[L’intervista] "Riforma costituzionale e Camere passacarte: così stanno svuotando il Parlamento"
Stefano Ceccanti, costituzionalista e ora deputato del Pd, commenta le due leggi di riforma costituzionale in via di approvazione in seconda lettura. “Riforme non omogenee, antiparlamentari e ideologiche”

Inseguendo il caso Siri, distratti dalla guerra ai negozi di cannabis, ormai storditi dalle liti continue tra Salvini, Di Maio e il premier Conte, corriamo il rischio di perdere di vista le cose serie. Nella fattispecie una serie di riforme che, viste nel loro insieme, potrebbero svuotare il Parlamento limitandone le funzioni. E quindi la democrazia e la rappresentanza. Ieri la Camera ho votato in seconda lettura, la seconda di quattro, un’importante riforma costituzionale che prevede il taglio netto dei parlamentari: alla Camera ne resterebbero 400 invece che 630; al Senato 200 al posto degli attuali 315. In pratica un Parlamento ridotto di un terzo (600 contro i 945 attuali) e un “risparmio netto di 500 milioni” a legislatura. Che poi è la moneta più facilmente spendibile per i 5 Stelle, primi sponsor della riforma.
Insieme a questa radicale modifica, intrecciando i percorsi parlamentari tra Camera e Senato per fare prima, al Senato arriverà a breve, sempre in seconda lettura, la riforma dell’articolo 71 della Costituzione che prevede che una proposta di legge di iniziativa popolare presentata da almeno cinquecentomila cittadini debba essere approvata dalle Camere entro diciotto mesi dalla sua presentazione. Altrimenti su di essa viene indetto un referendum che avrà un quorum approvativo del 25%. In pratica leggi approvate bypassando le camere. Riforme radicali, appunto, di cui si parla poco. Quasi nulla. E che sono il risultato di quella “democrazia diretta”, obiettivo primario dei 5 Stelle, quelli che vollero entrare in Parlamento per “aprirlo come una scatoletta di tonno”. E poi magari buttarla via, quella scatoletta, visto che il superamento del Parlamento è un tema che affiora spesso nei progetti del giovane Casaleggio, regista e tutore dell’azione politica grillina.
Stefano Ceccanti è professore universitario, costituzionalista e deputato del Pd. In dichiarazione di voto ieri pomeriggio ha parlato di “taglio casuale numerico” e ha attaccato il presidente della Camera Roberto Fico responsabile di un “grave strappo procedurale” avendo bocciato e dichiarato inammissibili una serie di emendamenti correttivi della proposta di riforma arrivata e uscita blindata alla seconda approvazione.
Professor Ceccanti, il Pd ha votato contro questa riforma che in apparenza sembra semplificare l’iter approvativo delle leggi producendo anche un notevole risparmio. Perché?
“Perché non siamo d'accordo nel trattare la Costituzione come uno spot elettorale, per di più impedendo di discutere e votare alcuni emendamenti. Se la riduzione dei parlamentari non è collegata al superamento del bicameralismo ripetitivo, si confermano cioè le stesse funzioni e le doppia fiducia per Camera e Senato, o col monocameralismo o con un bicameralismo che raccordi Parlamento e autonomie, abbiamo a che fare solo con uno spot. Le altre democrazie o sono monocamerali oppure la prima camera ha un numero di eletti più alto e la seconda rappresenta le regioni per cercare di ridurre i conflitti tra Stato e Regioni. Qui invece abbiamo a che fare con tagli lineari solo numerici. Tutto sbagliato”.
Ridurre i parlamentari. Era anche un pezzo importate della riforma Boschi-Renzi. Perché allora andava bene e oggi no?
“Perché appunto stava in un disegno organico che teneva conto di tutte le questioni. Basti pensare a come sarebbe meglio gestibile la questione del regionalismo differenziato con un Senato delle Autonomie anziché solo con trattative politiche come oggi. In questo modo si vuole cambiare poco e male”.
I 5 Stelle parlano di “adeguamento” e non di riforma costituzionale. Minimizzano? E perchè?
“Se si parla di adeguamento bisognerebbe capire a quali esigenze. Un vero adeguamento dovrebbe puntare a evitare maggioranze diverse e a ridurre i conflitti con le autonomie. Qui invece ci si adegua solo alla demagogia”.
In un relativo silenzio e in pochi mesi siamo già a metà del percorso di riforma costituzionale. Che tempi immagina? E riuscirà il doppio pacchetto a completare l’iter e diventare legge?
“Da qui in poi i margini di recupero sono inesistenti perché nelle letture successive si può solo dire Sì o No. Questo era il momento di pensare bene a ciò che si faceva. E non è successo. In teoria a primavera 2020 queste riforme possono essere legge se avranno i numeri in Parlamento. Se invece si arrivasse al referendum, servono 5 mesi in più”.
