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[Intervista] “Ecco come insegno ai robot a parlare e cosa potranno fare”

Tiscali News ha sentito Stefano Argiolas, ceo di Hej!, startup italiana attiva nell’applicazione dell’intelligenza artificiale nelle soluzioni di conversational marketing

Michael Pontrellidi Michael Pontrelli   
[Intervista] “Ecco come insegno ai robot a parlare e cosa potranno fare”

Tecnologie come Alexa di Amazon e l’Assistente di Google stanno facendo capire anche alle persone comuni che con l’intelligenza artificiale non si scherza più. Gli algoritmi sono ormai in grado di conversare con gli essere umani e questo apre la strada ad una infinità di servizi e applicazioni destinate a rivoluzionare il mondo del business. Tiscali News ne ha parlato con Stefano Argiolas, amministratore delegato di Hej!, startup italiana da tempo impegnata ad integrare queste nuove tecnologie nei processi di alcuni brand importanti come Danone, Sky, Msc, Lexus, Unilever, Pfizer.

Per i non addetti ai lavori la possibilità di conversare con un chatbot o con un assistente vocale è quasi un miracolo. Come è possibile tutto ciò?
“E’ il risultato di un processo che dura da tempo, dagli inizi della rivoluzione digitale. Durante tutti questi anni i sistemi informatici hanno accumulato tantissimi dati utili per migliorare gli algoritmi di comprensione del linguaggio naturale degli uomini. Prendiamo il caso di Google. All’inizio la ricerca avveniva per parole chiavi, oggi anche tramite frasi. Oppure il T9, altro strumento utilizzato dalla maggior parte delle persone. Dopo due o tre parole il sistema è in grado di suggerci la parola successiva. Semplificando al massimo possiamo dire che quello che vediamo oggi è risultato della grande disponibilità di dati (i cosiddetti big data) e della creazione di algoritmi in grado di comprendere il linguaggio (natural language understanding) e fornire risposte predefinite per determinate categorie di richieste, espresse anch’esse in linguaggio naturale  (natural language processing). Non si tratta dunque di una vera e propria intelligenza come quella umana ma di un sistema informatico molto complesso”.

Ogni azienda sviluppa i propri algoritmi oppure si tratta di conoscenze condivise?
"Giganti come Google Amazon sviluppano autonomamente le loro tecnologie. Aziende più piccole come Hej! seguono invece un modello ibrido anche perché non ha senso ogni volta reinventare la ruota e non sarebbe fattibile raggiungere risultati analoghi a quelli di Google o Amazon”.

In cosa consiste questo modello ibrido?
"Significa che integriamo l’algoritmo di Google nella nostra piattaforma tecnologica. Lo usiamo soprattutto per la comprensione delle richieste fatte dai clienti dunque per il natural language understanding. Le risposte invece (natural language processing) sono basate unicamente sui nostri algoritmi in quanto si tratta di fornire informazioni specifiche per ciascun cliente”.

L’uso della tecnologia di Google è gratuita?
"No, si paga per ogni richiesta inviata”.

Quanto?
"Pochi centesimi per richiesta”.

Che però diventano cifre importanti con grandi volumi. Per Google si tratta dunque di una nuova miniera d’oro.
"Si, ma credo che il business principale di Google resti quello pubblicitario. La comprensione del linguaggio naturale, per esempio le conversazioni degli utenti in ambito domestico, permetterà una profilazione ancora più precisa e dunque messaggi pubblicitari ancora più efficaci”.

Dunque è vero che assistenti vocali come Alexa ascoltano le conversazioni all’interno della casa?
"Se è per questo lo fa anche Facebook con lo smartphone, anche se è noto a pochi”.

L’azienda di Zuckerberg ha però negato, respingendo queste accuse.
"Io suggerisco comunque di fare un esperimento. Parlare di un brand o di una località turistica particolare con il telefonino accesso vicino e verificare poi se si ricevono informazioni pubblicitarie su questi temi nel proprio newsfeed del social”.

Torniamo a temi più rassicuranti. In che modo queste nuove tecnologie impatteranno sull’organizzazione delle aziende?
"Il primo ambito è quello del servizio clienti. Già oggi il 60% delle richieste di assistenza di qualunque tipo può essere gestito da sistemi automatici. Nella restante parte gli algoritmi sono comunque in grado di capire che è necessario l’intervento di un operatore umano. Ma l’impatto più importante si avrà sui processi di marketing e di vendita. Gli assistenti virtuali non solo sono in grado di fornire informazioni, per esempio sulle caratteristiche specifiche di un prodotto, ma, analogamente a qualsiasi venditore, capire anche nel corso della conversazione se un cliente è sufficientemente ‘caldo’ per ricevere una proposta commerciale che eventualmente può concretizzarsi direttamente in chat se l’assistente è un chatbot”.

Dunque addio non solo agli operatori di call center ma anche ad una parte dei venditori.
"E’ vero, però bisogna guardare le cose anche da un’altra prospettiva. Grazie all’uso di queste nuove tecnologie per le aziende migliorano le opportunità di conversare con i propri clienti e dunque aumentano le opportunità di fare business. Per esempio un brand dell’abbigliamento potrebbe chiedere ai propri clienti di inviare un selfie tramite app, analizzare la foto per capire lo stato d’animo e suggerire il look ideale per la giornata. I limiti all’uso dell’intelligenza artificiale nel marketing sono solo quelli della fantasia”.

Stefano Argiolas
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