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Trionfo Le Pen, Crainz: "Il vento populista francese è pericoloso anche per l'Italia"

"I motivi del terremoto politico vanno infatti ricercati nelle paure dei cittadini occidentali. L'effetto contagio è reale"

Ignazio Dessìdi Ignazio Dessì   
Trionfo Le Pen, Crainz: 'Il vento populista francese è pericoloso anche per l'Italia'

La Francia registra l’avanzata dirompente della destra con la vittoria del Front National di Marine Le Pen - e della nipotina Marion Marechal - nella prima tornata delle regionali.  I dati delle elezioni transalpine sollevano uno tsunami capace di alimentare preoccupazioni anche fuori dai confini nazionali. I motivi di questo terremoto politico vanno infatti ricercati nelle paure che attanagliano i cittadini, da quella del terrorismo, amplificata dalle stragi di Parigi, a quelle seminate dalle conseguenze della globalizzazione e del liberismo sfrenato. Le paure insomma che coinvolgono – con gradazioni diverse – tutto il Vecchio Continente.

L’effetto contagio è dunque reale. Il vento francese rischia di estendersi anche all’Italia, andando ad alimentare movimenti come la Lega di Salvini e il M5S di Grillo? E Matteo Renzi rischia di essere indebolito da queste problematiche come lo è stato Hollande in Francia?

Secondo Guido Crainz, noto politologo e docente di storia contemporanea alla Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Teramo, il rischio è concreto soprattutto “se il Pd non saprà darsi una nuova classe dirigente capace di far di nuovo politica a contatto con la gente”. Quanto al risultato del voto francese “sarà interessante attendere l’esito dei ballottaggi, per capire cosa farà quel 70 per cento dei francesi che non ha votato per Le Pen”.

Le Pen insomma non ha ancora vinto?
“Già nel 2002 il padre di Marine andò al ballottaggio con Jacques Chirac, ma fu bloccato dallo sbarramento voluto dal partito socialista. La cosa potrebbe ripetersi”.

Quanto hanno influito nel voto francese il timore del terrorismo jihadista e le stragi?
“Il confronto tra le dipartimentali di marzo e le europee dell’anno scorso evidenziano uno spostamento di un 4 o 5 per cento, anche se ciò basta a fare del Front il primo partito in Francia. Certamente non ha influito solamente il pericolo terrorismo. La storia di Le Pen è lunga e non solo la sua. Del resto le votazioni del 2014 hanno visto fiorire in tutta Europa forze variegate - non sempre accorpabili - all’insegna della xenofobia, dell’anti europeismo, delle paure, delle incertezze e del disgusto per il sistema politico attuale”.

Il 45% di chi ha votato per il Front National è costituito da operai, disoccupati, piccoli imprenditori e commercianti. Dunque alla base di quel voto potrebbe esserci la risposta di chi si sente pregiudicato da certe politiche economiche rigoriste e senza sviluppo. Di chi non vede risposte adeguate alla disoccupazione, alla inadeguatezza dello stato sociale, del sistema di pensionamento, alle migrazioni di massa, alle paure seminate dalla globalizzazione.
“Certo, quel voto è il prodotto anche della crisi internazionale di cui spesso ci dimentichiamo. E già il padre della Le Pen si era radicato in periferie operaie dove un tempo era forte la sinistra. E per questo penso manchi attualmente da quella parte un ragionamento profondo su cosa succederà domani, dopo la lunga crisi dovuta alla globalizzazione e decenni in cui il predominio dell’Occidente si è drasticamente ridimensionato”.

Quale dovrebbe essere la riflessione giusta?
“Se permane l’illusione che ritorneremo come prima, come negli splendidi anni ’60 o ’80, c’è il rischio di finire in preda a chiunque prometta miracoli, come accaduto già con Berlusconi. Occorre invece dare una idea seria e convincente sul futuro che ci attende, su cosa significhi davvero ripresa reale all'insegna di una politica credibile”.

