[L’intervista] “Tredici milioni di persone sono carne da macello per gli osceni interessi economici delle super potenze”

Dialogo con Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia sulla tragedia in Siria. La crudeltà di questa guerra si misura anche e forse soprattutto nella mole delle vite umane perdute: “Le Nazioni Unite hanno smesso di contarle nel 2013, ma avevano raggiunto già allora cifre impressionanti. Complessivamente, in sette anni di guerra sono morte fra le 200 mila e le 500 mila persone, ma è facile sbagliare per difetto

Siria, bambini medicati in ospedale dopo attacco nel Ghuta (Ansa)
Siria, bambini medicati in ospedale dopo attacco nel Ghuta (Ansa)

“In Siria è in corso la più grande tragedia umanitaria che abbia conosciuto il mondo negli ultimi decenni. Parliamo di 13 milioni di persone che hanno bisogno urgente di assistenza e che vivono in condizioni assolutamente precarie: con servizi igienico-sanitari carenti, alla mercé di malattie di ogni genere, in contesti dove a lungo è mancata l’acqua, l’elettricità e dove in taluni casi si vive ancora sotto assedio, in rifugi sotterranei e precari”. A parlare è Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia, attento osservatore del dramma siriano che dura ormai da sette anni e fautore-in questi giorni che vedono un nuovo picco di tensione nel paese- di una campagna di sensibilizzazione importante a favore della pace in Siria.

Il dramma dei bambini

I dati che Iacomini elenca sono la dimostrazione più eloquente del dramma che stanno vivendo in particolare i bambini: “Solo negli ultimi anni abbiamo registrato la distruzione di 300 scuole e altrettanti ospedali. Il paese è piegato da una povertà estrema legata alla guerra. A soffrirne sono 6 milioni di bambini, la metà della popolazione siriana”.  Un dramma nel dramma. E poi c’è il grande problema degli sfollati: “L’esodo più grande mai avvenuto dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi. Una diaspora di oltre 5 milioni di persone che ha preso varie direzioni: Iraq, Libano, Turchia, Egitto, Giordania. Dove la gente vive in campi profughi che sono andati via via ingigantendosi negli anni. Bambini, ma anche anziani e malati, accampati in queste che oramai sono diventate le loro città. Come Zaatari, nel nord della Giordania: un luogo sospeso nello spazio e nel tempo, in mezzo al nulla”. Poi c’è l’Europa.  “La metà di quelli che sono riusciti a fuggire è arrivata anche qui, soprattutto in Germania”. 

I morti non si contano più

Ma la crudeltà di questa guerra si misura anche e forse soprattutto nella mole delle vite umane perdute: “Le Nazioni Unite hanno smesso di contarle nel 2013, ma avevano raggiunto già allora cifre impressionanti. Se pensiamo che nel 2013 erano già morti 20 mila bambini e che questa cifra nel frattempo si è almeno quintuplicata, abbiamo un’idea della dimensione”. Complessivamente, in sette anni di guerra sono morte fra le 200 mila e le 500 mila persone, ma è facile sbagliare per difetto. “Non c’è la guerra solo quando Trump insieme a Francia e Gran Bretagna decidono di fare un blitz. Qui si combatte dal 2011 ed è una guerra di tutti contro tutti. Una vera e propria guerra mondiale, come ha detto Papa Francesco, con dentro tutte le potenze dello scacchiere mondiale ciascuna con i propri interessi”. 

Andrea Iacomini

Un crocevia di interessi economici

E’ come se la Siria fosse diventato il gigantesco terreno di gioco in cui si scaricano tutte le tensioni internazionali. La linea di faglia tra gli interessi dell’Occidente e dei suoi alleati nel Golfo, la Russia e i nuovi players emergenti. A farne le spese naturalmente è una popolazione inerme che vive tutt’ora dentro un incubo. “Nelle zone di Douma, come ad Afrin abbiamo assistito a degli assedi cruenti”, spiega Iacomini.  “Ci sono ancora delle persone nei rifugi, che noi stiamo assistendo con tutte le capacità organizzative, e poi c’è un’altra grande emergenza che riguarda un milione di bambini nella zona di Idlib, dove sono confluite le persone già sfollate dall’esodo di Aleppo e che non sono ascrivibili ai ranghi delle formazioni ribelli. Bambini che sono sottoposti ai bombardamenti e a violenze di ogni tipo”.

