[L'intervista] "Denuncio quelli che mi massacrano di insulti. Una barbarie che ha travolto la mia famiglia"
Dino Giarrusso, inviato del programma di Mediaset e autore dell'inchiesta sui presunti abusi sessuali di Brizzi, ora è candidato nell'uninominale. Fra critiche e parole pesanti

"Il tempo della pazienza è finito". ll giornalista del programma tv Le Iene che ha fatto scoppiare il caso dei presunti abusi sessuali sulle attrici da parte del regista Fausto Brizzi ora è ufficialmente un candidato all'uninominale per il MoVimento Cinque Stelle. Coperto di insulti sul Web, screditato sul tema dei vaccini dal virologo Roberto Burioni e trattato sostanzialmente come un bluff dal celebre critico tv Aldo Grasso. Mentre il caso Brizzi diventa finalmente anche un'inchiesta giudiziaria, Dino Giarrusso cambia marcia: si prepara all'avventura politica e a difendersi da chi lo diffama. E risponde a tutte le questioni, piuttosto "calde", che riguardano lui e il partito di cui ha deciso di abbracciare la causa.
All’inizio avevi delle riserve, dicevi che avresti rifiutato la candidatura. Poi hai cambiato idea e adesso sei in corsa. Perché?
"C’era un contatto fra me e alcuni esponenti dei Cinque Stelle per parlare di una probabile candidatura. Questa notizia che doveva essere riservata è invece diventata pubblica, come capita. Così, come ho già spiegato in un video, mi è stato chiesto da Le Iene - trasmissione per cui lavoravo - di scegliere in 24 ore. Si trattava di fare le Parlamentarie ed avere un posto nel listino. Io ho avuto scrupoli di coscienza perché avrei potuto togliere spazio a qualcun altro, magari un attivista storico, grazie alla notorietà televisiva. Insomma ero combattuto ed avrei voluto rifletterci adeguatamente, ma essendo uscita questa indiscrezione ho dovuto scegliere in fretta e ho scelto di non candidarmi. Ho quindi ripreso a lavorare per Le Iene, ma vedendo la campagna elettorale mi sono pentito: mi dispiaceva non esserci perché credo che queste elezioni siano decisive per il futuro dell’Italia. Pensavo di aver fatto una scelta sbagliata ma non si poteva tornare indietro. Poi si è scoperto che l'ammiraglio Veri, candidato proprio a Roma dove io risiedo, era già consigliere comunale in Abruzzo e non poteva candidarsi nel M5S. Chattando con un amico del MoVimento, e parlando con Gianluigi Paragone, ho così saputo che si era creata la possibilità di candidarsi all’uninominale a Roma. Senza posto nel listino, senza paracadute, senza nessuna garanzia: se vincerò questa sfida rappresenterò il territorio. Se perderò starò a casa ed è giusto così".
Quali sono i temi che stanno a cuore al candidato Dino Giarrusso?
"Rispetto ai 20 punti del programma io sono molto affezionato al reddito di cittadinanza che ritengo fattibile e credo possa portare grandi benefici. La riforma della formazione e dei centri per l’impiego (due settori tramite i quali sono state saccheggiate le casse pubbliche) potrebbe essere un rilancio per l’economia, per i giovani e per le tante persone che perdono un lavoro. Inoltre vorrei portare in Parlamento alcune delle battaglie già combattute con Le Iene. Come quella contro le bombe italiane che uccidono i bambini e i civili nello Yemen. Come la legge sulla violenza sessuale nei confronti delle donne, che oggi hanno solo sei mesi per evitare che il reato cada in prescrizione. Sono numerosi gli spunti a possibili riforme del nostro sistema legislativo suggeriti dalle inchieste che ho fatto”.
Saprai che è stato aperto un fascicolo di inchiesta giudiziaria sul caso Brizzi, che hai contribuito a sollevare.
“È stata una parte importante d'una mia inchiesta, sì...”.
Ci sono persone che hanno sporto denuncia entro il limite dei sei mesi per evitare che i fatti vadano in prescrizione. Su questo fronte hai sentito gli inquirenti o Fausto Brizzi, che è la controparte?
"Non ho nessuna notizia in più di quella che avete voi sull’attualità. Però nella puntata de Le Iene prima della pausa natalizia intervistammo due ragazze che avevano già la denuncia pronta. Ero quindi consapevole che alcune delle tante ragazze sentite da me avevano questa intenzione, e l'ho raccontato. Al di là degli aspetti penali è bene che sia un giudice a far venir fuori la verità”.
Certo, anche per evitare l’accusa che ci sia una gogna mediatica che distrugge le persone prima ancora che i fatti vengano chiariti.
"Tutto il mondo parla del caso Weinstein che è nato non dalla magistratura ma da una inchiesta giornalistica. Come pure è stato per Kevin Spacey e Dustin Hoffman. Solo in Italia si è usato impropriamente il termine 'gogna mediatica' quando sono semplicemente stati narrati i fatti. L’aspetto penale è una cosa, e l'Italia assicura forti garanzie agli imputati. Ma l’accertamento della verità dei fatti è altro rispetto alla sentenza, come disse anche Paolo Borsellino. Alcuni reati possono essere prescritti, e altre condotte possono non essere considerare reato, lo diranno i giudici. Io posso solo dire che eravamo certi che le ragazze che abbiamo mandato in onda fossero sincere, credibili, precise”.