Gli italiani quella fiducia l’hanno accordata a Renzi nel 2014.
“Il voto del 2014 fu una eccezione. In mezzo a tanti populismi e xenofobie il Pd di Renzi riportò un successo rilevante. Quel 41% significava che il partito era riuscito a parlare a tutti i suoi elettori ma anche a una parte di Paese delusa dalle promesse del Cavaliere e disorientata. Ora però certi elementi di quella situazione non ci sono più e se non riesce a dare risposte il Pd rischia grosso”.

Il Front National - accanto alle note posizioni xenofobe - promette lavoro, pensione a 60 anni e lotta alle ingiustizie.  Non c’è rischio che il vento francese prenda a soffiare forte anche in Italia portando voti alla Lega di Salvini o al M5S che incarnano molte di quelle rivendicazioni?
“Il rischio c’è ed è enorme, anche se ritorna la stessa considerazione fatta per la destra francese: in caso di ballottaggio quelle formazioni riusciranno a vincere? Tornando poi al nocciolo della questione credo che il rischio non sia solo relativo alle misure economiche, perché alcune riforme fatte da Renzi sono difficilmente contestabili. Io ho difficoltà a contestare perfino la riforma della scuola, come si possono fare obiezioni sui 500 euro destinati alla cultura dei giovani?”

Qual è allora l’aspetto più delicato?
“L'abbandono totale del tema che in definitiva ha fatto vincere il premier: il terreno della riforma politica. I cittadini non ne possono più di una certa politica e lui rischia di pagare caro l’aver deluso su questo fronte. E’ impressionante lo scenario delineato dalle ultime amministrative e regionali. A due anni dalla sua vittoria si nota in certi casi una totale assenza di classe dirigente credibile. Mentre a livello governativo c’è una certa presenza, questa manca nel livello della politica diffusa e reale che dovrebbe essere a contatto del cittadino. Una grande sconfitta per il segretario del Pd. Se non si danno segnali di 'buona politica' i rischi per la credibilità si moltiplicano”.

Anche Yves Mény – politologo francese – afferma su Repubblica che “c’è una crisi morale e politica" alla base di quanto accade nel suo Paese. Fa notare inoltre che talune parole d’ordine del FN un tempo erano parole d’ordine di comunisti e socialisti. Non sarà il caso per certa sinistra di recuperarne qualcuna?
“Sì, quando per parole d’ordine intendiamo anche il rinnovamento della democrazia, che è stata la ragion d’essere storica della sinistra. Non sono d’accordo se si tratta di ripercorrere taluni schemi ormai superati”.

Su temi come lavoro o pensioni non crede si sia varcato un limite fisiologico?
“Le pensioni sono state riviste dal governo Monti perché ci tiravamo dietro una situazione basata sullo sviluppo al 5 per cento annuo e sull’equilibrio generazionale stabile. Saltati questi tasselli la sinistra doveva trovare per tempo gli adeguamenti, introdurli in modo graduale, invece c’è stata un’assenza di cultura riformatrice”.

E sul lavoro?
“Non si possono negare effetti positivi al Jobs Act riguardo ai giovani. Si parla di qualche  zero virgola ma in ogni caso il trend è positivo. E’ stato sbagliato invece considerare la garanzia dell’articolo 18 come un privilegio iniquo. E’ vero, restavano fuori le realtà con meno di 15 dipendenti, ma quell’articolo era una garanzia giusta soprattutto in un momento in cui è facile perdere il posto di lavoro e si è soggetti a ricatti. Infine si nota la totale inadeguatezza del sindacato italiano a sapersi misurare con i problemi generali del Paese come faceva un tempo”.

A suo avviso, quando gli elettori torneranno alle urne, probabilmente nel 2017 o 2018, Renzi rischierà di uscirne indebolito come Hollande in Francia?
“Un certo indebolimento è in corso e – come dicevo – progredirà se non si creerà una vera classe dirigente anche a livello territoriale. Dalle elezioni nelle grandi città, a parte forse Milano, viene un pessimo segnale. La Leopolda per ora non ha adempiuto a questa esigenza fondamentale, e in mancanza l’indebolimento è inevitabile”.

 

Ignazio Dessìdi Ignazio Dessì   

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