[L'intervista] Viesti: "Disoccupazione giù? Al Sud tre volte quella del Nord: vi dico perché e cosa bisogna fare per rimediare"
L'esperto analizza per Tiscali.it la situazione del Mezzogiorno e individua le cause del disastro occupazionale ed economico. Le conseguenze delle politiche dell'austerità e dei tagli ai servizi. Il Reddito di cittadinanza e la Flat tax
In Italia calano i disoccupati ma restiamo sempre tra i peggiori d'Europa quanto a persone senza lavoro. Mentre la UE riporta il tasso di disoccupazione al livello del 2008, a prima cioè che la crisi finanziaria travolgesse l'economia reale, noi restiamo nell'orbita di quell'11 per cento che ci posiziona unicamente davanti alla Spagna e alla Grecia. Senza contare la disoccupazione giovanile (al 31,7 per cento) che, nonostante qualche piccolo miglioramento, ci vede a livelli doppi rispetto alla media del Vecchio Continente. A ben vedere, la crescita occupazionale dell'ultimo periodo, inoltre, è frutto dell'aumento dei dipendenti a termine, cui corrisponde una ulteriore diminuzione dei lavoratori a tempo indeterminato. In questo scenario, poco entusiasmante, risalta inoltre un dato fondamentale: continuano ad esistere due Italie. Il Sud ha infatti un tasso di disoccupazione tre volte maggiore di quello del Nord: il 19,4 per cento a fronte del 6,9. In pratica se il Settentrione ha imboccato la strada del dopo crisi, il Mezzogiorno vi è ancora pianamente impantanato. E ci sono parti del Paese, come Palermo, dove i dati della disoccupazione giovanile sono da capogiro: superiori addirittura al 71 per cento.
Qual è il motivo di questa situazione e come se ne può uscire? Abbiamo cercato di capirlo con l'aiuto di Gianfranco Viesti, docente di Economia Applicata all'Università Aldo Moro di Bari e autore del libro Mezzogiorno a tradimento. Il Nord, il Sud e la politica che non c'è.

Professore i dati sulla disoccupazione dicono che mentre il Nord Italia si avvicina alla Germania, il Sud tende verso la Grecia. Perché?
"La minore occupazione al Sud è conseguenza di uno sviluppo economico molto diverso rispetto al Centro-Nord. Al Sud mancano principalmente le attività economiche orientate all'esportazione, prevalentemente industriali, ma anche i servizi avanzati che garantiscono al Nord un numero di posti di lavoro elevato. A determinare il distacco, consolidatosi dagli anni '80, è stato insomma il minor sviluppo industriale, la carenza di industrie interne capaci di alimentare l'export esterno. Tale distacco si è notevolmente incrementato con la crisi del 2011, che ha avuto due caratteristiche. In primo luogo è stata una crisi di domanda interna, quindi, essendo l’economia del Mezzogiorno meno proiettata all’estero, aveva meno possibilità di recuperare quanto si perdeva sul mercato interno. In secondo luogo la crisi è stata caratterizzata da bonifiche fiscali pubbliche e da austerità selettive territorialmente, nel senso che hanno colpito più il Meridione del Centro-Nord, incidendo su tutta una serie di ambiti, dall’istruzione alla sanità. Dal 2011 c'è stato quindi un ulteriore diversificarsi dei tassi di occupazione con un aumento delle distanze tra le due realtà geografiche. Nell’ultimo biennio, è vero, c’è stato un discreto recupero dell’occupazione nel Mezzogiorno, ma siamo ancora molto lontani dai livelli pre-crisi, e per ciò lontanissimi dalle medie europee".
In sostanza le politiche lacrime e sangue hanno creato maggiori disagi a chi era più povero.
“E’ una caratteristica nuova che vale dal 2011. Prima di allora, dal 2008/2009, la crisi ha riguardato la domanda internazionale ed ha colpito di più il Nord. Invece dal 2011, in particolare nel 2013-2015, la situazione è molto mutata perché, con la correzione del bilancio pubblico fatta in Italia si è prodotta una duplice conseguenza: da un lato è aumentata la pressione fiscale. Tale aumento si è concentrato sulla pressione fiscale locale (regionale e comunale), e questo ha colpito di più il Mezzogiorno perché, essendo più bassa la base imponibile, per compensare la mancanza di trasferimenti dello Stato, si sono dovute aumentare maggiormente le aliquote. I dati, per esempio quelli di Bankitalia, dimostrano che la stessa famiglia, con stesso reddito e numero di figli, subisce una tassazione più pesante nelle regioni più povere rispetto a quelle più ricche".
E l'altra caratteristica?
"L’intervento sulla spesa pubblica, che ha prodotto interventi selettivi territorialmente. Il caso più rilevante quantitativamente è quello della sanità, con i vincoli imposti a molte regioni del Sud dai piani di rientro. Il caso più eclatante è invece quello della Università, dove si è adottata una politica selettiva che ha colpito moltissimo gli Atenei delle Isole e in misura consistente quelli del Centrosud".

