"A Renzi serve la legittimazione dal basso, apra il congresso"
Gianni Cuperlo presenta la sua legge elettorale. Ma nel Pd ci sono tante idee contrastanti. E sulle dimissioni del segretario dice: "Primo passo per il congresso"

Legge elettorale da scrivere con “l’accordo più ampio possibile”: la strada da percorrere per riemarginare le lacerazioni interne al partito è questa. Il “rischio scissione” è tutt’altro che superato e l’acceso dibattito nel Pd non porta le anime più focose a più miti consigli. Gianni Cuperlo, esponente della sinistra Dem e alleato dell’ ultim’ora nel sì al referendum costituzionale, si gioca la carta della coerenza (la sua) e chiede a Renzi di dimettersi per aprire la fase congressuale. Ma intanto, dice a tiscali.it, bisogna riscrivere le regole.
Cuperlo, lei ha depositato una proposta di legge elettorale proporzionale con un premio di 63 seggi. Però Dario Franceschini parla di un premio di coalizione e sembra che Del Rio sia d'accordo con lui. Orfini invece dice che così si torna a Ds e Margherita, definendo "un Ogm" una coalizione che va da Alfano a Pisapia. Dentro il Pd ognuno dice una cosa diversa.
“Bisogna partire dai fondamentali che in questo caso riguardano il metodo. E' importante che il Parlamento approvi una nuova legge elettorale perché quella uscita dalla sentenza della Consulta non è sufficiente a risolvere i problemi. C'è anche la questione della disomogeneità tra le due leggi attuali per Camera e Senato ed è importante che la nuova legge elettorale abbia una larga maggioranza in parlamento. Cioè discussa e approvata anche con il concorso di una parte delle opposizioni. La proposta che ho depositato io peraltro è coerente con il documento che abbiamo sottoscritto con Orfini, i capigruppo di Camera e Senato e Guerini prima del referendum”.
Prima e dopo: quali le differenze?
“Quell’accordo prevedeva il superamento del ballottaggio, il ritorno ai collegi uninominali e il superamento dei capolista bloccati e un premio di maggioranza più contenuto. La mia proposta si muove esattamente in quella logica: collegi uninominali, riparto proporzionale dei seggi, un premio di maggioranza del 10 per cento fisso da assegnare alla prima lista. Si può discutere ovviamente. Però è evidente che il premio alla coalizione introduce una novità rispetto a quello che avevamo immaginato che non è facile da gestire anche dal punto di vista tecnico. La cosa più importante però, insisto, è il metodo”.
Pensa di riuscire a fare quadrato intorno a questa proposta?
“Credo che possa raccogliere in questo parlamento una maggioranza più larga di quella che aveva raccolto l’Italicum e anche più larga della sola maggioranza che oggi sostiene il governo. Da questo punto penso che sia una proposta che si muove nella direzione giusta. Poi bisogna vedere quali saranno le posizioni delle varie forze politiche nel dibattito”.

Prima del referendum aveva dato il suo sì alla riforma costituzionale in cambio delle modifiche all'Italicum. Che però non sono arrivate…
“In realtà sono arrivate nel senso che l'Italicum non esiste più”.
Sì ma dalla Corte costituzionale e non dal Pd.
"E’ stata ampiamente bocciata dalla Corte costituzionale ma lo stesso Pd ha preso una posizione formale all'assemblea del 18 dicembre e l'ha presa prima della sentenza della Consulta. Quindi il mio accordo era legato all'impegno del Pd relativamente all'Italiacum e questo è avvenuto prima della sentenza della Consulta”.
Quello che è successo con il referendum ha messo a dura prova la tenuta del suo partito. Lei ha chiesto a Renzi di dimettersi e convocare il congresso.
“Il passo indietro è legato al congresso perché per convocarlo anticipato lo statuto del Pd prevede l'atto formale delle dimissioni del segretario. Io peraltro prima di dire pubblicamente questa cosa, sabato, l'ho detta personalmente al segretario. Sono convinto che se lui, dopo la sconfitta, anzi la serie di sconfitte che abbiamo subito, vuole riproporre la sua leadership, ha bisogno di una ‘rilegittimazione’ dal basso".
Cioè?
“L'unico modo è restituire la parola ai nostri iscritti, ai nostri elettori. Dopo un episodio come quello del referendum, una sconfitta così severa, il minimo che si deve fare è ridare al popolo del centrosinistra e del Pd la possibilità di discutere per capire le ragioni di quella sconfitta e quali sono le scelte necessarie per ripartire con una prospettiva diversa e vincente”.
Se si apre una fase congressuale si arriva alla scadenza naturale della legislatura, come dice Fassino?
“Questo non lo so perché il Congresso può essere anche gestito con tempi, diversi si possono fissare delle regole condivise che riducono i tempi dello svolgimento. Quello che non si può fare è rimuovere il risultato politico e rinviare una discussione di cui abbiamo tutti estremo bisogno”.