[L'intervista] "Le ultime parole di mio padre prima di volare giù dalla finestra. Ora voglio la verità sulla sua morte"
Cinque anni fa la morte di David Rossi, in pieno scandalo Montepaschi, fra conti in rosso e intrecci di potere poco chiari. Un caso che va a riaprirsi. Ne parliamo Carolina Orlandi, figlia del manager e autrice del libro "Se tu potessi vedermi ora"
Scritto con rabbia. E con la voglia di tenere alta l'attenzione su una delle morti più controverse degli ultimi anni. Il libro Se tu potessi vedermi ora, che Carolina Orlandi sta presentando (anche al festival L'Isola delle Storie di Gavoi) non è solo il racconto di uno dei casi giudiziari e finanziari che hanno tenuto banco nelle cronache italiane. E' anche e soprattutto il ritratto del rapporto tra un padre morto tragicamente e la sua figlia che si trova a vivere tra i fantasmi, le ambiguità, il volto sfuggente delle istituzioni. La storia di una famiglia, al centro di pressioni enormi, che trova la forza di non disintegrarsi. E di lottare per la verità. Carolina è la figlia di David Rossi, manager di Montepaschi piombato giù dalla finestra del suo ufficio nella sede centrale della banca a Siena. Era il marzo 2013. Suicidio, conclusero i magistrati. Quella spiegazione non ha mai convinto del tutto. Meno che mai i familiari che sostengono (perizie alla mano) che Rossi sia stato prima brutalmente picchiato e poi gettato giù dalla finestra. Le recenti inchieste hanno portato a galla elementi scottanti ora in fase di approfondimento, provocando la denuncia per diffamazione da parte dei magistrati senesi. Un caso tutt'altro che chiuso. Ne abbiamo parlato con la Orlandi.
Sono passati più di cinque anni dalla morte di suo padre, David Rossi. Tornata d'attualità dopo i servizi de Le Iene, l'inchiesta di Davide Vecchi e il suo libro. Che idea si è fatta degli ultimi sviluppi? In particolare, quel presunto giro di festini sessuali che venivano filmati per poter poi ricattare i partecipanti, in modo che non avessero la libertà di indagare con libertà su quanto accaduto.
"Io non credo che questi festini, come li hanno chiamati, abbiano contribuito alla morte di David. Se ne venisse confermata l'esistenza ci troveremmo di fronte a un sottobosco di poteri per cui, se in una città tutti sono ricattabili, allora può succedere di tutto. Può morire una persona, fallire una banca e nessuno paga, non si fanno le indagini".
Le ultime inchieste giornalistiche hanno portato all'apertura di indagini da parte del Consiglio superiore della magistratura e della Procura di Genova. I magistrati di Siena hanno denunciato per diffamazione Le Iene. Sono molti gli elementi su cui chiedete che si facciano indagini più accurate: la traiettoria innaturale del corpo di David nel precipitare dalla finestra, i vestiti fatti sparire, ad esempio. Qual è fra i tanti il più significativo, a suo avviso?
"Le ferite che David ha nella parte anteriore del corpo, quando è caduto a candela sbattendo la parte posteriore. Non sono compatibili con quella caduta e fanno pensare a una colluttazione. Avvenuta in quel periodo particolare, nella sede bancaria, e tale da far pensare che le cose siano collegate fra loro".

Credo che lei sappia che il presidente del Tribunale di Siena, Carrelli Palombi, e il Procuratore capo, Vitello, ad ottobre scorso hanno risposto sui dettagli contestati. Circa i vestiti, su cui c'erano segni di sanguinamento e sulle ferite. Da un lato dicono che non c'è stato un accertamento medico-legale adeguato...
"E' un'ammissione di colpa abbastanza grande se si pensa che all'inizio non sono state fatte tante cose importanti. Sono errori imperdonabili, non dovuti all'inesperienza".
...E proseguono sostenendo che le evidenze medico-legali rendono comunque più "suggestiva" la conclusione di morte per suicidio.
"Nella perizia fatta dalla dottoressa Cristina Cattaneo, nominata dalla Procura, lei stessa scrive che quelle ferite non possono essere compatibili con la caduta. Alla fine, però, torna un po' sui suoi passi, aggiungendo che potrebbero essere state causate da uno strusciamento contro la finestra. Abbastanza improbabile, come ha detto durante la trasmissione tv Quarto Grado il colonnello Davide Zavattaro, che con la Cattaneo si è occupato delle seconde indagini e ha svolto le perizie. Lui insiste sulla colluttazione, lo scontro fisico violento. Ma a distanza di anni tante cose sono di difficile reperibilità. Anche la riesumazione è le analisi successive sono state difficoltose. La prima cosa che andrebbe fatta è una perizia ufficiale da parte della Procura sui video della caduta di David. Noi speriamo che qualcuno si decida a parlare, che possa rendersi utile per riaprire le indagini".
Nel suo libro lei scrive di una conversazione in cui suo padre diceva a sua mamma: "Se scampo anche a questa cosa lascio tutto e inizio a fare quello che mi dici tu". Segno della percezione di pericolo imminente che aveva David Rossi. Avvertivate questa paura in famiglia?
"Assolutamente sì, era impaurito da qualcosa che non poteva spiegarci. Aveva detto a mia madre che si era accorto che il lavoro non è tutto, avrebbe voluto dedicarsi alla famiglia. Diceva: 'Ce ne andiamo a vivere all'Amiata dopo che sarà finito tutto questo casino'. Ma non avrebbe mai abbandonato la nave prima della fine della tempesta. Avrebbe continuato a fare il suo lavoro fino alla fine, e poi si sarebbe ritirato".
Siete convinti che le sue preoccupazioni, di cui aveva detto di voler parlare con i magistrati due giorni prima che precipitasse dalla finestra, fossero dovute alle condizioni della banca? Con la sottoscrizione dei due derivati Santorini ed Alexandria, poi con lo scambio di strumenti finanziari con la banca giapponese Nomura, che parteciparono a creare il dissesto finanziario di Mps? Non c'erano segni di depressione o esaurimento in David?
"No, lui amava il suo lavoro, gli aveva dedicato la vita. Se non ci fosse stato quel clima, anche di messa in discussione della sua figura, non si sarebbe spaventato. Poco dopo aver scritto la mail in cui informava i vertici Mps della sua intenzione di parlare con i magistrati, ci disse che aveva fatto una cavolata".
E il riferimento era a quella mail?
"Può darsi, è una nostra ipotesi".
Cosa le resta del suo rapporto di figlia con un papà che se n'è andato in modo così drammatico?
"All'inizio era la rabbia, ora non c'è più spazio per questa. C'è la consapevolezza e la voglia di ricordarlo per come era, non solo fare giustizia. Era una persona semplice, discreta. Ho voluto farne un ritratto umano, ma anche far capire attraverso il libro cosa significa per una famiglia normale lottare contro la Giustizia per aver giustizia. Un paradosso. Il libro è una parte dell'inchiesta su quella morte vista e letta con i miei occhi di figlia che a 21 anni si trova a non aver più fiducia nelle istituzioni, senza un padre e con una famiglia da ricostruire".
Lei e sua madre avete paura per la vostra incolumità fisica, oppure ciò che si muove attorno a voi, in termini di informazione e inchiesta giornalistica, funziona come una forma di protezione?
"Più una persona si espone più si salva la vita, in un certo senso. Questo ci rassicura. Stiamo rispondendo al nostro codice morale. Quando una persona ha la coscienza pulita e lotta per quello in cui crede, non deve avere alcun timore".