Per come procede la legislatura, sempre più in bilico, e visti i numeri ieri in aula, anche queste riforme sembrano destinate ad un buco nell’acqua. Veniamo alla seconda riforma costituzionale in cantiere. Al Senato andrà presto in seconda lettura la modifica del referendum (articolo 71). È stata definita “un'arma in mano 500mila professionisti della firma”, basteranno infatti quelle firme per far approvare una legge dal Parlamento. Che significato, che effetti possono avere, queste due modifiche lette insieme?
“Se quel testo non viene corretto, rischia di svuotare il Parlamento. Perché un conto era - ed è - dire che si raccolgono firme su un progetto e poi, se il Parlamento va nella stessa direzione, bisogna essere soddisfatti dell'averlo stimolato e orientato, come proponevamo noi. Altra cosa è dire che si va comunque al referendum sul testo a prescindere dalle mediazioni trovate in Parlamento. Sono due riforme che, così congegnate, colpiscono il Parlamento. Devo dire, però, che almeno sul referendum si era discusso introducendo modifiche fondamentali ad esempio sulle materie e sul quorum. Stavolta non ci è stato consentito nemmeno questo, usando l’ammissibilità in modo selvaggio, lesivo del diritto di emendamento dei parlamentari. Lo svuotamento del Parlamento è stato anticipato dalla prassi”.
Un colpo di stato soft?
“Io non so se sia il caso di scomodare il concetto di colpo di Stato. Dico solo che non siamo in una situazione normale né per il rispetto delle regole costituzionali e parlamentari vigenti né per gli effetti concreti delle riforme. Mi sembra che ci sia un'eccessiva sottovalutazione anche da parte di molti costituzionalisti”.
Giudica furbo o saggio aver diviso due riforme costituzionali che potevano essere affrontate insieme? Di sicuro in questo modo per l’opinione pubblica è più difficile cogliere il senso generale di queste modifiche.
“Noto anzitutto una confusione voluta tra riforme chirurgiche ed omogenee...”
Nel dibattito parlamentare di questi giorni i 5 Stelle, la Lega è sembrata molto più distratta, hanno insistito molto con il concetto di “interventi chirurgici” forse per bloccare emendamenti e correttivi.
“Questa confusione, infatti, serve a dichiarare inammissibili emendamenti che invece lo sarebbero per evitare la brutta figura di votare contro. Se io presento un emendamento che cambia di più, ad esempio una sola Camera di 500 eletti, si può dire che non c'entra con una riforma chirurgica che porta la Camera a 400 e il Senato a 200? Evidentemente è un imbroglio. Va valutato poi che riforme anche omogenee e non troppo chirurgiche hanno comunque effetti di sistema che vanno attentamente valutati. In questi casi o non lo sono stati a sufficienza oppure ci si è basati su un'ideologia antiparlamentare”.
Il concetto della democrazia diretta, così caro ai 5 Stelle tanto da dare il nome al dicastero del ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, è antitetico a quello della rappresentanza?
“Niente esclude che la democrazia diretta possa essere un correttivo parziale di quella rappresentativa. Come lo è stato in gran parte il referendum abrogativo. Altra cosa è, invece, costruire regole e strumenti come se essi dovessero sostituire la democrazia rappresentativa, come ancora accade con l'attuale testo sul referendum”.
Tra gli obiettivi fondativi del Movimento 5 Stelle c’è lo svuotamento del Parlamento, la disintermediazione tra popolo ed esecutivo. E’quello che sta accadendo?
“Non giudico le intenzioni, giudico i testi. I due in discussione, referendum e spot elettorale sul numero dei parlamentari, vanno nella direzione negativa che lei enuncia”.
Entrambe queste riforme si stanno realizzando nella generale indifferenza dei professori e dei costituzionalisti che ai tempi della riforma Renzi erano invece tutti i giorni su tv e giornali. Come mai questo silenzio?
“L’ho notato anch’io… Non saprei identificare le cause. Forse è facile attivarsi quando si trova un capro espiatorio in un avversario politico, magari in fase di consenso calante. Ma non dovrebbe accadere questo”.
Come mai a margine della riforma costituzionale c'è anche una leggina elettorale per renderla subito applicabile?
“Perchè vogliono dimostrare, per le Europee, che loro saranno pronti nel giro di un anno, qualora si dovesse andare a votare. Lo giudico un eccesso di zelo, anche perché paradossalmente la leggina arriva prima della riforma costituzionale a cui è legata. Cambiare i numeri dei parlamentari cambia comunque la legge, anche se apparentemente l'impianto resta il medesimo. In particolare si gonfiano i numeri dei collegi uninominali con varie centinaia di migliaia di elettori rendendo nullo il senso del collegio, il rapporto diretto tra eletti ed elettori. Ma anche qui prevale l'esigenza di uno spot immediato, oltre a un'ideologia antiparlamentare”.