Il vaffa di Draghi al Consiglio Ue sblocca le misure sul gas. E il Ppe blinda Tajani ministro degli Esteri
Alle 8 di sera il premier italiano ha buttato i fogli: “Non firmo queste conclusioni”. La svolta alle 2 del mattino. Bruxelles “aiuta” l’insediamento di Giorgia Meloni che oggi riceverà l’incarico per formare il nuovo governo. L’Europa derubrica il caso Berlusconi-Putin. Ma resta il “caso” italiano: quale linea in politica estera?

BRUXELLES - Alle otto di sera li ha mandati a quel paese. “Non firmo queste conclusioni, abbiamo perso fin troppo tempo, non avete capito che siano in recessione e che se non prendiamo subito queste contromisure distruggiamo l’Europa e il mercato unico. Stiamo facendo tutti il gioco di Putin. Io non ci sto” aveva detto Mario Draghi lasciando basiti gli altri 26 leader europei riuniti al tavolo della colorata sala meeting dell’Europa building. Altro che sciacquarsi la bocca con il filoatlantismo e la centralità dell’Ucraina e fare i processi a Berlusconi: l’Europa messa ginocchio sull’energia e per di più divisa è come consegnarne lo scalpo allo zar di Mosca. Mai vista tanta rabbia nell’impassibile e autorevole Mario Draghi. Altro che clip emozionale per salutare “il caro Mario” che il cerimoniale del Consiglio Ue ha previsto per oggi. Alle 8 di sera la situazione era che l’ultimo Consiglio Ue del premier italiano sarebbe stato un fallimento. Significava tornare in Italia a mani vuote sul gas dopo otto mesi di paziente e certosino lavoro. Un paio di delegazioni - paesi nordici, come sempre - più o meno alla stessa ora avevano proposto addirittura l’ennesimo rinvio. Ad un prossimo consiglio straordinario. Intollerabile. E’ li che Mario Draghi si è, come dire, arrabbiato. E ha sbattuto i fogli, e il pugno, sul tavolo. Fonti diplomatiche europee, presenti, hanno raccontato di intervento “muscolare”, “molto duro”, “mai stato così duro”. “Fosse per me e per la stima che abbiamo per lui - ha raccontato uno di loro a margine dei lavori- avremmo già risolto e anche da tempo”.
Il lungo dopocena
La cena è andata quindi di traverso. Poi è iniziato un lungo dopocena di letture, limature, correzioni. Diciamo che la scossa che avrebbero dovuto dare il presidente del Consiglio Jean Michel e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che nei fatti si è dimostrata “debole” sul dossier del gas, l’ha data Mario Draghi. O che, magari, è stato un gioco delle parti visto che von der Leyen, tedesca, ha avuto sempre un governo che ha remato dalla parte contraria. Fatto sta che le cose sono cambiate, che dopo l’urlata quelle 4-5 delegazioni ostili guidate da Germania e Olanda hanno ripreso in mano i dossier, peraltro già pronti, e hanno ricominciato a leggere e rileggere le conclusioni. Alle 2 e 40 del mattino il premier italiano ha lasciato l’Europa Building Europa “soddisfatto”: “E’ andata bene” ha detto.
Limature dopo limatura le conclusioni restano abbastanza ambigue ma non c’è dubbio che per il partito del price cap e del nuovo fondo di solidarietà sull’energia sul modello Sure (la proposta Gentiloni-Breton) sull’energia, sono stati fatti importanti passi avanti.
I punti dell’accordo
L'accordo, infatti, mette nero su bianco “l'urgenza delle decisioni concrete” da prendere sul gas con una serie di misure che includono la piattaforma di acquisti comuni e un nuovo benchmark complementare al Ttf, cioè un quadro di valori di riferimento, e non più uno solo, in base al quale fissare il prezzo del gas. E’ la fine della “dittatura” olandese sul mercato del gas. D’ora in poi saranno più mercati a definire l’andamento dei prezzi. Nella sostanza viene confermato il pacchetto di misure proposto da von der Leyen il 18 ottobre. Si va dalla piattaforma aggregata per il gas - volontaria ma obbligatoria per una quota del 15% del volume totale degli stoccaggi in Europa - all'incentivazione delle rinnovabili fino a un price cap al gas nella formazione dell'elettricità. Sull'applicazione del modello iberico (che ha diviso i prezzi di elettricità e gas già da marzo scorso), caldeggiata dalla Francia ma non dalla Germania, si potrebbe aprire la strada ad un nuovo Sure sull'energia. Nelle conclusioni si domanda alla Commissione di fare “un'analisi dei costi e dei benefici sulla misura”. Il problema è che, per compensare il differenziale tra prezzo amministrato e prezzo di mercato, potrebbe esserci un peso eccessivo sui conti pubblici di diversi Paesi membri (in Spagna, ad esempio, c’è stato). Su questo punto dovrebbe essere previsto ed intervenire un nuovo fondo Ue sul modello Sure. Di sicuro, ha sempre ripetuto Draghi, “i singoli paesi non possono fare da soli. Così distruggiamo il mercato unico”.
