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Negli USA ha vinto il Deep State. Con il siluramento di Tillerson si completa la normalizzazione della presidenza Trump

Estromesso dal delicatissimo incarico di Segretario di Stato, per far posto al capo della Cia Mike Pompeo: si completa il piano del presidente

Paola Pintusdi Paola Pintus   
Tillerson e Trump
Tillerson e Trump

Con il licenziamento di Rex Tillerson, silurato dal delicatissimo incarico di Segretario di Stato americano (equivalente al nostro ministro degli Esteri)  per far posto al capo della Cia Mike Pompeo, si completa la “normalizzazione” di Donald Trump, il presidente anticonvenzionale che voleva abbandonare il solco della vecchia dottrina Monroe fino a quella  del “Nuovo ordine mondiale” -che tanti danni ha fatto da Bush padre ai nostri giorni -in favore di un dorato isolazionismo e di una politica di “apeasement” con la Russia di Putin. Troppo profondo all’interno dell’establishment il radicamento del concetto di “progetto messianico” dei padri fondatori (“A Nation under God”, una sorta di nazione degli eletti da Dio), troppo  grandi e talvolta inconfessabili gli interessi economici delle classi dirigenti e quelli militari del Pentagono per accettare l’idea del multilateralismo, ovvero di un diritto internazionale frutto di consenso e di dialogo piuttosto che della legge del più forte.

Il falco

Tillerson, un falco pragmatico proveniente dall’industria petrolifera americana e legato da antichi interessi alla Russia per via delle attività ultraventennali della sua società Exxon Mobile ed in rapporti personali con il presidente russo Vladimir Putin, veniva da tempo  percepito come un corpo estraneo dal club repubblicano. All’indomani della sua nomina, il senatore repubblicano John McCain dichiarava di avere dei “legittimi dubbi” nei riguardi di Tillerson, per via della sua contrarietà alle sanzioni imposte alla Russia dopo l’Ucraina, e per i suoi rapporti con Putin. Nel 2014, quando la cooperazione strategica fra il colosso petrolifero russo  Rosneft e la Exxon fu interrotta a causa delle sanzioni, Tillerson, dall’alto della sua esperienza ultradecennale maturata nei teatri negoziali più complessi disse: “Dobbiamo sempre spiegare, a chi prende tali decisioni, i danni collaterali che esse provocano, e a chi queste decisioni fanno davvero danno”. Con la sua profonda conoscenza della realtà geopolitica ed economica extracontinentale, e col suo approccio profondamente ancorato alla realpolitik Tillerson sembrava davvero il perfetto anello di congiunzione fra la politica ed il decision making che serviva alla legislatura Trump per dare un significato concreto alla sintetizzata nello slogan “America First”: poca ideologia, molta concretezza a difesa degli interessi economici americani.

Un duro

La stessa concretezza (o prudenza) che il Segretario di Stato americano ha tentato di imprimere ai dossier sulla Corea del Nord e su Gerusalemme, entrando sempre più in rotta di collisione col nuovo corso della presidenza addomesticato dalla lobbie militare e dalla Cia. E’ così che,  sotto i colpi del Russiagate, gli ex generali della marina Kelly, Mattis e Dumford hanno conquistato i posti nevralgici del potere, rispettivamente a capo dello staff presidenziale (Sicurezza interna), della difesa (Pentagono) e degli Stati maggiori riuniti. A cui vanno sommati l’ex generale dell’esercito McMaster (Consigliere per la sicurezza nazionale) ed ora il dimissionario capo della Cia Mike Pompeo, un falco ultraconservatore molto duro con la Corea del Nord e con l’Iran. Con lui l’interventismo americano in politica estera, soprattutto in Medio Oriente, rischia di farsi una faccenda seria.

La "normalizzazione"

Tillerson dunque, segue le sorti chiude il cerchio della “normalizzazione” iniziato con l’uscita di scena dello stratega Steve Bannon e dell’altro fido consigliere Mike Flynn, predecesore di McMaster a capo dell’ Consiglio di sicurezza nazionale e già a capo della DIA americana (Defense Intelligence Agency). Fu lui nel 2013 ad inviare insieme al Gen. Martin Dempsey una serie di rapporti altamente classificati indirizzati alla Casa Bianca, in cui si spiegava con dovizia di prove quale errore stessero facendo gli Stati Uniti di Obama a cercare di abbattere il regime di Assad invece che combattere l’Isis; così facendo avrebbero gettato la regione nel caos e creato una nuova Libia e dato spazio agli islamisti; spiegarono che i ribelli moderati erano “controllati dai jihadisti” e che la Cia stava cospirando con sauditi e turchi armando le fazioni di Al Qaeda.

Cosa resterà ora della carica anticonvenzionale ed anti-establisment della quarantacinquesima legislatura americana? Probabilmente poco o nulla. Privato del suo staff originario, Trump continuerà a tweettare e a rappresentare la finzione del potere disintermediato, che tanto piace alla middle class americana. Ma le decisioni cruciali per il paese saranno prese ormai  lontano dalla Sala Ovale, da quegli esponenti dello “Stato profondo” che hanno già deciso che tutto cambi perché nulla debba davvero cambiare.

 

Paola Pintusdi Paola Pintus   
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