[L'intervista] Cobianchi: "Marchionne? Grande manager, ma favorito dagli aiuti di Stato. Vi spiego perché Manley dovrà, suo malgrado, essere più bravo di lui"

Il giornalista e scrittore, fondatore del sito Truenumbers.it e autore di American Dreams sulle vicende Fiat, spiega i meriti dell'ex Ceo di Fca e ne racconta alcune vicende. Da quando disse "la Fiat è un problema dell'Italia" ai piani industriali inevasi. I limiti nell'innovazione e le grandi capacità relazionali e politiche. I problemi del suo successore

Mike Manley, nuovo Ceo di Fca, e Sergio Marchionne
Mike Manley, nuovo Ceo di Fca, e Sergio Marchionne

Il cordoglio è unanime per la scomparsa di Sergio Marchionne. E’ già aperta tuttavia la discussione sull'operato del grande manager, dominus dell’attività industriale e finanziaria dell’azienda di Torino, oggetto di interpretazioni contrapposte. Da una parte chi lo considera il salvatore della Fiat, artefice della creazione di un grande gruppo automobilistico (Fiat Chrysler Automobiles) e uomo d’oro per azionisti e soci. Dall’altra chi ne stigmatizza  l'utilizzo dei fondi pubblici, lo considera bravissimo nel produrre risultati finanziari e distribuire dividendi a soci e azionisti, senza troppa attenzione però per le conseguenze sociali. Tiscali News ha voluto approfondire alcuni aspetti della carriera dell’ex Ceo della Fiat (Fca) con Marco Cobianchi,  giornalista,  scrittore, fondatore del sito Truenumbers.it e autore del libro American Dream (edizioni Chiarelettere), sottotitolo “Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat”, in cui descrive la impresa “disperata di salvare l'azienda” facendo però diventare la più grande industria italiana "una multinazionale quotata a New York, con sede ad Amsterdam, che pagherà le tasse a Londra. Una fuga dall’Italia dopo anni in cui lo Stato, cioè i contribuenti, hanno foraggiato il Lingotto”.

Dottor Cobianchi, chi era Sergio Marchionne?
“Partiamo da una considerazione: è stato uno dei più grandi manager che l’Italia e il mondo abbiano visto, e non solo nel settore automobilistico. Le sue qualità non si discutono. Va detto però che ha potuto fare ciò che ha fatto, ovvero salvare la Fiat e farla diventare il sesto gruppo mondiale del settore, anche grazie agli aiuti di Stato. Questo è confermato da una considerazione  molto semplice e che pochissimi hanno sottolineato in questi giorni: dal 2004 al 2018 la famiglia Agnelli si è arricchita ancora ma non ha messo in Fiat un soldo, non ci sono stati aumenti di capitale o altro. Sarebbe allora inspiegabile come Marchionne abbia potuto salvare l’azienda senza soldi. Certo, c’è stato quel famoso miliardo e mezzo di General Motors, ma non bastava a risolvere i problemi di un gruppo come Fiat. Tra parentesi quel miliardo e mezzo è frutto del contratto firmato dall’ex presidente Paolo Fresco e non da Marchionne. Fu Fresco il vero genio di quell’operazione. Detto questo per ristabilire la verità dei fatti, bisogna ribadire che la Fiat si è salvata grazie ai soldi pubblici, non c’è nulla di vergognoso e va detto.

Marco Cobianchi

L'ex Ceo del gruppo Fca riuscì ad avere molto dalla classe politica?
“La genialità di Marchionne è consistita nel girare il punto di vista. La Fiat fino ai suoi predecessori, Romiti, Morchio e così via, era stata un problema degli Agnelli, anche se lo Stato i soldi alla Fiat li ha sempre dati fin dal ’49, dal Piano Marshall. Il 3 agosto del 2005 però Sergio Marchionne ottiene una riunione a Palazzo Chigi con tutti i ministri economici del governo Berlusconi guidati da Gianni Letta, i sindacati delle regioni dove la Fiat aveva stabilimenti e gli amministratori locali. Si tratta di una data che cambia la storia. Marchionne dice al governo Berlusconi (e poi farà lo stesso con quelli successivi) che il problema non è suo o degli Agnelli: è dell’Italia. Perché in mancanza dei soldi pubblici lui avrebbe chiuso le fabbriche, e ciò diventava davvero un problema del Paese. In questo modo l’ex ad Fiat è riuscito ad ottenere gli aiuti di Stato che altrimenti sarebbero risultati impossibili”.

Si è trattato di interventi protratti nel tempo e importanti?
“Io ne cito una serie. Il più importante è stato quello dei 300 milioni per Pomigliano d’Arco, oggi una delle fabbriche più produttive d’Europa ma all’epoca da chiudere. Ci sono poi stati infiniti altri modi attraverso cui lo Stato italiano ha aiutato Marchionne. Tra il 2005 e il 2010 per esempio ci sono state 4 rottamazioni, una cosa mai vista, rinnovate di anno in anno, alcune con caratteristiche diverse, altre disegnate sui bisogni dell'azienda torinese. Un caso: le rottamazioni disegnate sulla base di sconti ai clienti solo sulle auto a metano. E la Fiat produceva auto a metano. Oppure  l’aumento delle accise sul gasolio deciso dal governo Berlusconi, fatto esplicitamente per reperire le risorse per comprare i camion e gli autobus dell’Iveco. E ancora: il risanamento di una parte di Mirafiori finanziata dalla regione Piemonte, o gli aiuti al CRF, Centro Ricerche Fiat, che per 10 anni ha sostanzialmente lavorato con i soldi pubblici. Si presentavano progetti e lo Stato finanziava attraverso i vari ministeri dell’Università, della Ricerca scientifica, dell’Industria o dell’Ambiente”. 

