[L’intervista] “Vi spiego quale è il segreto per diventare imprenditori a 50 anni”
Stefano Pibi, ingegnere ed ex manager, nel 2016 ha cambiato radicalmente vita per lanciare Pbread, un panificio che punta sulla qualità e sul recupero della tradizione. Ha raccontato la sua storia a Tiscali News
![[L’intervista] “Vi spiego quale è il segreto per diventare imprenditori a 50 anni”](/export/sites/notizie/.galleries/19/pibi1.jpg_613881476.jpg)
E’ possibile lasciare un lavoro manageriale a 50 anni per diventare un imprenditore del pane? La risposta è sì, come dimostra la storia di Stefano Pibi, protagonista di una delle iniziative più interessanti della gastronomia sarda con Pbread natural bakery, inserito dal Gambero Rosso nella mappa dei migliori panifici di ricerca italiani, unico sardo presente nella lista. “Un'avventura e un sogno che punta a riportare al centro della tavola un prodotto oggi svilito come il pane” ha spiegato l'imprenditore a Tiscali News.
Come è nata la passione per il pane?
“Da una esigenza: non riuscivo più a trovare in commercio un prodotto che mi piacesse. Sono sempre stato appassionato di gastronomia. Cucinavo fin da quando ero ragazzo. Il pane però non lo facevo. Ho iniziato nel 2013. Il momento di svolta è però arrivato più tardi, quando una amica mi ha convinto ad usare il lievito madre. Mi si è aperto un nuovo mondo. Ho capito che il pane buono si può fare. Ho iniziato a farlo per me, ma non mi bastava più, volevo farlo mangiare anche agli altri e così è nato Pbread”.
Raccontato in questo modo sembra semplice. Lasciare però un lavoro manageriale a 50 anni con una famiglia alle spalle non è facile. Quale è stata la molla che ti ha spinto a fare il grande passo?
"La passione per il pane mi ha letteralmente conquistato. Mettere le mani in pasta, dare da mangiare alla gente è una cosa concreta che dà una gratificazione senza pari. E così ho deciso di lasciare un lavoro che per me non aveva più un grande interesse, nonostante avessi una carriera garantita".
Immagino che prima di lanciarti nell'avventura tu abbia comunque valutato bene i rischi. Quando hai capito che la tua idea imprenditoriale avrebbe potuto funzionare?
"L’ho capito tra il 2014 e il 2016 grazie ai colleghi e agli amici che mi chiedevano di assaggiare le cose che facevo. Il riscontro del prodotto era sempre molto positivo. In tanti mi dicevano di non aver mai assaggiato niente di simile. Questo, assieme a quello che vedevo accadere nel mondo del pane in Italia e all'estero, mi ha fatto capire che c’era uno spazio di mercato per proporre un prodotto di alta qualità, tradizionale e allo stesso tempo innovativo. Devo poi aggiungere che la mia formazione manageriale mi ha aiutato a tradurre una passione in una idea di business”.
Quali sono stati gli ostacoli principali per il lancio di Pbread?
"Di sicuro la ricerca di un locale adatto e successivamente la ristrutturazione. Il secondo, che continuo a vivere tutt’ora, è il personale. Non è facile avere un team di collaboratori stabili, motivati quanto te, che vogliono fare questo mestiere, che è duro, perché si fanno i turni, si lavora la notte, durante le festività. Per farlo bisogna avere una motivazione molto forte”.
La burocrazia è stata un problema?
“No. Questo aspetto è stato molto semplificato. Oggi con l’autocertificazione presenti tutta la documentazione e apri l’attività. Dopo arrivano i controlli. Però se sei fiducioso sul fatto che hai fatto le cose bene non hai problemi. Le uniche difficoltà puoi averle con certi permessi, come mettere i tavolini all’aperto, ma sono ostacoli di minore rilevanza”.
Ci sono momenti in cui rimpiangi la scelta che hai fatto?
"Certi giorni penso al fatto che ho rinunciato ad uno stipendio importante e che prima di averne un altro passerà ancora del tempo. Al momento le priorità sono pagare gli otto dipendenti, i fornitori e gli investimenti fatti. La motivazione è però molto forte e mi consente di superare tutto".
Il momento più bello?
"Potrei dire il giorno dell’apertura di Pbread a dicembre del 2017 ma in realtà i momenti belli sono tanti. Tutte le volte che un cliente mi ringrazia per le emozioni che prova assaggiando i miei prodotti è per me molto bello. E devo dire che capita tutti i giorni".
Nel successo di una attività imprenditoriale conta più la qualità del prodotto o il saperlo vendere?
"Il prodotto è determinante. Deve essere di altissima qualità. Però una cosa è certa: se hai un prodotto meno buono ma persone brave alla vendita riesci a farlo passare, il contrario no. Puoi avere un prodotto eccellente ma se non hai qualcuno in grado di raccontarlo opportunamente non passa. Dall’altro lato bisogna però aggiungere che un cliente è disposto a perdonarti un errore se hai un prodotto eccellente, non è disposto a farlo se è scarso”.
Cosa sarà Pbread in futuro?
"Ne vedo altri in giro da qualche parte. La mia idea è clonare il brand eventualmente facendo un franchising. Non necessariamente però con tutti i prodotti ma solo con uno. Perché oltre al pane faccio anche la pizza, le focacce, il panettone e in generale tutti i grandi lievitati”.
L’Italia è da anni in crisi e molti over 40 rischiano di perdere il lavoro. Consiglieresti loro di seguire il tuo esempio e fare gli imprenditori?
"Solo a una condizione: se hanno una grande passione per la quale sono disposti a rischiare tutto, senza compromessi. Aggiungo poi che la passione deve essere seguita con intelligenza ovvero bisogna avere un business plan credibile. E questo è importante anche per l’accesso al credito. Nel mio caso le banche hanno finanziato il 75%dell’investimento. Non è vero che non aiutano e che non ci sono i soldi. Quello che manca è spesso la preparazione degli imprenditori sui costi di produzione e sui margini delle attività”.
Oggi si parla molto di comunicazione sui social media. Nel tuo caso è servita?
"E’ stata fondamentale. Pbread è prima nato sul web e poi fisicamente. Ho creato il marchio per evitare che mi rubassero le foto del pane che pubblicavo online. Poi ho fatto una pagina su Facebook che in breve tempo è arrivata ad avere 7000/8000 follower. Il giorno dell’apertura ho avuto 300 clienti e molti di loro mi conoscevano già grazie ai social”.