L’apertura su un possibile nuovo debito comune è il “colpaccio” della riunione. Tra le misure, infatti, figura “la mobilitazioni di rilevanti strumenti a livello nazionale e Ue” con l'obiettivo di “preservare la competitività globale dell'Europa e per mantenere il level playing field e l'integrità del mercato unico”. Una frase che, secondo Palazzo Chigi, dimostra che le proposte italiane sono state accolte.
La strada è ancora lunga ma se ne intravede la fine. Entro l'inizio di novembre la Commissione “si esprimerà molto chiaramente” sul price cap “e andremo avanti spediti anche sulla solidarietà finanziaria” ha spiegato Emmanuel Macron che è in questi mesi è stato il braccio armato di Draghi in un lavoro di sponda Italia-Francia che adesso il governo Meloni dovrà cercare di portare avanti. La Germania è debole. E l’asse con la Francia è indispensabile. Chissà se il nuovo premier ha fatto propria questa dinamica. La determinazione nel voler incontrare Macron a Roma avendo giù giurato sembra andare in questa direzione.
Il nuovo Sure
Sul fondo comune le opzioni di Bruxelles sono due: uno Sure 2 oppure utilizzare i prestiti ancora disponibili (circa 200 miliardi) oggi nel quadro del RePowerEu “dando un po' di flessibilità”. L'impressione è che i falchi del Nord optino per la seconda strada ma, dalla Germania, dopo mesi di muro qualche concessione è arrivata. E, come prevedibile, a catena anche gli altri 'frugali' si sono allineati. “Il focus è sui fondi che già abbiamo ma sul nuovo debito vediamo che si può fare…” ha aperto Olaf Scholz lasciando il vertice.
Missione compiuta?
Le decisioni europee hanno sempre tempi biblici. Si può molto migliorare su questo. Ma poi arrivano. L’esito di questo vertice avrà un effetto positivo sulle bollette degli italiani già dal mese di dicembre, al massimo gennaio (anche perché il prezzo del gas è crollato a 124 euro al kgw, più o meno i livelli di marzo-aprile). Nel complesso questi due giorni a Bruxelles sono una mano di aiuto al nuovo governo di Giorgia Meloni. La leader che già oggi potrebbe ricevere l’incarico dal presidente Mattarella ieri ha avuto occhi e orecchie più su Bruxelles che sul Quirinale dove sono iniziate le consultazioni.
I vertici della Commissione e del Parlamento e del Partito popolare europeo, di cui fanno parte Forza Italia e Ursula von der Leyen e Roberta Metsola, hanno cercato di andare oltre le esternazioni filoputiane di Silvio Berlusconi e si affidano a Roberto Tajani, “la scelta migliore per guidare il ministero degli Esteri nel nuovo governo italiano in nome dei valori europeisti ed atlantisti”.
