[L'intervista] “Il gesto di Almirante e Berlinguer”: quegli incontri segreti tra i due nemici nel periodo del terrorismo
Il nuovo libro di Antonio Padellaro svela un particolare inaspettato della storia politica italiana. Ciò non cambia nulla sui due personaggi che restano contrapposti. Ma c'era rispetto. Cosa accadde al funerale di Berlinguer

Sono gli anni del terrorismo e l’Italia vive una delle pagine più critiche della sua storia repubblicana. In quel contesto incandescente e complicato due figure iconiche, rappresentanti delle opposizioni contrapposte, si incontrano segretamente per il bene dello stato: Enrico Berlinguer, leader del Pci (Partito Comunista Italiano), e Giorgio Almirante, leader del MSI (Movimento Sociale Italiano). Uno rappresentante della sinistra e uno di quella destra considerata fuori dall’arco costituzionale. Siamo tra il 1978 e il 1979, nel periodo cruciale del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, e i due avversari politici, i due nemici, si danno appuntamento più volte (da 4 a 6 recitano le cronache) nei venerdì pomeriggio, quando il parlamento è poco frequentato, per scambiarsi informazioni e pareri. Decidono di “unire le forze in nome della esigenza dell’interesse della Nazione che, in quel frangente, supera ogni altra esigenza”, come spiega Antonio Padellaro, ex direttore del Fatto Quotidiano, che nel suo ultimo libro “Il gesto di Almirante e Berlinguer” (ed. PaperFirst) ha reso pubblica quella singolare vicenda politica e umana.
Direttore si tratta di un fatto abbastanza inaspettato ma molto significativo della nostra storia politica, della stagione del terrorismo e degli uomini che la vivono. Un’epoca in cui si teme fortemente per la democrazia e in cui due leader tanto diversi e contrapposti decidono di parlarsi. Perché lo fanno?
“Si incontrano perché nei mesi successivi al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro l’Italia, come ricorderà chi ha i capelli bianchi ma anche chi li ha grigi, era impaurita dal terrorismo che mieteva continuamente vittime. C’era la sensazione di una guerra perduta in partenza. In quella drammatica situazione due personaggi assolutamente lontani politicamente, che nella guerra civile finita il 25 aprile del ’45 si erano addirittura trovati su barricate contrapposte, decidono di parlarsi per cercare di scambiarsi informazioni e valutazioni sul terrorismo rosso e nero. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il Pci di allora non subì certo tranquillamente il fatto che quelle che ammazzarono Moro e imperversavano con la violenza si chiamassero Brigate Rosse. Né, dall’altra parte, il MSI poteva ignorare che i Nar erano frutto dell’estremismo neo fascista. Anche per questo Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante decidono di parlarsi, e lo fanno parecchie volte nella riservatezza più assoluta”.

Questo porta a una diversa valutazione della figura di Almirante e offre una nuova chiave di lettura su Berlinguer?
“Questo non cambia nulla nella storia e nella valutazione dei due personaggi. Almirante resta e resterà sempre il repubblichino che firmava i bandi a Salò per reclutare i giovani italiani con la forza e con la minaccia, Berlinguer era Berlinguer. Sono due vicende che non possono essere paragonate. Non c’è insomma nessuna rivalutazione storica del leader del MSI, come non c’è una qualche incoerenza del leader del Pci. La parola chiave è appunto il gesto”.
Cosa significa?
“La politica fatta solo di parole è una politica vuota, ma i gesti in politica possono non aver bisogno delle parole, perché di per sé possono avere conseguenze tali di cui dobbiamo essere grati a chi ha voluto compierli per trovare intese su temi di così grande rilievo”.
Esistono ancora dei testimoni di quegli incontri segreti?
“Sì, uno. L’unico testimone in vita è Massimo Magliaro, ex portavoce di Almirante. Il leader del MSI infatti andava agli appuntamenti con lui, Berlinguer invece si faceva accompagnare da Tonino Tatò. Berlinguer e Tatò non ci sono più, come Almirante del resto. E’ rimasto solo Magliaro. Io poi ho sentito anche i familiari dell’uno e dell’altro protagonista, i quali non avevano molti elementi in più ma erano a conoscenza di questo rapporto. D’altra parte abbiamo a conferma di ciò un episodio che colpì molto tutti: il giorno del funerale di Enrico Berlinguer si presentò Giorgio Almirante, che fu accolto non come un nemico ma come una persona che con il capo del Pci aveva un rapporto stretto. Evidentemente qualcuno sapeva”.

Tra antagonisti di quel livello c’era comunque rispetto?
“Esatto. E quando morì Almirante una delegazione guidata da Giancarlo Pajetta e Nilde Iotti si recò a rendere omaggio alla salma del leader del MSI”.
Cosa può insegnare quel gesto di allora alla politica di oggi?
“Può insegnare che i gesti contano. Che questo Paese ha bisogno di atti concreti e anche di gesti di un certo tipo, di condivisione, non di inciuci, si badi bene, non di patteggiamenti o accordi sotto banco, ma di condivisione di punti fondamentali in nome del bene comune. Capisco che il riferimento al concetto di bene comune può apparire a taluno vuota retorica rituale, ma non è così. Il bene comune può essere invece proprio l’oggetto della buona politica, e si realizza anche smettendola di litigare dalla mattina alla sera per farsi campagna elettorale. Mi riferisco evidentemente a Di Maio e Salvini che in questi giorni e in queste ore non fanno altro. Fare il bene comune significa mettersi intorno a un tavolo pur di dare qualcosa di positivo al Paese. E la gente a mio avviso, pur stando in posizioni contrapposte, di questo sarebbe felice. Io avverto che lo spirito del tempo lo chiede. Si aspetta la fine della contrapposizione rabbiosa. Non delle differenze, non della conservazione dell’identità, assolutamente: queste cose vanno conservate. Ma chi è al governo, ed anche chi sta all’opposizione, dovrebbe avere la capacità di non parlare sempre per partito preso. Per dirla in sintesi, trovo che oggi il guaio del nostro Paese sia il Partito del Partito preso, per cui se uno fa una cosa e tu stai dall’altra parte quella cosa è sbagliata a prescindere. Non è così e non può essere così”.
Per il bene del Paese?
“Per il bene del Paese”