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[L'intervista] "C'è un enorme immondezzaio di rottami attorno alla Terra. Così cominciamo a ripulire"

Un milione di rottami cosmici, pezzi di navicelle e satelliti, si scontrano tra loro moltiplicando i rifiuti attorno al pianeta. Mentre crescono le missioni private. Uno scenario pieno di promesse e di criticità. In Italia c'è chi si muove per realizzare le soluzioni

Cristiano Sanna Martinidi Cristiano Sanna   
A destra, la ricostruzione della Nasa dell'inquinamento da rottami spaziali attorno alla Terra. A destra, parte del team di D Orbit
A destra, la ricostruzione della Nasa dell'inquinamento da rottami spaziali attorno alla Terra. A destra, parte del team di D Orbit

C'è qualcosa che dovrebbe preoccuparci tutti, si chiama Sindrome di Kessler. Ed è auto-generativa. Significa che il fenomeno va a riprodursi e moltiplicarsi con numeri sempre più alti. Riguarda la spazzatura spaziale che orbita attorno al nostro pianeta. Molti rimasero colpiti nel vedere la foto diffusa dalla Nasa con un finestrino della stazione spaziale ammaccato da un frammento delle dimensioni di appena 7 millimetri. Una "cosina" che viaggia a 10 chilometri al secondo, e quindi capace di una potenza d'impatto preoccupante. Ogni volta che un rottame spaziale ne colpisce un'altro, i pezzi si moltiplicano, diventando sempre più piccoli e veloci. Questa è la Sindrome di Kessner. E' stato calcolato che esistano attualmente oltre 22 mila oggetti grandi come una palla da baseball che roteano attorno alla Terra. A questi se ne aggiungono altri 500 mila simili a biglie, e oltre un milione delle dimensioni di un granello di sale. Non solo gli astronauti ma anche i centri aerospaziali e gli esperti che lavorano alle varie missioni sono preoccupati del grado di inquinamento pericoloso attorno alla nostra casa nel buio spaziale. E di come le collisioni tra space junk renderanno sempre meno sicuro andare lassù, mantenere satelliti, assicurare la bontà delle telecomunicazioni. Ripulire lo spazio attorno alla Terra è dunque una priorità. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Ferrario, ingegnere aerospaziale e direttore tecnico della D-Orbit, inserito da Forbes fra gli under 30 più influenti nel campo dell'innovazione tecnologica. 

Lorenzo, spieghiamo cosa fate voi: nel giugno dello scorso anno è entrato in orbita il vostro primo satellite. In cosa consisteva quella missione, quanto è durata e come si è conclusa?
"La missione serviva a due scopi: primo, dimostrare al mondo e al mercato che siamo in grado di fare certe cose. Quando si parla di business spaziale, devi far capire concretamente che ci sei, altrimenti è difficilissimo ottenere attenzione. Quindi abbiamo realizzato il primo satellite con il marchio D-Orbit e lo abbiamo lanciato da una base nel Sudest dell'India. Abbiamo comprato un loro passaggio dalla Terra all'orbita spaziale, gli indiani hanno ottimi lanciatori. Il prezzo è stabilito un tanto al chilo, come si fa col prosciutto al supermercato. Il secondo scopo era portare a termine tre esperimenti di altrettanti clienti che si erano affidati a noi. Abbiamo testato un nuovo dispositivo di emissione di allarme a popolazioni interessate da calamità naturali, segnale che poi si agganciava a quello di Galileo, il nuovo gps europeo. Poi abbiamo provato una sorta di scatola nera che avvisa gli aerei del rientro dei satelliti in atmosfera. Infine, un nostro esperimento con cui raccoglievamo dati sull'alta atmosfera terrestre".

Qual è l'orbita a cui deve arrivare un satellite per essere stabile e svolgere il suo compito?
"La prima orbita utile è a circa 400 chilometri dal suolo, che è quella dove si trova la stazione spaziale orbitante. Poco al di sopra stanno gli altri satelliti privati, ancora più in alto si trovano quelli usati dai grandi marchi di telecomunicazione, come Sky".

Uno dei compiti che D-Orbit si è data è ripulire lo spazio attorno alla Terra da resti di altri corpi orbitanti, vecchi o danneggiati. Andare lassù e riportarli a terra. Come si fa?
"E' una delle cose più difficili da realizzare ma ci stiamo lavorando a testa bassa. Abbiamo il programma ION (In Orbit Now) che consiste in una sorta di corriere spaziale nostro, immaginatelo come un DHL che prende i satelliti di altri marchi, li carica e li porta fino al punto dell'orbita in cui devono stare. E quando la missione è terminata, o quando si verificano danni, il nostro "corriere" carica l'oggetto che deve tornare sulla Terra e lo riporta giù. Giusto per dare un'idea, il nostro ION pesa circa 200 chili, è grande poco più di una lavatrice e costa più di un milione di euro. Completamente progettato e costruito qui in Italia". 

Come mai questo tipo di sensibilità ambientalista applicata allo spazio, e perché in precedenza nessuno ci aveva pensato?
"Perché, detto in modo molto diretto, prima si pensava solo ad arrivare lassù. Gli studi che dimostrano la pericolosità del moltiplicarsi della spazzatura cosmica esistono da decenni, ma sono sempre stati tenuti all'angolo o sminuiti. Ora è cambiata la sensibilità e anche le regole diventano più stringenti. Poi c'è l'aspetto del puro business: spendere milioni per mandare un satellite a fare il suo lavoro non ha senso se le orbite non sono pulite e si rischiano incidenti ad altissima quota con danni per tutti. Col crescere del numero di satelliti privati saranno le stesse compagnie a spingere in queste direzione".

Ma c'è un modo di programmare i satelliti a rientrare sulla Terra da soli, a missione terminata?
"Sì e si chiama in gergo mitigation. E' l'altro piano a cui stiamo lavorando. Ma non risolve la questione dei vecchi satelliti  dei danni che possono aver subito stando lassù".

Rispondiamo ai complottisti. Domanda uno: con tutta questa roba che va e viene dal cielo non diventerà sempre più pericoloso viaggiare in aereo?
"No, perché il bello del mondo aerospaziale è che tutto viene tracciato, ogni cosa è visibile. La tecnologia si sta sviluppando in modo da individuare con sempre maggior precisione anche i rottami piccolissimi".

Domanda complottista due: l'arrivo delle frequenze 5G ha destato preoccupazione per il moltiplicarsi delle antenne ripetitrici, cosa diciamo a chi si preoccupa che arrivino pure una miriade di segnali privati dallo spazio, dannosi per la salute e la mente?
"Le potenze dei segnali in gioco sono le stesse degli smartphone che già usiamo. Nelle più rosee previsioni si stima che avremo 25 mila satelliti in orbita attorno alla Terra nei prossimi anni, se pure questo scenario dovesse avverarsi, sarebbero enormemente meno onde di quelle che girano nelle nostre mani e tasche quaggiù. 

Esa, Nasa, agenzia spaziale cinese e simili sono ancora i grandi enti che dettano legge sulle missioni spaziali, oppure lungaggini burocratiche e difficoltà a reperire finanziamenti privilegeranno sempre di più le piccole realtà private?
"E' difficile rispondere, dipende da cosa si propone un ente spaziale, tenendo presente che alcuni sono proprio statali. A mio avviso questi dovrebbero avere un ruolo regolatore e facilitatore. Il numero di satelliti commerciali è già più alto di quello delle grandi agenzie. Frenare questo sviluppo sarà impossibile, ecco perché è importante la regolazione, invece che buttarla solo sulla concorrenza a tutti i costi".

Lorenzo Ferrario

 

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