[Dieci minuti con...] Fornasir-Franchi: "La cura dei piedi dei migranti di passaggio è il nostro atto politico". Sulla rotta balcanica
La presidente di "Linea d'ombra" e suo marito, filosofo e scrittore, da dieci anni assistono i richiedenti asilo nella "piazza del Mondo". Una potente testimonianza di solidarietà. La video-intervista
La "rotta balcanica" è uno dei percorsi attraverso cui i migranti dall'Africa e dall'Asia cercano la porta d'ingresso per l'Europa. Da Turchia e Grecia il tragitto si snoda verso Nord attraverso la Macedonia e la Serbia o la Bosnia Erzegovina fino alla Slovenia. O all'Italia, passando per la Croazia. Trieste è una delle città di passaggio, dove questo flusso infinito di persone, uomini per lo più, ma anche donne e bambini, cerca di raggiungere i Paesi del Nord Europa. Nelle intenzioni c'è lavoro e stabilità, il sogno di una vita dignitosa. Il prezzo da pagare è molto alto: lo sanno bene Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi che da oltre dieci anni, attraverso l'associazione Linea d'ombra, prestano cure e restituiscono dignità a migliaia di persone in transito, che sostano in quella che loro chiamano la "piazza del Mondo".
"Curare i piedi delle persone che hanno camminato per migliaia di chilometri è un atto politico", dice a Dieci minuti con... di Tiscali News, Lorena Fornasir, psicologa clinica e psicoterapeuta, esperta di transculturalità e presidente dell'associazione che grazie alle donazioni di tanti cittadini e cittadine fornisce vestiario, scarpe soprattutto, ma anche cibo, cure mediche e assistenza psicologica e legale.
Un atto politico?
"Significa che per poter amare bisogna anche saper soffrire ciò che soffrono gli altri. Saper amare significa essere testimoni della vita di queste persone che, lungo il loro tragitto, sono state disumanizzate, sono state rese delle non persone, non degne di vita. Non degne neppure di morte. E noi che pratichiamo la cura, pratichiamo la prima accoglienza nella 'piazza del mondo', siamo testimoni delle violenze, delle torture, soprattutto da parte della Bulgaria, da parte della Croazia e quindi la nostra pratica di essere, di stare, di curare, di aiutare queste persone è una pratica di tipo politico. Quando la cura diventa un'estensione sociale, si produce nelle sue ramificazioni fino a incardinare un fenomeno così drammatico come questo della migrazione: la cura è politica".
Franchi, lei è un filosofo e ha scritto diversi libri, l'ultimo dei quali è Per un comunismo della cura, edito da Derive Approdi. La rotta balcanica è meno osservata rispetto a quelle mediterranee: chi sono queste persone che voi curate nella "piazza del mondo"?
"Mi interessa parlare del significato di questo tipo di migrazioni cominciate dopo gli anni dieci di questo secolo, che si differenzia dalle migrazioni tradizionali che anche noi italiani abbiamo fatto. Dagli anni '80-90, ai primi anni 2000, in Italia c'è stata una forte migrazione dall'Africa ad altri paesi, persone che finivano poi nell'agricoltura o nei livelli più bassi dell'industria. Ma questo tipo di migrazione ha una caratteristica, perché sono persone che arrivano in condizioni estreme: certe volte sono lì per morire. Una volta Lorena ha dovuto fare un massaggio cardiaco, altre volte abbiamo chiamato l'ambulanza. Perché queste persone arrivano in queste condizioni?".

Qual è la risposta?
"Le migrazioni che già conoscevamo nelle cinture industriali del nostro paese non avevano questa caratteristica estrema. Queste migrazioni sono il risultato di secoli di disastro fatto prima dal colonialismo e poi dal cosiddetto post colonialismo, che hanno distrutto antiche civiltà rendendo impossibile una vita coerente organica. E nello stesso tempo questi territori sono quelli che soffrono maggiormente del disastro ambientale che è la cosa fondamentale dei nostri tempi, l'alterazione dell'equilibrio fondamentale della vita".
