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[L’intervista] La guerra che spaventa il mondo: "Trump stia attento, la Russia potrebbe reagire. Assad non farà la fine di Gheddafi"

Parla il giornalista Fulvio Scaglione, profondo conoscitore delle tematiche Est-Ovest e storico inviato negli scenari mediorientali : “Negli ultimi anni Mosca ha iniziato a reagire ed anche con una certa efficacia. Questo dovrebbe consigliare a tutti e anche a Washington un esercizio di ragionevolezza e di prudenza”

Paola Pintusdi Paola Pintus, esperta di esteri   
[L’intervista] La guerra che spaventa il mondo: 'Trump stia attento, la Russia potrebbe reagire...

Con la partenza della nave statunitense “Donald Cook” dalla base cipriota di Larnaka è salito al massimo il livello di allerta russa nelle basi militari siriane. Con Douma, gli Stati Uniti sembrano aver trovato l’occasione perfetta per tentare di rovesciare il tavolo dei vincitori e rimettere in discussione il processo di transizione del paese sotto la guida di Assad, benedetto dagli accordi di Sochi. Uno scenario di altissima tensione che sembra preludere a uno scontro diretto fra le grandi potenze nel teatro siriano, non del tutto inaspettato dato che da settimane lo stato maggiore di Mosca e lo stesso ministro Lavrov denunciavano inascoltati l’attivismo dei ribelli siriani alla ricerca di un “casus belli” da fornire agli Stati Uniti per poter intervenire sul terreno. Siamo dunque alla vigilia di un’escalation inarrestabile e potenzialmente globale? Ne abbiamo parlato con Fulvio Scaglione, già vicedirettore di Famiglia Cristiana ed a lungo corrispondente a Mosca, Afghanistan, Iraq, Medio Oriente. Oggi collabora con fra gli altri con Famiglia Cristiana, Avvenire, Limes, EastWest, Occhi della Guerra, Miocromega, Terrasanta.net.

Scaglione, l’attacco chimico a Douma sembra il pretesto perfetto per giustificare un intervento militare americano altrimenti incomprensibile nell’attuale scenario siriano. Cosa c’è dietro questa nuova pericolosa escalation?
"All’origine di questa guerra c’è un chiaro progetto che era stato concepito dalle petrolmonarchie del Golfo Persico insieme con i loro grandi protettori americani ed europei -Francia e Regno Unito in primis- e che prevedeva di attaccare la Siria per smembrarla , inserendo una forte presenza di estremismo sunnita all’interno della mezzaluna sciita che va dall’’Iran, all’Iraq alla Siria fino al Libano e con propaggini fin nello Yemen. Questo progetto è stato sventato nel 2015 dall’intervento russo e possiamo dire che sostanzialmente è stato vinto dalla Russia e dai suoi alleati. Chi ha perso però non sembra intenzionato ad arrendersi. E’ un dato che i russi hanno per settimane avvertito che si sarebbe preparata una provocazione sul tema delle armi chimiche. Intendiamoci: potrebbe essere anche un ottimo sistema per coprirsi le spalle in anticipo e poi usare davvero le armi chimiche. Il punto è che qui non si tratta di scegliere uno schieramento piuttosto che l’altro ma di rendersi conto che sulla pelle dei siriani e sul loro territorio si combatte quella che Papa Francesco ha definito “una 3° Guerra Mondiale a pezzetti”. Vogliono convincerci che la verità è una sola , che i cattivi sono da una parte e i buoni stanno dall’altra, mentre la verità è la Siria è stata usata come una grande discarica della tensione internazionale. Basti pensare che perfino la pacifica Danimarca, insieme ad altri 16 paesi, ha effettuato bombardamenti sulla regione”.