Tutti usano le armi chimiche

“Le armi chimiche? In Siria sono state utilizzate da ambo le parti, sempre che sia possibile individuare due sole controparti in un conflitto in cui non c’è solo Assad contro i suoi oppositori. C’è la Russia, l’Iran, la Turchia, gli inglesi e gli americani, i francesi, gli hezbollah in aggiunta all’ Isis, Al Nusra ed Al Qaeda. E’ inutile nasconderlo: l’uso di armi chimiche è andato di pari passo con la propaganda. Sono morti bambini e persone per mano di tutti. Questa non è una guerra che ha buoni e cattivi, è una guerra che ha soltanto grandi responsabilità condivise”. 

La diplomazia bloccata dai veti

In uno scenario così balcanizzato, in cui ogni parte in campo ha un interesse specifico da difendere l’intervento della diplomazia è complicato. Ma non impossibile per Iacomini che spiega: “C’è un problema a livello di grandi potenze che nella sede delle Nazioni Unite si pongono dei veti l’una con l’altra. Manca purtroppo una visione d’insieme perché ciascuno è legato al proprio spicchio d’interesse e perché ora -dopo che l’Occidente ha perso l’occasione nei primi anni di porre un argine a questo conflitto intercettando l’interlocuzione delle forme di ribellione democratica- la situazione sembra senza via d’uscita. Il mio è un appello alle diplomazie affinché almeno si riesca a riportare questi milioni di sfollati a casa. E’ necessario pacificare la Siria”.

I colloqui di Ginevra

“La classe dirigente mondiale che fino ad ora non ha dato grande prova di sé oggi ha un’occasione, ai prossimi colloqui di Ginevra guidati da un abile e straordinario uomo di pace come Staffan de Mistura e non possiamo che sperare che ci sia una soluzione. Però accanto al fronte diplomatico è evidente che esiste un dramma umanitario che comunque va risolto lasciando che si aprano corridoi umanitari almeno per portare aiuti in quelle zone dove è impossibile arrivare e dove ancora ci sono centinaia di migliaia di bambini che sono a rischio mutilazione a causa delle mine. Questa è una guerra ha reso disabile un numero imprecisato di bambini, che ha prodotto 10 mila orfani, e che se non si interviene rischia di consegnare un’intera generazione all’odio e alla frustrazione per il destino a cui è stata condannata”.  All’appello nei confronti delle diplomazie Iacomini non associa però neanche per un minuto l’idea che la grande diplomazia per eccellenza, quella dell’Onu, vada riformata proprio davanti al fallimento del caso siriano. “Le posso dire che le grandi agenzie delle Nazioni Unite – Unicef, Unhcr, Oms- fin dal primo anno del conflitto hanno fatto appelli ogni giorno, chiedendo agli Stati di trovare una soluzione”. 

Non è colpa dell’Onu

“Non mi associo a chi dice che è colpa dell’Onu.  Dico che è colpa degli interessi nazionali che prevalgono sempre rispetto all’ONU. Come può un’istituzione sovranazionale avere una responsabilità quando oggi sono gli Stati attraverso il potere di veto che decidono le sorti di un conflitto? Prendersela con l’Onu è un po’ come dire piove governo ladro. Certo, per evitare la fine della Società delle Nazioni una riforma andrebbe fatta, ma come si fa a riformare qualcosa che sta bene così com’è alle potenze più grandi? Oggi piuttosto occorre un grande appello alle coscienze individuali, un grande movimento d’opinione a favore della pace, sull’esempio di voci autorevoli come quella di Papa Francesco, che però da sola non basta. La parola “pace” non la usa più nessuno quindi ben venga appellarsi alla coscienza civile, anche perché non c’è solo la Siria, ci sono tanti conflitti dimenticati. Lo Yemen, ad esempio, sarà la prossima Siria”.