, interessi specifici di una grande quantità di lavoratori e le necessità di cambiamenti di fondo della società italiana. 50 anni fa gli operai sapevano che molte delle esigenze della loro vita quotidiana potevano essere soddisfatte mediante l’introduzione dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori o mediante l’introduzione del Servizio Sanitario Nazionale; e sapevano anche che quegli obbiettivi erano realistici. Oggi questa convergenza fra problemi locali, che spesso sono addirittura individuali, e soluzioni nazionali non c’è più. Le cause sono molteplici, dal venire meno della grande industria come sede principale e tipica dell’organizzazione dei lavoratori, alla elevata non-occupazione che rende comunque deboli i lavoratori. Approfondire questo discorso sarebbe importante ma ci porterebbe fuori tema (prego il lettore di volere riconoscere la validità di quanto sopra come indicazione molto generale, e di giustificare l’iper semplificazione che ne consegue). E tuttavia oggi come ieri le esigenze fondamentali della vita quotidiana dei lavoratori e dei disoccupati non possono essere soddisfatte che da politiche di ampio respiro: penso per esempio al salario minimo, al rilancio della sanità pubblica, e soprattutto (come vedremo) a una riforma fiscale di sinistra. Si tratta per loro natura di lotte non locali, che richiedono quindi un’organizzazione politica che le unifichi: cioè un partito di sinistra (a questo livello di discorso, “partito” e “movimento organizzato” possono essere considerati sinonimi).
Questo partito deve sapere proporre un programma chiaro, praticabile, che unifichi gli interessi di diversi gruppi sociali (per semplificare, ma non troppo: di tutti gli emarginati e gli sfruttati). Come detto più sopra, nella “età dell’oro” postbellica, per usare la terminologia di Hobsbawm, esisteva oggettivamente una coerenza fra gli interessi “del sale e del riso” dei lavoratori, per usare quella di Mao Tse-Tung, e la necessità di profonde riforme della società: ma questo non è stato sufficiente a promuovere le lotte, spesso vittoriose, di quel periodo. È stata necessaria la presenza dei partiti di sinistra, e non solo per la loro attività parlamentare, ma anche per quella di elaborazione e di promozione del sostegno a quegli obbiettivi nella società civile, in una parola per la creazione di una cultura di sinistra egemone (per usare adesso la terminologia di Gramsci) nei confronti di quella degli avversari di classe. Questo è tanto più necessario oggi, data la minore coerenza fra esigenze specifiche e generali, di cui abbiamo parlato più sopra. Sommando cento movimenti per il divorzio, per la difesa della salute in fabbrica, ecc. non si otteneva allora automaticamente un soggetto politico di sinistra vincente; a maggior ragione non lo si ottiene oggi sommando Tav, difesa dei diritti delle famiglie non tradizionali, ecc. Occorre un “moderno principe” che partendo da quelle esigenze proponga un programma politico generale in cui gli sfruttati e gli emarginati possano riconoscere la possibile soluzione dei loro specifici problemi. — (1. segue)
Questo articolo è pubblicato anche su “Volere la luna”