[L'intervista] "Vi racconto la verità sul rapporto tra Marchionne e John Elkann. Ecco inoltre pregi e limiti del grande manager FCA"

Gigi Moncalvo, uno dei più grandi conoscitori delle vicende Fiat e della famiglia Agnelli: "Marchionne si è comportato da vero "padrone" dell'azienda. Ci sono esempi emblematici. E' stato capace di far guadagnare molti soldi agli azionisti e ai soci ma non si è curato molto delle conseguenze sociali. Il suo braccio destro ha dato le dimissioni. Perché si parla dell'ex Ceo come se non ci sia più?"

[L'intervista] 'Vi racconto la verità sul rapporto tra Marchionne e John Elkann. Ecco inoltre pregi e limiti del grande manager FCA'

Gigi Moncalvo, giornalista e scrittore, autore di pubblicazioni come “Agnelli segreti” o “I lupi e gli Agnelli. Ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia”, è senza dubbio uno dei più grandi conoscitori delle vicende del gruppo Fiat (Fca) e della famiglia più in vista del Paese. L’abbiamo raggiunto al telefono per porgli alcune domande sul dramma di Sergio Marchionne e sulle conseguenze della sua improvvisa uscita di scena dalla direzione dell’azienda del Lingotto.

Moncalvo lei scrive su Facebook che il rapporto tra Sergio Marchionne e John Elkann non era tutto rose e fiori. Non tutto era come poteva sembrare?
“Non tutto era come poteva sembrare perché certe volte in un rapporto di lavoro, d'affari o di management di 14 anni ci possono essere alti e bassi. Una persona intelligente come Marchionne tuttavia capì subito come andavano le cose e si conquistò uno spazio perché nella famiglia Agnelli molti si preoccupavano di incassare le cedole, ma di automobili, affari e produzione non capivano molto. Gianni Agnelli sapeva che tipo di persone c’erano tra i circa 150 parenti e le assemblee di famiglia erano persino divertenti, da un certo punto di vista. Raccontano che l’Avvocato parlava per esempio al microfono e alla fine diceva: vedo che non ci sono domande, potete passare alla cassa. Marchionne ha capito quali praterie avesse davanti ed ha colto l’opportunità professionale per comportarsi alla fine – com’era probabilmente giusto viste le responsabilità che aveva sulle spalle - da padrone (tra virgolette)”.

Sergio Marchionne e Jhon Elkan

In sostanza alla fine era lui a decidere?
“Si era creata una grande dicotomia: da una parte l’azionista di maggioranza (John Elkann), dall’altra un grande manager, che tuttavia restava un dipendente. Ora, nel capitalismo moderno è il capitalista di maggioranza a prevalere nelle decisioni e non il suo dipendente, ancorché illustre e importante. In questo caso si è invece verificato il contrario. Per la fortuna di tutto il gruppo, si potrebbe dire, perché le decisioni di Marchionne hanno portato moltissimo denaro nelle tasche di coloro che, nel 2003-2004, alla morte di Giovanni Agnelli prima e Umberto Agnelli dopo, per la prima volta, si vedevano costretti ad aprire il portafoglio e provvedere a ricapitalizzare le aziende. Marchionne a poco a poco ha cominciato a comportarsi da autentico dominus della situazione, con la sua personalità e il suo carisma. John Elkann non buca il video come lui. Appare diverso dal moderno capitano d’industria deciso, risoluto, severo con i dipendenti e decisionista".

Ci sono episodi dove questo si evidenzia?
"Molti gli episodi. Basti ricordare certe assemblee della Banca d’Italia o talune riunioni di Confindustria (fino a quando la Fiat era dentro),  quando i giornalisti davanti alla coppia Marchionne-Elkann dirigevano inevitabilmente i taccuini, i microfoni, le telecamere o i flash verso l'ad, quello che di solito aveva cose importanti da dire e le cui parole avevano forte significato. Io ricordo poi l’episodio del Gp di Monza di  Formula 1, quando ai box Ferrari era ospite il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. C’è l’immagine di Sky dove, seduti, ci sono al centro il premier, a destra Marchionne e a sinistra Piero Lardi Ferrari, il figlio del “Drake”. Dietro, su una panchetta, sta Jacky. Una immagine emblematica. Non si è mai visto infatti l’azionista di maggioranza, il padrone, seduto in seconda fila. Ma c’è anche la vicenda della defenestrazione di Luca Cordero di Montezemolo dalla Ferrari. Un caso che descrive bene il comportamento da “padrone”, da vero detentore del potere,  di Marchionne".