Lei racconta un altro caso eclatante: quello della mobilità lunga per i colletti bianchi.
“Sì, un altro aiuto è stata la mobilità lunga per i colletti bianchi destinati al licenziamento. Quando Marchionne arriva al vertice Fiat fa fuori qualche migliaio di operai, poi passa agli impiegati e quindi ai manager. I colletti bianchi in esubero nel 2006 erano 2000. Non si può licenziare un simile numero di persone da un momento all’altro, così il manager chiede la mobilità lunga al governo. Si tratta dell’anticamera del licenziamento, ma con quello strumento si può anche arrivare alla pensione. In quell’occasione l’allora ministro del Lavoro Roberto Maroni si dice contrario. Ma quando cade il governo Berlusconi, arriva il governo Prodi e il nuovo ministro del Lavoro Cesare Damiano firma subito la mobilità lunga per la Fiat. Il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani dirà in quell'occasione: ‘Adesso però la Fiat non chieda più niente”.

Sergio Marchionne

I critici di Marchionne fanno notare che molti dei suoi piani industriali sono rimasti spesso in parte inevasi. Dicono anche che era bravo ad assicurare lauti guadagni a soci e azionisti ma creava problemi sociali. E’ così?
“La risposta è sì, con un ma… nel senso che senza di lui, forse, saremmo messi anche molto peggio. Ha creato problemi sociali ma ne ha anche risolto moltissimi. Non voglio addentrarmi oltre su questo argomento. Anche se ho sentito in tv, a La7, Giorgio Airaudo (ex sindacalista della Cgil e politico, ndr) che faceva notare come ci sia ancora la cassa integrazione in molti stabilimenti, compreso Mirafiori. Quanto ai piani industriali lui ne ha fatto 8 in 9 anni e io li cito tutti nel mio libro. Diciamo che tenuto conto delle automobili che ad ogni piano industriale prometteva, e poi di quelle che effettivamente sono state realizzate, siamo a un 50%. Prometteva insomma di fare entro 4 anni 20 nuovi modelli di vettura e in realtà ne faceva 10".

C'era della genialità anche in questo?
"Era tanto bravo nel far perdere le tracce dei suoi obiettivi presentando tanti piani industriali, revisioni di piani industriali, aggiornamenti di piani industriali, piani industriale trimestrali, semestrali, annuali e pluriannuali che, alla fine, nessuno sapeva più quali fossero gli obiettivi industriali e finanziari della società. Non si riusciva a capire cosa avesse in testa. Questo può essere negativo ma segnava anche la sua genialità, perché riusciva a spiazzare, a non far capire cosa stava facendo. E poteva fargli gioco. Tra l’altro ricordiamoci che Marchionne è stato un analista finanziario, un controller di altissimo livello, quindi sapeva perfettamente cosa volevano sapere i mercati, e dava in pasto ai mercati esattamente ciò che volevano sapere. Quel modus operandi ha avuto fine nel 2009 quando ha acquisito Chrysler. Gli americani non l’avrebbero permesso”.

L'ex Ceo di Fca e, nel riquadro, la copertina del libro di Cobianco

Dicono abbia dato poco spazio all’innovazione.
“Un fatto: il costo maggiore per un’automobile è il pianale, sviluppare un pianale costa l’ira di Dio. Durante l’era Marchionne nessun nuovo pianale è stato sviluppato. Per esempio, il pianale della 500, di tutte le versioni, è il vecchio pianale della Tipo, o della Uno. L’ex Ceo di Fca non ne ha inventato un altro, quindi tutti i modelli prodotti durante il periodo di Marchionne hanno utilizzato quelli esistenti. Non è innovazione questa. Lasciamo poi perdere il ritardo sull’auto elettrica, perché ci ha provato ma diceva che ci avrebbe rimesso 2mila euro su ogni 500 che vendeva".

Lei ha scritto che se non ci fosse stata Chrysler col marchio Jeep dentro il gruppo Fca l’Italia avrebbe un’altra grana oltre ad Alitalia.
“Quando venne assorbita la Chrysler, nel bilancio 2013 la Fiat perdeva 900 milioni di euro mentre i marchi Chrysler guadagnavano un miliardo e 800 milioni”.

Marco Cobianchi

Cosa può succedere ora che il gruppo è orfano di Marchionne? Lei ha detto che Manley dovrà essere più bravo del predecessore.
“Mike Manley è un grande manager. E’ artefice della svolta di Jeep. Bravissimo, anche se ha venduto il marchio Jeep, non quello Chrysler. Io penso però che Mike Manley non sia più bravo di Marchionne, e penso che il rischio di vendita del gruppo ci sia. Certo, se ciò avverrà si potrà parlare di fusione con Hyunday, Toyota o Kia, ma alla fine se sei più piccolo l’operazione diventa sostanzialmente una vendita. E credo che il rischio di finire in mano ai coreani o ai giapponesi (agli americani no) esista. Ciò premesso voglio dire che Manley dovrà tuttavia essere più bravo di Marchionne da un punto di vista industriale, fare delle cose che Marchionne non ha fatto o non ha potuto fare. Qualcosa di nuovo. Perché, parliamoci chiaro, la 500 è la 500, non stiamo parlando di un modello realmente nuovo come lo fu la Uno".

Quindi a suo avviso il gruppo non ha innovato spesso, ultimamente?
"Marchionne provò a mettere sul mercato una novità, la Fiat Idea, ma fu un disastro. Pensare che non bastò nemmeno che ci salisse il Pontefice. In Brasile infatti, per la Giornata mondiale della gioventù, Papa Francesco si spostò su quel modello di auto Fiat, e nel Paese sudamericano apparve uno spot con uno slogan che diceva: “Buona Idea Francesco”. Ma nemmeno così le vendite decollarono”.