Come hai preso la reazione un po’ fredda di Nadia Toffa e de Le Iene, che si sono detti sorpresi e un po’ delusi dalla tua decisione di candidarti?
"Ma non era vera. Ci siamo sentiti con Nadia…"
Cioè il Corriere della Sera pubblica un virgolettato mai uscito dalla bocca della Toffa?
"Sì: la sintesi non corrispondeva esattamente a quello che aveva detto Nadia. Ma non c’è problema, se anche l’avesse detto non mi sarei offeso. Nadia mi ha spiegato che lei aveva detto ‘noi siamo sposati con Le Iene, quando facciamo il programma non facciamo altro’, il che è diverso dal dire 'ci sentiamo traditi'".
Hai già risposto in parte al deputato Anzaldi che sostiene che tu sapessi dell’inchiesta sui falsi rimborsi del MoVimento 5 Stelle scegliendo comunque di candidarti…
“Non è che ho risposto: ho parlato col mio avvocato per procedere con la querela. Non so ancora se contro Anzaldi, che ha fatto equilibrismi verbali da specialista, quanto contro chi ha insultato me, la mia famiglia, la mia dignità, il modo in cui faccio il mio lavoro. E’ finito il tempo della pazienza, questa è barbarie. Se io avessi saputo dell’inchiesta sul M5S è chiaro che ne avrei parlato con i loro vertici. Solo dopo il servizio ho chiamato uno degli autori, che mi ha raccontato della segnalazione e del lavoro svolto. Specifico che a Le Iene lavoriamo ciascuno per conto proprio, di norma in contatto con un autore e con Davide Parenti, ma io non ho quasi mai saputo a cosa stessero lavorando altri. Tornando al punto, sto valutando quali delle cose scritte su Twitter possano essere perseguite”.
Dunque comincia la guerra a social hater e troll.
"Sì, basta, non se ne può più. Ben vengano là critiche motivate o per lo meno civili, ma ho finito la mia pazienza nel leggere che i miei genitori devono morire, che io sono un bandito, un poco di buono, un pezzo di merda, un carcinoma. E’ finito il tempo della tolleranza contro la diffamazione, il bullismo, la violenza online studiata e sistematica".
Per concludere, c’è questa questione che impegna i Cinque Stelle, ripulirsi dai furbetti dei falsi rimborsi. Non ti ha colpito, visto anche il tuo ruolo di giornalista d’inchiesta, che ci fosse questo genere di situazione all’interno del M5S?
"Penso che questo caso abbia aspetti positivi e negativi. Positivi perché tutti sanno che gli esponenti del M5S restituiscono soldi pubblici agli italiani, oltre ottanta milioni di euro in totale (vedi in dettaglio quanto dichiarato dal MoVimento, ndr). Gli altri parlamentari invece si tengono tutto il loro stipendio. I Cinque Stelle hanno donato decine di milioni di euro finiti al fondo per il microcredito, che ha creato circa 17 mila nuovi posti di lavoro per le piccole imprese. Queste sono ottime notizie. Poi però c’è la cattiva notizia, cioè che qualcuno all’interno del MoVimento ha tradito la fiducia degli elettori e l'obbligo della trasparenza”.
E dunque? Come si procede?
"Chi ha sbagliato deve andare via dal MoVimento".
Però la domanda è, e se l’è fatta anche Padellaro sul Fatto, ripreso su Facebook da Mentana: come si fa a lasciare serenamente il governo del Paese nelle mani di una forza politica che non è in grado di controllare adeguatamente i furbetti al suo interno?
"Beh, come si fa ad affidare il Paese a chi non si è accorto che un senatore della Margherita come Lusi aveva rubato lui da solo circa 25 milioni di euro di finanziamento, e non del suo stipendio? Come può parlare chi non si era accorto che Buzzi aveva creato un impero economico illegale così diffuso da esser definito Mafia Capitale?".
Questo è chiaro ed è da fatti come questi che nasce la rabbia degli italiani che poi si rivolgono al MoVimento 5 Stelle, però non tutti gridano lo slogan Onestà! Onestà! E ne fanno il cardine del proprio agire poltico.
“Il MoVimento è molto più efficace nei controlli di altri partiti che hanno permesso di eleggere un capo della Regione Sicilia che poi è stato condannato per mafia senza che loro si accorgessero di nulla. Nessuno del M5S ha mai rubato una lira di soldi pubblici, quelli delle donazioni finte erano i loro stipendi, non soldi degli italiani, sia chiaro. Quindi chi ha usato questo metodo ha commesso una slealtà grave nei confronti del MoVimento e della sua filosofia, e gravissima da un punto di vista morale. Ma non può dire 'non li hai controllati per bene' chi si è tenuto al suo interno - fra l'altro - gente che ha retto un sistema mafioso che ha sprofondato la capitale d’Italia in un debito da 13 miliardi che oggi stiamo scontando con tutte le difficoltà del caso”.