L'autocritica di Molinari: "Giornalisti e politici non capiscono più la società"
Il direttore de La Stampa: "Sia Renzi che altri leader, sia i media, usano strumenti vecchi e inadatti a capire il disagio della gente. Che poi ti punisce con rabbia"
Renzi è andato a schiantarsi a 300 all'ora contro il muro dell'odio politico degli avversari che aveva aizzato e soprattutto contro la rabbia della gente. Proprio quella su cui troppo spesso si ironizza, la cosiddetta ggente, quelli definiti analfabeti funzionali, quelli degradati a massa indistinta di persone con ridottissima capacità di ragionamento e di analisi della realtà. Il risultato di tante prese di posizione stereotipate da parte delle elite (economiche, politiche, mediatiche)? Una batosta micidiale. Anche del sistema dell'informazione italiana. Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, fa una dura autocritica e non pensa affatto che la caduta di Renzi abbia risolto le cose.
Maurizio, sei d'accordo con chi dice che la stampa italiana è stata un po' troppo inerte nell'avvisare il premier delle ricadute di certi suoi eccessi, a partire da quello dell'ottimismo esibito?
"No, I don't go there, that's not my stuff my friend" (risponde in inglese: No, non vado in quella direzione, non è il mio modo di fare, amico", ndr)".
La gente, però, ci legge e ascolta in italiano.
"Io non faccio polemiche ma analisi. Allora dirò che è arrivata inaspettata per tutti gli italiani l'entit del voto di protesta contenuto nel referendum. Se quasi il 70% degli italiani va alle urne e di questi il 60% vota in maniera massiccia esprimendo protesta, significa che nel Paese c'è un sentimento che nasce da diseguaglianze sociali che sfuggono a tutti i radar. Questo disagio sociale così profondo e radicato è sfuggito a tutti".
Come mai è sfuggito? Non è abbastanza chiaro che la gente è stremata da anni di recessione, di mancanza di lavoro e di Pil che sta a zero virgola qualcosa? Da lì sale la rabbia del ceto medio.
"Il sistema politico vive all'interno di una bolla, dove i temi delle difficoltà economiche e della diseguaglianza sociale che attanagliano gli italiani non sono presenti. Quando l'Istat ci dice che il 28% delle famiglie italiane è in gravi condizioni, che questa percentuale sale al 50% nel Sud, questi sono dati agghiaccianti. Frutto di problemi sedimentati nel corso degli ultimi dieci anni e oltre. Credo che il motivo che sta alla base di tutto è che gli strumenti usati per leggere l'economia sono diventati inadatti. Tutte le democrazie avanzate hanno questo problema. Parlare di Pil o di percentuale di disoccupazione significa usare grandezze di ricchezza che non rispecchiano più la soddisfazione degli individui".
Se il Pil o il tasso di occupazione non fotografano più lo stato economico di un Paese che strumenti usiamo? Andiamo a chiedere a Google o Facebook?
"No, devono essere gli economisti a dotarsi di strumenti nuovi e adatti. Lo scorso anni la Fed americana ha sbagliato l'analisi su proprio Paese, predicendo una crescita che non c'è stata, non in quei valori. Mai accaduto prima nella storia, un errore del genere. Stessa cosa per le bance centrali delle principali potenze industriali del mondo. Usiamo strumenti figli dell'economia degli anni Cinquanta del Novecento. Quando lavoravi, consumavi ed eri felice. Oggi lavori, non hai abbastanza soldi e sei infelice. A una famiglia non basta avere duecento euro in più al mese. Devi potergli permettere di andare in vacanza una volta all'anno, e di far studiare i figli nelle scuole che desiderano. Si chiama giustizia sociale, era anche nella piattaforma elettorale di Hillary Clinton. Non denaro, ma opportunità".
Come diceva Bernie Sanders, con grande presa sui giovani.
"E' esattamente così, tanto è vero che il No in Italia è arrivato soprattutto dai giovani. E' necessario poi difendere i beni collettivi: ad esempio la sanità, uno Stato deve garantire la salute dei cittadini".
Un modello opposto a quello che va per la maggiore oggi.
"Esattamente l'opposto".
Tornando in Italia, che accade dopo Renzi?
"Non c'è esecutivo se non attraverso il Pd, cioè il partito con la maggioranza relativa. Ma ripeto, se non ci attrezziamo per capire con nuovi strumenti come davvero sta la gente, fra sei mesi saremo punto e a capo".