[L’intervista] L’autonomia differenziata di Salvini rischia di creare cittadini di serie A e di serie B: ecco perché
Gianfranco Viesti, noto economista, docente e scrittore parla di possibile “secessione dei ricchi”. Ciò influirebbe su aspetti come scuola, sanità e lavoro. Sugli assetti amministrativo-finanziari delle regioni e sugli italiani. Tre le criticità

Nell’agenda di Matteo Salvini, fresco vincitore delle elezioni europee, insieme a Tav e Flat Tax campeggia la questione autonomia differenziata, attesa da regioni come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Un obiettivo di non poco conto, perché influirebbe sugli attuali assetti amministrativo-finanziari degli enti regionali e locali, sugli italiani e, secondo alcuni, sulla unità nazionale, in quanto rischierebbe di dividere ancora di più il Paese tra Nord e Sud.
Cosa sia in sostanza l’autonomia auspicata dal capo della Lega e quali i suoi pericoli è molto chiaro a Gianfranco Viesti, economista, docente universitario, esperto delle problematiche del Mezzogiorno, consulente dell’Ocse e autore di fortunati libri in materia come “Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale, (Edizioni La Terza). A suo avviso “non si tratta di una piccola questione amministrativa, che riguarda solo i cittadini di quelle regioni, ma di una grande questione politica, che riguarda tutti gli italiani.
Professore, Matteo Salvini - forte del risultato elettorale delle Europee - pretende ora la realizzazione dell’autonomia differenziata. Cosa significa ciò per l’Italia e perché dovrebbe essere in pericolo l’unità nazionale, come lei in qualche occasione ha sostenuto?
“Si tratta di un processo in base al quale cambia profondamente il modo in cui funzionano le politiche pubbliche del Paese, nel senso che coinvolge aspetti fondamentali come la scuola, la sanità, le infrastrutture, il lavoro, la previdenza e l’ambiente. E’ una cosa che riguarda tantissimi ambiti e tutti i cittadini italiani, in quanto il cambiamento che avviene in talune parti ha poi ripercussioni su come funzionano le cose nelle altre parti del Paese. Si rischia di spezzettare per esempio la scuola pubblica, di creare cittadini con diritti di cittadinanza di serie A e di serie B a seconda della regione in cui vivono”.
Quali sono a suo avviso le criticità?
“Le criticità sono di tre ordini. Sotto il primo punto di vista l’entità dei poteri che vengono richiesti è vastissima, tuttavia non se ne conoscono ancora i dettagli in quanto abbiamo le richieste delle regioni ma i testi concordati tra stato e regioni sono ancora segreti, non si conoscono cioè ancora le specifiche caratteristiche delle decisioni che si vogliono prendere”.
E inoltre?
“La seconda criticità riguarda gli aspetti di natura finanziaria, perché è desiderio della Lombardia e del Veneto avere maggiori risorse rispetto alle spese consentite oggi dallo Stato nei loro territori, e questo non può che significare spostare risorse da una parte del Paese all’altra. Inoltre lasciando direttamente alle regioni una parte del loro gettito fiscale, bisogna vedere come funziona poi il governo nazionale, il Tesoro, come si fa a far fronte al debito pubblico, cosa accade se ci sono politiche di austerità. Anche questo però è ancora, in parte, un mistero”.
E l’ultima?
“Dovendo discutere di tutto ciò sarebbe indispensabile conoscere bene di cosa si sta parlando, sia dal punto di vista del merito, sia dal punto di vista finanziario, e avere una discussione molto approfondita in parlamento. Il parlamento rappresenta infatti tutti gli italiani ed è dunque la sede adatta a sviscerare i problemi e prendere poi la decisione finale. Sembra ci sia invece il tentativo di portare in parlamento un testo molto snello e lasciare tutte le decisioni di dettaglio, che sono poi quelle più importanti, a delle commissioni paritetiche Stato-Regione. La materia è quindi molto fluida e, a mio avviso, i pericoli non sono per nulla diminuiti, perché si tratta di una rivendicazione della Lega da sempre e, adesso che ha molto più potere, è il momento ideale per realizzarla”.

Lei ha parlato in un suo fortunato libro del pericolo di una secessione dei ricchi. Come dire che chi sta meglio in Italia potrebbe finire con lo stare sempre meglio e viceversa?
“Certo, questa può essere una delle conseguenze. Dipende da come viene fatta l’autonomia. Si tratta di un pericolo evidente contro il quale ho provato a mettere in guardia da tempo. Ciò riguarda sia gli aspetti finanziari, sia, appunto, quelli di organizzazione dei pubblici poteri. Pensiamo solo a cosa significherebbe rompere l’unitarietà della scuola pubblica italiana, che esiste da più di 150 anni”.
Salvini però dice: io voglio far in modo che chi lavora di più abbia di più. Io ti faccio gestire i tuoi servizi in modo da cancellare le scuse. Una volta che ti vengono dati i soldi, se li sperperi e non crei i servizi a te demandati, non potrai più dire che è tutta colpa dello Stato.
“E’ pura retorica. Non vedo cosa c’entri questo rispetto, ad esempio, alla scuola. Se gli insegnanti li recluta la regione non è che sono più bravi. E’ un problema di potere politico, e sta tutto nella circostanza che i presidi delle scuole dipenderebbero dall’assessore regionale. Sicuramente si avrebbe una enorme concentrazione di potere nelle mani delle classi dirigenti regionali. E francamente, vista la prova che stanno dando in talune parti, anche alla luce delle ultime notizie giudiziarie, ci andrei molto cauto. Anche se lo Stato centrale – si badi bene – non funziona certo benissimo. Ma ci andrei davvero molto, molto, cauto a mettere, per esempio, le assunzioni delle scuole nelle mani degli assessori regionali”.
Non c’è anche il rischio di togliere potere agli enti locali, di modo che proprio gli enti più vicini ai cittadini, alla fine, potrebbero risultare i più penalizzati?
“Questo può essere, non a caso alcuni sindaci, come quello di Milano e quello di Bologna si sono espressi in maniera piuttosto forte contro tale progetto, preoccupati che si formi un eccessivo accentramento di potere in mano regionale che finisca con lo schiacciare gli enti locali. Sì, è un altro rischio possibile”
Più volte Tiscalinews ha avuto il piacere di intervistarla sui problemi del Mezzogiorno. Le pongo però una domanda chiedendole di tentare il miracolo di dirci in sintesi, in poche parole, perché il Sud d’Italia è in ritardo economico rispetto al resto del Paese. E, ancora, cosa bisognerebbe fare?
“Lei mi chiede davvero un miracolo, per un argomento del genere ci vuole senza dubbio un tentativo di sintesi eccezionale. Comunque mettiamola così: il Mezzogiorno è in ritardo perché le condizioni per fare impresa sono peggiori e dunque c’è troppo poco lavoro per le persone che ci vivono. Quanto a cosa bisogna fare, occorre innanzitutto migliorare notevolmente queste condizioni”.
Più precisamente?
“Servono investimenti, infrastrutture, ma anche scuola, università, formazione. Tutti gli elementi necessari allo sviluppo economico e sociale di una regione. Elementi che nel Sud sono tutti molto distanti dal resto del paese e dalle medie europee”.