Forse per questo si parla ormai di un Sud dove ci si cura meno e c'è una aspettativa di vita inferiore di 4 anni rispetto al Nord. Inevitabile la correlazione col tasso di povertà assoluta giunto al Sud al 10 per cento e col rischio povertà tre volte maggiore rispetto al Settentrione.
“Certo, bisogna andare cauti con le correlazioni, le spiegazioni di un fenomeno tramite un altro fenomeno, ma è vero che la situazione del servizio sanitario nel Mezzogiorno, negli ultimi anni, è notevolmente peggiorata rispetto alla media nazionale. I vincoli posti dai piani di rientro hanno bloccato il turn-over dei medici e degli infermieri, per cui abbiamo una presenza di personale sanitario nel Sud notevolmente inferiore a quella del resto del paese. C'è poi stata, per esigenze di risparmio, una contrazione dei servizi offerti dalle strutture pubbliche, e questo ha portato in primo luogo a far diventare a pagamento una serie di servizi sanitari. Così la fascia più debole della popolazione ha dovuto rinunciare a certi servizi sulla salute, specie di prevenzione (analisi e screening). Dall’altro il fenomeno ha incrementato le emigrazioni sanitarie verso il Nord, squilibrando ancora di più il sistema".
Cosa bisognerebbe fare?
"Rendersi conto innanzitutto di quanto è accaduto in questi anni in italia, anche perché quello di cui discorriamo non viene attualmente discusso pubblicamente, non fa parte del dibattito politico e neppure dell'attenzione del sistema dell’informazione. E poi decidere insieme quali tipi di diritti di cittadinanza garantire nel nostro Paese a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito e dalla loro residenza. E' in atto infatti un processo sotterraneo per cui si creano diritti di cittadinanza diversi a seconda della residenza e del censo, contrariamente a quanto prevede in modo chiaro la nostra Costituzione".
Lo sviluppo e la crescita passano per l'attivazione di investimenti magari su grandi opere?
“Passano innanzitutto per gli investimenti. Bisogna infatti rendersi conto di quest'altro elemento fondamentale evidenziato negli ultimi anni: il crollo degli investimenti sia pubblici che privati. Quelli privati si sono molto ridotti perchè le imprese hanno percepito la carenza di domanda soprattutto sul mercato interno, dunque hanno posticipato gli acquisti di macchinari per modernizzare o ampliare le attività produttive. Gli investimenti pubblici hanno invece avuto un vero e proprio tracollo, perchè per intervenire sul deficit di bilancio sono la cosa più semplice da tagliare. Di conseguenza il nostro Paese ha rallentato tantissimo gli sforzi di investimento. Questo, naturalmente, è particolarmente grave per il Mezzogiorno, perchè la necessità di investimenti privati, per potenziare le attività produttive, e di investimenti pubblici, per garantire un livello di infrastrutture e di servizi che si avvicini ai livelli medi nazionali, è indispensabile".
C'è però chi sostiene siano ripartiti.
"Gli investimenti privati sono ripartiti negli ultimi anni, specie nell'ultimo biennio, ma ovviamente più al Nord che al Sud, perchè lì il tessuto produttivo è più forte. Quelli pubblici invece sono ancora a livelli bassissimi. Il grande tema, bisognerebbe rendersene conto, è però che il futuro lo si costruisce attraverso una significativa attività di investimento da avviare oggi. Se il Paese non investirà, con l'andar del tempo, perderà ancora più posizioni".

Quanto può essere utile introdurre strumenti di sostegno come il Reddito di cittadinanza o quello di inclusione?
"Molto, perché in tutti i Paesi europei ci sono interventi del genere volti a mantenere innanzitutto l'inclusione sociale delle fasce più povere della popolazione e ad impedire fratture che poi nel tempo diventano gravissime. I poveri in Italia non sono più gli anziani ma, in grandissima misura, le famiglie con figli piccoli, e dunque gli effetti della povertà rischiano di protrarsi a lungo nel tempo, trasmettendosi da una generazione all'altra. L'Italia non aveva uno strumento del genere e se ne discuteva da tempo. Sono stati fatti negli ultimi 25 anni molti esperimenti ma non si è mai messa in atto una politica simile. Ovviamente con gli andamenti della crisi che hanno notevolmente aggravato le condizioni della fascia più debole della popolazione, l'avere questo strumento è diventato ancora più importante".
Di recente il governo Renzi ha fatto un'operazione di redistribuzione del reddito.
"Nel 2014 il governo Renzi ha deciso di fare una grande operazione di redistribuzione, con i famosi 80 euro ha mirato tuttavia non ai poveri ma al lavoro dipendente a reddito più basso. In defintitiva ha usato gran parte delle risorse disponibili per un altro scopo. Solo a fine legislatura, con il governo Gentiloni, è stato varato uno strumento piuttosto buono come il Rei (Reddito di inclusione) la cui dimensione è però parecchio contenuta. Per fare un paragone, gli 80 euro valgono circa 9 miliardi all’anno, il Rei vale 2 miliardi all’anno. Questo dà la misura delle priorità politiche messe in campo. Per cui potenziare il Reddito di inclusione è indispensabile, perché con quei 2 miliardi non arriviamo neppure alla metà dei poveri assoluti che ci sono in Italia, e quindi tanto la platea che gli importi dovrebbero essere potenziati in maniera significativa".
La Flat tax invece può migliorare la situazione del Sud?
“Assolutamente no: è la principale misura per affossare definitivamente il Mezzogiorno. La Flat tax significa essenzialmente due cose. Primo: un notevolissimo risparmio di tasse per i più ricchi, molto meno per i più poveri. I risparmi si concentrano tra i cittadini più abbienti che, per altro, si trovano in misura più rilevante nel Nord del Paese. Ciò serve allora ad aumentare ancora di più la considerevole diseguaglianza esistente in italia. Secondo: riducendo il gettito fiscale la Flat tax riduce le risorse disponibili necessarie a fornire servizi ai cittadini, di conseguenza trasformerà tutta una serie di servizi pubblici in servizi a domanda privata, e naturalmente anche questo avrà un effetto molto forte sui territori, nel senso che dove il reddito è più basso la possibilità di acquistare i servizi - siano essi sanitari, assicurativi, forme di istruzione privata e così via - è minore. La Flat tax è esattamente il contrario di quello che serve per fare dell'Italia un paese più unito e più forte”.