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[L'intervista] "Il governo fa bene a sfidare l’Europa e vi spiego perché. Spread? Con Monti salì oltre 500 e nessuno urlò tanto"

Per il noto economista è indispensabile agire in deficit per creare crescita e occupazione. Solo così per altro può cambiare il rapporto tra deficit e Pil e debito e Pil. Difficile parlare di rischio default per l’Italia, e c’è una ragione. La Grecia? Un’altra cosa. Germania e Paesi del Nord avvantaggiati dall'euro

Ignazio Dessìdi Ignazio Dessì   
Il noto economista Giuseppe Di Taranto. A sinistra Dombrovskis e a destra Moscovici
Il noto economista Giuseppe Di Taranto. A sinistra Dombrovskis e a destra Moscovici

Il governo Conte tiene duro sul deficit al 2,4 per cento del Pil e, nonostante la bocciatura della manovra da parte della Ue, insiste sulla strada delle  politiche espansive. Sorgono spontanei al proposito alcuni quesiti particolarmente stimolanti. Perché, per esempio, davanti a una manovra in deficit a favore della gente insorgono tutti, dalla Ue al mondo finanziario e ai media, quando è chiaro che le politiche di austerity che quegli stessi enti hanno imposto in questi anni hanno creato povertà, ridotto lo sviluppo e l’occupazione ed aumentato comunque il debito pubblico? Se il modello è sbagliato perché premono per non cambiare? E inoltre perché altri governi recenti hanno avuto lo spread a livelli ben oltre quello attuale e nessuno ha strillato tanto? L’argomento di discussione tra politici, economisti e cittadini comuni è comunque riassunto adesso in una domanda: cosa accadrà, alla luce degli orientamenti dell’Unione che ha concesso tre settimane al nostro Paese per adeguarsi , e come potrebbero reagire i mercati? Di questo e di altro abbiamo parlato durante una lunga chiacchierata con il noto economista Giuseppe Di Taranto, assertore convinto della necessità di abbandonare le politiche dell’austerità per abbracciare quelle della crescita.

Professore cosa  può accadere adesso?
“Possiamo mandare delle altre bozze cercando di adeguarci a Bruxelles o viceversa. Dopo di che,  se non si trova un accordo, da gennaio 2019 possono  scattare le sanzioni”.

Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis e, in primo piano, il commissario agli Affari europei Pierre Moscovici (Ansa)

Quali?
“Ecco, è interessante capire quali sono. In sostanza si tratterebbe di pagare dai 3 ai 9 miliardi, ovvero uno 0,2 o uno 0,5 del Pil. E a questo punto si tratta solo di capire quali siano i costi e i benefici.  Io non sono contrario al deficit del 2,4%, perché da anni stiamo subendo in Europa, su spinta della Germania e dei Paesi del Nord, le politiche dell’austerità, quando invece abbiamo assolutamente bisogno di crescere. Per farlo il Paese deve avere le risorse, e senza si può ricorrere unicamente al deficit e all’incremento del debito pubblico. Ma attenzione, qui si apre un discorso interessante: il trattato di Maastricht non parla di deficit in termini assoluti, o di debito in termini assoluti, ma di rapporto tra debito e Pil e tra deficit e Pil. Da notare che fino a qualche anno fa la Germania aveva un debito pubblico in valore assoluto intorno ai 1900 miliardi, dunque non tanto al di sotto del nostro, però chiaramente la Germania è un Paese virtuoso perché ha un denominatore molto più elevato, cioè un Pil molto più alto. Per arrivare a quei livelli l’unica soluzione è aumentare appunto il denominatore, il Prodotto Interno Lordo”.