Lo strappo con Berlusconi non è più solo personale ma riguarda la linea politica del governo che verrà. La Presidente di Fratelli d’Italia è arrivata, l’altra sera, a mettere in dubbio la nascita del governo, se qualcuno avesse dei dubbi circa la linea in politica estera, “europeista, filoatlantica e contro Putin”. Ago e filo per ricucire in qualche modo questo strappo dovevano passare da Bruxelles, dalla riunione del Consiglio e dal tradizionale pre summit del Partito popolare europeo a margine del Consiglio Ue. Tra le 12 e le 13 quando i vari membri hanno raggiunto la Biblioteca Solvay nel bellissimo parco alle spalle dell’Europa building, c’era molto imbarazzo. I giornalisti, anche stranieri, hanno tutti posto la questione Italia, Berlusconi, Ucraina con l’aggravante del numero 2 di Forza Italia, Antonio Tajani, candidato a fare il ministro degli Esteri. Il più duro è stato il vice primo ministro irlandese Leo Varadkar: "Sarò onesto, quanto è venuto fuori è un grande problema. Ci sono tre standard di base che si applicano a tutti i partiti che fanno parte del Partito popolare europeo (Ppe): bisogna essere pro europei, per l'integrazione europea, rispettare lo Stato di diritto, e sostenere l'Ucraina nella sua lotta per la sua sopravvivenza e la sua esistenza e sovranità. Non sono sicuro che si possano avere nel Ppe persone che non abbracciano questi principi centrali e di base”. Gli altri, a cominciare da Manfred Weber fino a Roberta Metsola passando per Ursula von der Leyen, hanno preferito rinviare a dopo il summit “Antonio Tajani è qui oggi, per spiegarci”. Per spiegare le parole di Berlusconi e dare garanzia sulla affidabilità sua come ministro degli Esteri e di tutto il governo dove già si sono allungate da tempo ombre per quello che riguarda le posizioni della Lega. Giusto in questi giorni il neo eletto presidente della Camera Lorenzo Fontana ha dubitato sull’efficacia delle sanzioni. Parole che spaventano l’Europa e questo Consiglio che dopo l’energia ha all’ordine del giorno l’Ucraina, gli aiuti militari e le sanzioni anche all’Iran per violazione dei diritti umani. Lo stesso Tajani del resto è arrivato apposta a Bruxelles, pur nel bailamme della politica nazionale, per chiarire, spiegare e ribadire.
Il Ppe blinda Tajani
E’ riuscito a farlo se due ore dopo Manfred Weber ha lasciato il presummit del Ppe dicendo convinto che “Tajani come ministro degli esteri sarebbe per noi il simbolo della continuità del nuovo governo italiano e del suo posizionamento europeista”. E se la presidente Metsola ha aggiunto: “Ho parlato dal primo giorno e senza fare speculazioni su quale potenziale governo potesse formarsi con Giorgia Meloni. L’ho fatto con Letta, Draghi, Tajani e posso dirvi che sono stata sempre rassicurata. L’Italia deve rimanere al centro della Ue”.
Presto per dire se l’incidente Ucraina-Putin-Zelensky sia chiuso e se di incidente si sia trattato. Berlusconi c’è tornato sopra con interviste, dichiarazioni e messaggi via social in cui ha denunciato di essere stato vittima di una trappola. Sarà il Cavaliere a guidare la delegazione di Forza Italia oggi alle consultazioni al Quirinale. Sarà questa la prima occasione per misurare il gelo tra l’anziano leader la giovane premier che gli ha sottratto, con la forza dei numeri, le chiavi di casa del centrodestra che lui mai avrebbe voluto cedere. “A causa delle consultazioni non ho potuto partecipare al presummit del Ppe a Bruxelles. Ho così delegato - ha voluto precisare il Cavaliere in un post su Facebook sempre molto attento a ribadire la sua centralità - il vicepresidente Tajani per rappresentare e ribadire la posizione mia personale e di tutta Forza Italia che è di piena e totale adesione ai valori europeisti ed atlantisti”. La verità è che anche per il “suo” Ppe, così come per il Consiglio Ue - raccontava ieri un delegato del Ppe a margine di un grazioso buffet a margine del presummit- “Berlusconi per molti di noi è un anziano leader che non conta più nulla. Perché in Italia è ancora così importante?”.
L’appello di Draghi
Una mano a ripulire l’immagine dell’Italia che sarà col nuovo governo è arrivata , come sempre e soprattutto, da Mario Draghi. Prima di chiudersi nella “bolla” dell’Europa building - dalle 15 fino alle due del mattino - il premier ha incontrato la delegazione diplomatica italiana a Bruxelles e alla Nato. Parlando agli ambasciatori Benassi, Talò e Genuardi ha voluto ribadire e chiarire un paio di concetti sull’Italia. Volendo farsi ascoltare dai partner esteri e, anche, dalla nuova maggioranza che gli succederà alla guida del Paese. “L'appartenenza all'Unione Europea e alla Nato sono capisaldi della nostra politica estera” ha scandito il premier aggiungendo che l'Italia deve essere “protagonista” all'interno delle alleanze, sfruttando la “credibilità che abbiamo acquisito in questi anni” che è “lo strumento migliore per ottenere i risultati a cui aspiriamo”. E che non può essere messa a rischio.