Dalla Siria passa la linea di faglia dei nuovi schieramenti geopolitici mondiali: è per questo che gli Stati Uniti non possono tollerare che sulla Siria cali la Pax Russa, all’interno di un processo di pace non governato da Washington?
"C’è l’elemento dello scivolamento americano nel Medio Oriente da potenza assoluta ed egemone a mero interlocutore. Ma non è l’unico fattore. Direi che dentro questa dinamica c’è anche tutto il dibattito interno agli Stati Uniti e che riguarda l’esercizio reale del potere: sul proscenio della Casa Bianca c’è Donald Trump con le sue dichiarazioni e i suoi tweet ma dietro di lui ci sono i generali e i politici espressione del complesso militare – industriale americano che esercita una formidabile pressione sul presidente USA. Basti pensare che solo la produzione di armi destinate a uso militare in America vale il 10% del prodotto interno. Tutto questo apparato è quello che in realtà governa la Casa Bianca e decide le linee di politica estera : ultima espressione di questo potere di influenza è la promozione di Jhon Bolton a consigliere per la Sicurezza, un falco che fu fra i sostenitori dell’invasione dell’iraq nel 2003, giustificando la più clamorosa fake news della storia, ovvero l’esistenza delle armi chimiche di Saddam.
Tra l’altro questo potere di influenza ha la capacità di sconfinare in quelli che sembrano provvedimenti di politica economica- i famosi dazi- ma che in realtà altro non sono che un’estensione ancora una volta della nuova politica estera americana: la minaccia di imporre un aggravio sulle importazioni di alluminio ed acciaio da Francia e Germania per esempio ha fatto si che questi paesi molto velocemente si siano schierati con USA e Regno Unito nella questione Skrypal, sulla quale permangono moltissimi dubbi”.

La presenza militare russa in Siria è importante, decisamente superiore a quella dispiegata dagli USA a Mambij. Quali sono i margini d’azione degli Usa in questa situazione e la capacità di coinvolgimento di altri attori come gli alleati della Nato o Israele? Qual è la probabilità di una reazione russa, tenuto conto dell’investimento strategico, militare, economico dispiegato in questi anni da Mosca nella regione?
“Finora il Cremlino hanno dato prova di grande tenuta di nervi e di una certa saggezza. Stando ai precedenti più recenti possiamo osservare che quando Israele si è mosso contro bersagli iraniani in Siria Mosca si è limitata ad un ruolo puramente difensivo, tentando di sventare gli attacchi con i suoi sistemi antimissile, evitando però di reagire in modo diretto. Diverso sarebbe se gli USA decidessero di muoversi direttamente. E’ bene tener presente quel che è successo in un quadro più ampio dei rapporti fra l’Occidente e la Russia negli ultimi decenni. Noi abbiamo visto che la Russia non ha reagito all’espansione dell’Ue e a quella della Nato verso Est, non ha dato seguito a tutta una serie di azioni anche millitari come nei Balcani quando Clinton fece bombardare la Serbia senza preavviso -il 1° ministro russo Primakof in quel in volo verso Washington, fu richiamato immediatamente a Mosca-. Ad un certo punto però la Russia ha tracciato la linea rossa da non oltrepassare: è accaduto nel 2008, quando Obama ha deciso di far costruire il sistema missilistico in Romania e Polonia. Da quel momento in poi la Russia ha iniziato a reagire e a difendere la sua linea di demarcazione, il suo spazio vitale. Lo ha fatto quando gli Usa hanno organizzato il colpo di Stato in Ucraina, rioccupando la Crimea e favorendo la secessione del Dombass. Nel 2015 in Siria è accaduta la stessa cosa quando Mosca è scesa in campo accanto ad Assad. Quindi io non conterei più di tanto sul fatto che la Russia rimanga ferma in caso di provocazione. Negli ultimi anni Mosca ha iniziato a reagire ed anche con una certa efficacia. Questo dovrebbe consigliare a tutti e anche a Washington un esercizio di ragionevolezza e di prudenza. Soprattutto perché il progetto di far fare ad Assad la fine di di Saddam o di Gheddafi è già archiviato”.

Paola Pintusdi Paola Pintus, esperta di esteri   
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