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[L’analisi] Caccia i migranti e vuole creare “lo stato illiberale”. Chi è Viktor Orban, il leader nazionalista che piace a Meloni e Salvini

Uno dei cavalli di battaglia di Orban durante la sua campagna elettorale è stato il No deciso alla “relocation” decisa da Bruxelles di migranti di fede musulmana verso Budapest, insieme all’inflessibile chiusura dei confini sul versante serbo e rumeno, da dove nel 2015 affluirono in migliaia provenienti da Siria ed Afghanistan, via Grecia. E a nulla sono servite le numerose accuse di corruzione accertate dall’Olaf, l’organismo antifrode comunitario e rilanciate dall’opposizione, secondo cui il genero di Orban Istvan Tiborcz avrebbe beneficiato almeno 40 milioni di euro di fondi europei andati a sostegno delle sue aziende. L’antieuropeismo in Ungheria è più forte perfino dei numeri: solo nel 2016 il paese ha ricevuto 4 miliardi di Euro da Bruxelles, restituendone appena uno

Viktor Orban
Viktor Orban

Nessuna sorpresa per la vittoria elettorale del premier  ultraconservatore Viktor Orban che con quasi il 50% dei consensi e un’ affluenza alle urne di oltre il 70% conquista  in  modo netto il mandato presidenziale in Ungheria, il terzo dal 2010. Orban viene riconfermato  sull’onda di un consenso popolare fondato su uno spregiudicato progetto di “democrazia illiberale”, una variante dello stato autoritario che, nato in antitesi all’esperienza del blocco sovietico ora guarda con favore alla politica muscolare di Mosca mal sopportando la politica “immigrazionista” e le cessioni di sovranità imposte dall’Europa. Le parole d’ordine nazione, identità, sicurezza, hanno fatto il resto, intercettando una memoria collettiva profonda che affonda le sue radici storiche nelle guerre ottomano-ungheresi terminate nel 1526 con la distruzione del Regno d'Ungheria e la sua spartizione tra i turchi e gli Asburgo d'Austria. Non per nulla, uno dei cavalli di battaglia di Orban durante la sua campagna elettorale è stato il No deciso alla “relocation” decisa da Bruxelles di migranti di fede musulmana verso Budapest, insieme all’inflessibile chiusura dei confini  sul versante serbo e rumeno, da dove nel 2015 affluirono in  migliaia provenienti da Siria ed Afghanistan, via Grecia.

Lo accusano, lui va avanti

E a nulla sono servite le numerose accuse di corruzione accertate dall’Olaf, l’organismo antifrode comunitario e rilanciate dall’opposizione, secondo cui il genero di Orban Istvan Tiborcz avrebbe beneficiato almeno 40 milioni di euro di fondi europei andati a sostegno delle sue aziende. L’antieuropeismo in Ungheria è più forte perfino dei numeri: solo nel 2016 il paese ha ricevuto 4 miliardi di Euro da Bruxelles, restituendone appena uno.  Ma tant’è. La sinistra post comunista e pro-Europa è rimasta inchiodata al 12%, al di sotto persino dell’affermazione dell’ultradestra xenofoba del partito Jobbik, che non opporrà certo resistenze ai progetti del premier appena riconfermato.

La battaglia contro Soros

 "Questa è una vittoria decisiva, in futuro saremo in grado di difendere la nostra madrepatria", ha commentato subito dopo il risultato. Non c’è dubbio che oltre che a Bruxelles, questa frase fosse rivolta anche a George Soros, magnate statunitense di origine magiara con una fama da grande speculatore finanziario ma anche attento alle cause filantropiche e capofila della corrente di pensiero della “Open Society”, pro-globalizzazione e pro-migrazioni propugnata dalle sue organizzazioni nel mondo. Clamoroso è stato lo scontro diretto raggiunto un anno fa col leader ungherese, quando il governo di Budapest ha deciso di chiudere la Central European University (Ceu) finanziata nella capitale dal magnate americano: Orban ha accusato apertamente Soros difinanziare "innumerevoli organizzazioni di lobby travestite da associazioni civiche" e, al tempo stesso, di mantenere "una propria rete, con i suoi portavoce, i suoi media, molte centinaia di persone, la sua università". Non solo. Dopo aver approvato la legge che di fatto troncava le gambe alla Central European University i deputati magiari hanno approntato un altro provvedimento per colpire “quelle organizzazioni della società civile che ottengono aiuti dall'estero”: ovvero le ong con base a  Budapest finanziate ancora una volta da Soros.

Un vento che spira forte e non si arresterà

Il punto è che la vittoria di Orbán e del suo partito Fidesz rappresenta il segnale di un vento che avanza, deciso, dall’Est Europa, e che trova radici fertili anche in Occidente, dall’Ukip di Farage –ora in crisi motivazionale dopo la vittoria della Brexit-  al sovranismo italiano di Meloni e Salvini, che infatti si sono subito complimentati col leader ungherese per il risultato elettorale: il leader del Carroccio ha espresso l’auspicio di poterlo presto incontrare nella veste di premier italiano, mentre la Meloni ha dichiarato esplicitamente di ispirarsi al “Modello Orban”. “I patrioti europei festeggiano la conferma di Viktor Orban alla guida dell'Ungheria”, ha detto. “Difesa dell'identità, lotta all'islamizzazione forzata, contrasto alla speculazione finanziaria e al globalismo: è il modello che Fratelli d'Italia vuole seguire anche in Italia”.

Nazionalisti conservatori verso la saldatura

Orban insomma non è affatto un fenomeno folkloristico  o passeggero, né si sente isolato: a sostenerlo, insieme ai sovranisti europei, c’è tutto il gruppo di Visegraad (che comprende, insieme all’Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca). A Orban guarda anche Sebastian Kurz, il nuovo premier conservatore austriaco alleato con l’estrema destra nel suo paese, e i populisti dell’ Afd tedesco, divenuti terzo partito alle ultime elezioni in Germania nel 2017.

Paola Pintusdi Paola Pintus, giornalista esperta di esteri   

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