Fornasir, sotto il cappello della vostra associazione avete riunito moltissimi volontari. Tra le vostre forniture, ci sono le scarpe perché centrale è la cura dei piedi di questi "camminanti". Che, tra l'altro, ha un particolare valore simbolico se vogliamo.
"Sì, beh è tutto iniziato con la cura dei piedi perché i piedi sono la parte del corpo che è esposta a un cammino non solo che dura anni. Per arrivare a Trieste le persone percorrono 300-400 chilometri a piedi, avendo alle spalle anche un background terribile di cammini forzati. Quindi è chiaro che la prima cosa è la cura dei piedi, è sicuramente un gesto molto simbolico, un gesto evocativo di tante cose. Ma è anche la parte più bassa del corpo che sostiene l'intera persona".
Si curano le persone, innanzitutto.
"Curare i piedi significa curare la vita di queste persone affinché seguano i loro progetti che non sono quasi mai quelli di fermarsi in Italia, ma di proseguire il loro cammino verso il nord Europa. Vorrei anche dire che la solidarietà che ci proviene da tutta Italia non è fatta soltanto di cose materiali e di scarpe, ma la bellezza che ha creato la 'piazza del mondo' è stata la nascita dei 'fornelli resistenti', gruppi di persone che provengono da Lucca, da Firenze, dalla Brianza, da Torino, da ogni parte d'Italia. Si mettono insieme a cucinare e anche questo ha un grandissimo valore simbolico. In tempi in cui la fame viene usata come strumento di guerra e come strumento di morte, portare da mangiare ai migranti della 'piazza del mondo' è un atto di grande politica, della politica più nobile che ci può essere. Una solidarietà che non è fatta di assistenza ma di impegno politico verso queste vite disumanizzate".
Da questa attività di cura alla fine deriva un ritorno in termini di creazione di comunità.
"Sì, di legami di comunità che sono una cosa fondamentale in una società che si sta disgregando e chiudendo in un individualismo che poi è la base dell'indifferenza. Noi siamo in una piazza che è come un'isola che sta al centro, dove tutta la città entra in Trieste, la città esce da Trieste e ci gira attorno nell'assoluta indifferenza. Questo fa riflettere una cosa abbastanza sconcertante".
La vostra attività non sempre è stata accolta con favore, nemmeno dalle autorità. A vostro carico ho letto che c'è stata una denuncia per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, poi archiviata. Quindi vi chiedo se i gesti, anche quelli più semplici o basilari di assistenza e di cura possano diventare un reato. Franchi, prego.
"Sì, oggi siamo in una situazione in cui la solidarietà è un reato perché è una società basata sull'individualismo più sfrenato, in cui da un giorno all'altro con una mail un fondo d'investimento americano liquida i dipendenti. Penso al caso della GKN di Firenze che può buttare sul lastrico 450 operai. E' una società in cui non esiste solidarietà. Quello che noi facciamo è proprio il contrario, creare solidarietà dal basso, data la condizione in cui oggi versano le istituzioni. Penso che l'unica possibilità reale e non teorica, astratta che abbiamo è rimboccarci le maniche e creare forme di socialità dal basso, partendo da uno dei tanti problemi sociali gravissimi che ci sono".
Noi dove ci posizioniamo?
"Viviamo sul confine e questo fenomeno migratorio è quello di cui ci occupiamo per creare solidarietà non solo fra noi e i migranti, ma anche fra noi cittadini italiani ed europei, cominciando dal basso. Per cui, come ha detto Lorena, questo vasto raggio di donatori non lo consideriamo come degli individui generosi che danno delle cose, ma come una forma di comunità che dovrà rinsaldarsi. Per questo facciamo anche incontri periodici con alcuni di loro per riflettere, per leggere insieme, per cercare di formulare un pensiero comune".
A microfono spento. Fornasir: "Posso chiederle di citare Noman Adnan Dani?". Certo, chi è? "E' un giovane che proviene dal Kashmir, arrivato in Italia attraverso la rotta balcanica. E' un richiedente asilo e lavora con un contratto a tempo indeterminato. Noman vive a Trieste e ogni sera, dopo 8 ore di lavoro viene in piazza ad aiutare i suoi fratelli. Si dona per chi soffre come ha sofferto lui, merita di essere citato".
