[Esclusiva] L'ex ministro del Lavoro Damiano: "Basta tartassare i pensionati e fare terrorismo, vi dico io qual è la verità"
"Bisogna rivedere il meccanismo altrimenti i nostri figli dovranno lavorare oltre i 70 anni. Crac dell'Inps? Vi spiego perché la situazione non è così grave. Ecco cosa penso del contributo di solidarietà"
L’ex ministro del Lavoro ed attuale presidente della Commissione lavoro della Camera Cesare Damiano ha rivolto di recente un appello al Parlamento e al Governo per porre un freno all’aumento dell’età pensionabile. Il requisito dei 67 anni nel 2019, con la previsione di raggiungere quello dei 70 anni nel 2051, porta l’asticella a un livello che a tanti appare ormai intollerabile. Abbiamo chiesto sull'argomento un approfondimento all’esponente del Pd a margine del Convegno di presentazione del Rapporto Annuale Inps Sardegna 2016 che si è svolto a Cagliari il 17 novembre.
Onorevole può chiarirci meglio la sua posizione?
“A luglio, con il senatore Maurizio Sacconi (presidente dell’omologa commissione lavoro del Senato), pur essendo di orientamento politico molto diverso, abbiamo trovato un accordo che consiste, non nel bloccare l’aumento dell’età pensionabile, ma nel ridiscutere il meccanismo per vedere di perfezionarlo e renderlo più elastico. Se non si interviene in merito, infatti, alla metà di questo secolo i nostri figli andranno in pensione a 70 anni. Il meccanismo dell’aumento dell’età per accedere alla pensione, ricordiamolo, è stato introdotto dal Centrodestra, al tempo in cui erano ancora in vigore le quote da me stabilite come ministro del Lavoro. Allora si andava in pensione a 62 anni, e partire dai 62 anni per andare in crescita è un conto, diverso è invece applicare lo stesso meccanismo partendo dai 66 anni. E’ evidente che si arriverà rapidamente ben al di sopra dei 70 anni per accedere alla pensione. Abbiamo proposto di rivedere il meccanismo, intanto perché il criterio dell’aumento dell’aspettativa di vita indefinita è stato messo in discussione nel 2015, quando c'è stata una inversione di tendenza. Si dirà che una rondine non fa primavera ma per i primi sei mesi del 2017 l’Istat ha evidenziato un nuovo aumento del tasso di mortalità, perchè crescono le diseguaglianze, aumentano i poveri, le persone si curano di meno e si muore di più. Dunque non possiamo avere un meccanismo che guarda solo alle salite: occorre prendere in considerazione anche le discese. Secondo punto: dobbiamo uscire dall’idea che tutti devono andare in pensione nello stesso momento, e a questo proposito io avevo già introdotto durante il mio ministero il tema dei lavori usuranti, a cui si applica, come tutti sanno, l’anticipo pensionistico. Adesso si tratta di vedere se ci sono, nella discussione in corso tra governo e sindacati sulla riforma, altre categorie che possono beneficiare del blocco dell’aumento dell'età pensionabile in virtù dell’aspettativa di vita".

Qual è la situazione?
"Il governo parla di 15 categorie: 11 sono quelle che danno accesso all’Ape social, altre 4 vengono aggiunte. Alla conclusione della trattativa bisognerà vedere se ci sarà il consenso con le organizzazioni sindacali. In tal caso io farei un passo indietro, noi ratifichiamo come parlamento quello che è l’accordo sindacale, oppure vediamo se ci sono ulteriori migliorie da fare nella giusta direzione. Se si ferma il blocco a quelle categorie vuol dire che si ferma a 66 anni e sette mesi l'età pensionabile fino al 2025".
E’ frequente sentir dire che senza un aumento dell’età pensionabile si rischia il crac dell’Inps, quali dovrebbero essere le misure per evitare che ciò accada?
“Sono valutazioni terroristiche destituite di qualsiasi fondamento, dobbiamo smetterla di lanciare messaggi catastrofici. Vorrei ricordare la nota tecnica del governo alla legge di bilancio dello scorso anno. Questa nota ha detto che le riforme fatte (la Maroni del 2004, la mia del 2007, quella successiva di Berlusconi, quella della Fornero), pur diverse tra loro, sono tali da produrre, dal 2004 al 2050, un complesso di risparmi enorme: una somma di 900 miliardi di euro. In pratica si drena dalle pensioni quello che è il 40 per cento del debito italiano. Ma cosa si vuole ancora di più? Se continuiamo a lanciare voci allarmistiche alimentiamo solo le voglie di quanti vogliono mettere di nuovo mano alle pensioni. Inoltre quando l’Istat fornisce il dato per cui la spesa pensionistica vale il 16 per cento del totale del prodotto interno lordo, è un dato fasullo, destituito di fondamento, perché lì dentro c’è la spesa non solo della previdenza ma anche dell’assistenza che andrebbe scorporata. Inoltre gli italiani devono sapere che sulle loro pensioni, quelle erogate, pagano 50 miliardi di euro di tasse, che vengono restituite. Se io le calcolo come costo arriviamo a quel decantato 16 per cento, ma se tolgo l’assistenza e tengo conto delle tasse ci allineiamo al 12 per cento. Ripeto, ho l’impressione che si tenti di alimentare una discussione tesa ad aprire nuovamente la strada a chi ha in mente di risanare i conti a spese dei pensionati, ed io sono totalmente contrario”.

Ci sono però all’interno del sistema pensionistico anche situazioni di privilegio: c’è chi è andato in pensione a 36 anni, 6 mesi e un giorno e chi non ha versato i contributi. Ci sono le pensioni d’oro. Lei è favorevole all'attuazione di una tassa di solidarietà?
“Io ho attuato una forma di tassa di solidarietà quando ero ministro del lavoro: nel 2007 ho bloccato l’indicizzazione delle pensioni superiori ai 4mila euro. Una grandissima battaglia. E i soldi risparmiati li ho utlizzati per istituire la 14ma per i pensionati più poveri. Ho tolto cioè da sopra e ho messo sotto, e credo sia giusto così. Non per nulla la Corte Costituzionale ha dato torto a coloro che hanno fatto ricorso, mentre ha dato ragione a chi si opponeva al provvedimento similare del governo Monti. Io sono partito da 8 volte il minimo, Monti da 3 volte il minimo: una quota troppo bassa. Io i soldi risparmiati li ho dati ai pensionati poveri, Monti li ha dati al debito. Ed è stato bocciato, io invece sono stato promosso. Quindi se mi chiede se sono favorevole a un contributo di solidarietà per le pensioni oltre un certo importo (8 volte il minimo e a salire) rispondo SI’. Sono assolutamente e totalmente d’accordo, perché chi ha di più può dare, transitoriamente, qualcosa per aiutare chi ha di meno”.