Come si può fare?
“Attraverso gli investimenti. Questi hanno un effetto moltiplicativo sulla ricchezza, cioè sul Pil. Creano occupazione e incidono abbassando di fatto il rapporto deficit/Pil e debito/Pil. Certo bisogna scegliere quali fare. In primo luogo perché l’utilizzo del deficit e del debito pubblico devono portare a investimenti che non spiazzino quelli privati. Tuttavia sotto questo aspetto l’Italia sembra  avvantaggiata, perché la cabina di regia riunitasi di recente ha convocato i vertici di tutte le partecipate italiane, le quali hanno assunto l’impegno di investire nei prossimi 5 anni circa 20 miliardi, non certo pochi soldi. Gli investimenti pubblici, i famosi 3 miliardi e mezzo l’anno stanziati dal governo, devono essere complementari. Occorre poi agire per gestire quello che tecnicamente si chiama tempo di attraversamento, cioè il periodo necessario ad arrivare dal progetto all’inizio dell’attuazione, alla costruzione per esempio dell’infrastruttura. Tali tempi da noi sono molto più lunghi che altrove, anche rispetto a Paesi come la Spagna e il Portogallo, ed è evidente come ciò ci penalizzi. Ci vogliono allora investimenti mirati, in primo luogo infrastrutture tecnologiche, avendo queste moltiplicatore molto elevato”.

Tria, Conte, Di Maio e Salvini

Può esserci un pericolo reale derivante dall’innalzamento dello spread?
“Il pericolo derivante dall’aumento dello spread, dopo la bocciatura della manovra, può esserci, perché la speculazione è immediata mentre gli investimenti producono i loro frutti nel medio periodo. Ma a questo proposito non sarà inutile ricordare che durante il governo Berlusconi lo spread una volta arrivò a 575, mentre durante il governo Monti, chiaramente appoggiato da tutti per necessità economiche e politiche del momento, superò tante volte quota 500 (credo 19 volte) e però l’Italia non fallì. E dopo il governo Monti lo spread rimase tra i 410 e i 460, e ancora una volta il Paese non fallì”.

Ma l’Italia corre davvero il rischio del default?
“L’Italia non può andare in default per un fatto molto semplice: nonostante gli attacchi di tutti i Paesi del Nord Europa e delle agenzie di rating il nostro debito è tra i più solidi e sostenibili d’Europa, e il problema non è la quantità del debito ma proprio la sua sostenibilità. Noi, come faccio notare da tempo, abbiamo infatti una ricchezza che è due volte e mezza il nostro debito, e soprattutto esso è per due terzi in mani italiane. Questo dato è fondamentale se pensiamo a quanto accaduto nel 2010-2011 in Grecia. In quel caso gran parte del debito pubblico era in mani tedesche e francesi, e quando hanno venduto i titoli sappiamo bene cosa è successo: alla fine è arrivata la troika. Quindi io non vedo i punti deboli del nostro debito che qualcuno paventa. Non si dice mai invece che noi siamo in Europa la seconda potenza manifatturiera e la terza potenza industriale. E siamo nel G8. Questo lo dimentichiamo sempre e invece andrebbe ricordato”.

C’è chi fa notare che la Grecia con la cura della Troika è tornata sul mercato.
“Ma quanto è costato e quanto sta costando? Basti dire che il 30 per cento dei bambini che nascono in Grecia sono a rischio di elusione sociale  e negli ospedali non ci sono medicine. Le pensioni sono state ridotte del 40 per cento e gli stipendi del 50. La Troika ha fatto privatizzare tutto, ha tolto a quel Paese i beni pubblici e i migliori aeroporti greci se li è presi la Germania”.

Come mai con Monti lo spread arrivò ai livelli citati e in certi ambienti e mezzi di comunicazione non si urlò, mentre adesso ci si agita tanto? Perché se ciò accade facendo politiche di austerity va bene e invece se succede attuando politiche espansive che favoriscono i cittadini va male?
“Appunto. Perché Monti era di fatto l’esecutore di tutti i provvedimenti indicati nella famosa lettera di impegni dell’Italia voluti da Bruxelles. Quindi è stato l’esecutore materiale di provvedimenti che bisognava attuare perché indicati dalla Ue, e tra questi (voluto dalla Merkel) il pareggio di bilancio. Pareggio non raggiunto e che non si raggiungerà nel 2020, io dico per fortuna, perché raggiungerlo avrebbe significato da una parte ulteriore austerità per il nostro Paese, minori investimenti, minore crescita e minore occupazione, e dall’altra più difficoltà a rispettare i parametri di Maastricht . Senza crescita infatti non aumenta il denominatore e tanto per intenderci i rapporti non scendono. Perché non si è strillato durante il governo Monti? Perché aveva l’appoggio di tutto l’arco costituzionale e all’epoca si diceva addirittura – il perché vorrei capirlo ancora oggi – che non c’erano i soldi per pagare gli stipendi. Mi pare  di poter dire che mai l’Italia sia stata in queste condizioni. Però allora imperversava la paura, c’era stato il problema Grecia. Sono però passati un po’ di anni e l’Italia è ancora qui, seconda potenza manifatturiera e terza potenza industriale d’Europa”.