Il giornalista e scrittore Gigi Moncalvo

Cosa accade?
“In quell’occasione il Ceo prende il telefono di domenica mattina e comunica a Montezemolo che non è più il presidente della Ferrari. Montezemolo poi si lamenterà dicendo che si aspettava almeno una telefonata da qualcuno della famiglia Agnelli, in pratica da John Elkann. Dopo di che Marchionne avvia il trasferimento della Ferrari in Olanda (sede sociale), a Londra (sede fiscale) e a New York (con la quotazione in Borsa al New York Stock Exchange). A Londra si pagano meno tasse e a New York c’è la Borsa. Decide infine di riunire, per 15 giorni dopo, il Consiglio di Amministrazione. Caso particolare, visto che in genere il Cda va riunito prima di prendere certe decisioni. Si tratta in sostanza di uno dei momenti in cui il Ceo dimostra, se non di essere il vero padrone, di rappresentare lui i veri padroni. Di essere colui che a tutti gli effetti esegue ciò che i veri proprietari gli dicono".

E qui entriamo nel tema fondamentale: chi sarà ora il vero padrone della Fiat? Un segnale importante sotto il punto di vista della direzione che sta prendendo la futura gestione della azienda, è quello delle dimissioni del dottor Alfredo Altavilla, il braccio destro di Marchionne. Cosa significa? Stanno prevalendo linee volute da John Elkann?
"Nel tourbillon di nomine fatte, colpisce la nomina di John Elkann alla presidenza della Ferrari. Sembra un messaggio alla royal family: sono io che comando. Forse c’erano al proposito delle promesse fatte ad Andrea Agnelli, specialmente nel periodo in cui se la passava male, e per dargli una mano avevano pensato di mandarlo a presiedere la Ferrari. Colui che è stato nominato amministratore delegato, Louis Camilleri, per altro era il numero uno della Philip Morris, e Andrea Agnelli ha lavorato per parecchi anni in quella azienda. Dunque se dovevi prendere qualcuno da lì potevi prendere uno della tua famiglia. Invece no. Anche se a mio avviso si può vedere addirittura una colpa di Vettel. Nel senso che la decisione di Jacky di insediarsi al comando del Cavallino rampante in qualità di presidente sembra essere stata presa quando Vettel era in testa alla classifica di F1, quindi si delineavano prospettive di vittoria nel campionato. Quale occasione migliore per essere artefice della conquista di quel prestigioso trofeo? Invece il giorno dopo il pilota va a schiantarsi e la Rossa ritorna al secondo posto. Tutti sappiamo quanta visibilità diano le vittorie sportive. Forse per questo Jhon Elkan è intervenuto anche sulla campagna acquisti della Juve, sottolineando con le agenzie, che era stato  lui a dare il disco verde all’acquisto di questo e quell'altro calciatore, come se da un punto di vista delle notizie finanziarie, della Magnetti Marelli o della Hyunday, tutti aspettassero invece cosa avrebbe detto Marchionne".

Sergio Marchionne

E tornando su Altavilla?
"Alfredo Altavilla era il braccio destro di Marchionne. Giocavano al poliziotto buono e a quello cattivo. Non che Marchionne fosse buono, ma Altavilla recitava solitamente la parte del più cattivo”.

Ma poteva esser lui il successore dell'Amministratore Delegato?
“Poteva esserlo, Marchionne puntava su di lui, ed evidentemente glielo aveva detto. Altavilla aveva per ciò rinunciato ad altre opportunità, per esempio era circolato il suo nome come possibile Ad della Rai. Ma nessuno poteva immaginare questo epilogo della vicenda umana di Marchionne. Altavilla pensava con buona probabilità che i patti sarebbero stati mantenuti, invece gli hanno evidentemente girato  la schiena. In primo luogo perché è italiano, essendo chiaro che si sta puntando a dare a FCA un aspetto internazionale. Infatti non hanno scelto neppure un manager italiano. Fanno certe cose  a Torino, comportandosi come se la società fosse italiana, ma non è vero. I Cda dovrebbero farli in Olanda o a Londra. Dov’è la sede sociale? Si pensi che la prima società ad essere trasferita ad Amsterdam fu la CNH. La legge olandese consentiva, a chi deteneva il pacchetto di maggioranza più consistente, di avere una sorta di premio che assicurava la maggioranza assoluta. Il governo e il parlamento italiano allora intervennero subito, e nel giro di 10 giorni cambiarono le norme introducendo lo stesso meccanismo in Italia. Volevano impedire che la Fiat andasse in Olanda, ma la Fiat se ne andò comunque".