Nei suoi libri e nelle interviste lei spiega che la Germania è stata favorita dalla nascita della Ue e della moneta unica, mentre la nostra crisi ha origine proprio dopo il ’92. Ci spiega meglio?
“La Germania ha un surplus commerciale rispetto al Prodotto Interno Lordo  molto elevato, attualmente tra l’8 e il 9 per cento del Pil. E per altro essendo oltre il 6 per cento, limite posto dalla Ue, nessuno l’ha mai sanzionata.  Io ho ricostruito il surplus commerciale rispetto al Pil a partire dal ’91 di Italia, Francia e Germania e cosa scopriamo? Che ad esclusione del ’92, quando ci fu la crisi in Italia, il surplus è sostanzialmente negativo per la Germania fino, guarda caso, al 2000. Noi e la Francia andiamo molto bene fino a quell’anno poi, sempre guarda caso, quando entra in scena l’euro (nel ’99 per le banche e nel 2002 come moneta circolante) la Germania per la prima volta raggiunge il pareggio di bilancio (nel 2000). E’ allora che il suo surplus vola e quelli di Italia e Francia crollano completamente. Perché la Germania è stata avvantaggiata? Se non ci fosse stato l’euro il marco si sarebbe rivalutato fino a un 40 per cento. Dunque per la Germania l’euro ha significato una moneta svalutata rispetto a quella che sarebbe stata oggi il marco e, di conseguenza, le sue esportazioni sono volate”.

Giuseppe Di Taranto

E’ stata favorita solo la Germania?
“In verità i Paesi del Nord attraverso l’euro pagano quasi tutti con una moneta svalutata rispetto alle loro vecchie monete, quindi hanno avuto un enorme vantaggio nelle esportazioni. Vale per la Germania ma, per esempio, anche per l’Olanda. Noi italiani invece (anche se esportiamo lo stesso, essendo i nostri imprenditori manifatturieri molto in gamba) paghiamo in una moneta rivalutata rispetto alla vecchia. Per questo di fatto i Paesi del Nord sono avvantaggiati nei commerci internazionali, mentre quelli del Sud sono molto svantaggiati. A tutto  questo si aggiunge, soprattutto per i tedeschi, un altro grande vantaggio: il loro è diventato un Paese rifugio e molti, invece di investire nei debiti pubblici nazionali, vanno a investire in Germania. Questo avvantaggia i tedeschi e danneggia gli altri Paesi”.

Cosa si potrebbe fare?
“Dovremmo avere una Banca Ue di ultima istanza per regolare l’inflazione e i valori delle diverse monete”.

Cosa accadrà nei prossimi anni se l’Europa non cambierà le sue politiche  basate essenzialmente sulla austerità che impedisce crescita e occupazione?
“Ho scritto un libro sull’Europa intitolato ‘L’Europa tradita’. Spero di non doverne scrivere un altro col titolo ‘L’Europa finita’”.

A suo avviso è giusto agire in deficit per poter fare investimenti e creare crescita e occupazione. C’è qualcosa che il nuovo ‘governo del cambiamento’, orientato a perseguire questa strada, sta sbagliando?
“No non sta sbagliando. Il problema è che bisogna fare investimenti ad alto moltiplicatore, ad alta innovazione tecnologica. Se il governo attuale farà questo io sono convinto che i risultati arriveranno. E quindi sotto questo aspetto è opportuno tenere il punto con l’Europa e mantenere il deficit al 2,4 per cento, anche perché si può sempre correggere nel tempo. Del resto dovrebbe essere 2,4 nel 2019, 2,1 nel 2020 e 1,8 nel 20121. Quindi nessuno vieta al governo di poter cambiare cifre e politiche in base agli avvenimenti”.

 

Ignazio Dessìdi Ignazio Dessì   
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