Marchionne è stato considerato da molti un grande manager da un punto di vista finanziario, poco propenso però a fare piani industriali capaci di portare benefici sul piano dell’economia reale. Condivide?
“Lui nel corso di questi 14 anni ha fatto 11 piani industriali. Se li si va a vedere però sono piani disattesi, non guardavano al prodotto, all’innovazione, ai modelli delle vetture, ma a mosse finanziarie per giungere a dei profitti. Marchionne, in definitiva, non badava molto a problemi come l'occupazione. Anzi attuava un sistema tremendo dal punto di vista delle conseguenze sociali. Vale a dire non licenziava - cosa complessa anche per le problematiche sindacali -  ma smetteva di dare lavoro a chi già era impegnato o lavorava in Fiat. Alla fine era l’Inps a intervenire con la Cig. Se io sposto le produzioni in Jugoslavia, Polonia, Francia, Messico, Brasile o Detroit smetto di far produrre gli operai italiani e chiudo stabilimenti come Pomigliano d’Arco, Termoli o Melfi. E non solo".

Marchionne con l'ex premier Renzi

C'è altro?
"Ci sono conseguenze pesanti su un altro settore: l’indotto. Anni fa per avere incentivi dallo Stato o dalle banche la Fiat faceva notare che attorno alle sue attività ce n’erano tante altre per produrre i tubi di scappamento, le rifiniture e così via. Se non ci aiutate, diceva, andiamo in crisi e con noi quelle centinaia di piccole aziende con 50 o 100 dipendenti. A un certo punto però quei lavoratori non sono andati in cassa integrazione: sono stati licenziati. Se apri uno stabilimento che fa la 500 all’estero, l’indotto non si trasferisce da Pinerolo a Belgrado: chiude. Non va in Messico o vicino a Detroit o a Rio: abbassa le saracinesche. Ci sono migliaia e migliaia di lavoratori delle piccole aziende che, nel quasi silenzio assoluto, hanno subito questa sorte. Una economia è stata devastata, specialmente in Piemonte e in certe zone del Sud. Marchionne non si è curato molto di questo, né della Confindustria. Ha anche usato Renzi come un tram, in cui è salito senza pagare la corsa poi è sceso. E Renzi a Detroit gli ha detto (c’è un filmato su Youtube): Dottor Marchionne lei è un esempio per gli industriali italiani. Un giorno a Reggio Emilia però un signore, durante una conferenza, si è alzato e ha detto: 'Io sono un piccolo industriale della zona, qualche anno fa sono finito sui giornali e mi hanno dato del poco di buono perché, lo ammetto, nel primo giorno di ferie ho chiuso la mia piccola fabbrica e ne ho approfittato per trasportare un camioncino di macchinari in Romania e delocalizzare. E’ passato un operaio, ha visto ed è venuto fuori il putiferio. Vorrei però sapere perché io sarei un poco di buono, un lestofante, per aver trasferito un camioncino di macchinari, anche un po’ vecchi e arrugginiti, in Romania, mentre il dottor Marchionne che ha trasferito tutto all’estero invece viene definito dal presidente del Consiglio un esempio per gli industriali italiani. Chi mi dà una risposta?'”.

Già, perché?
"Il problema è che Marchionne è un uomo che vale milioni di dollari e fa guadagnare milioni di dollari agli azionisti e ai soci. E’ un uomo che il suo dovere l’ha fatto. E’ stato messo lì per fare certe operazioni e le ha fatte. E' molto strano per altro che tutti quelli che stavano attorno a un uomo d'oro così, dalle segretarie ai collaboratori e alle scorte, non abbiano mai segnalato che stava male. Lascia per altro sorpresi  la lettera di Franzo Grande Stevens pubblicata dal Corriere. Ci si riferisce ad un uomo ancora vivo eppure il legale di Gianni Agnelli dice in chiusura: 'Alla società, ad Elkann, che è esponente e leader della proprietà, la mia commossa partecipazione. Marchionne ha lasciato una società che ha raggiunto l’incredibile risultato dell’azzeramento del debito e l’avvio di una vita di successi. Mi auguro che sulla strada che egli ha tracciato, sul suo esempio, la Fca prosegua con gli stessi risultati. Soltanto così il grande dolore di tutti noi potrà alleviarsi'. Ma è giusto fare già certe affermazioni? Tra l’altro non si cita nemmeno la famiglia dell'ex Ceo”.