“Dom” il consigliere. Chi è l’uomo nell’ombra che gestisce il potere di Boris Johnson
Il ritratto di Dominic Cummings, figura poco nota al grande pubblico che sussurra all'orecchio del premier inglese
Ogni principe ha il suo consigliere. La persona che gli sussurra all’orecchio le mosse da fare, che gli propone gli obiettivi da raggiungere, che gli dice di chi può fidarsi e chi invece va allontanato, estromesso. E Boris Johnson, novello principe del Regno Unito, non fa eccezione. Ha anche lui il suo consigliere: Dominic Cummings, detto “Dom”.
Un brutto carattere
Quarantotto anni, nato a Durham nel nord-est dell’Inghilterra, Cummings è un tipo eccentrico, spesso vestito in modo trasandato, impegnato in politica dalla fine degli anni ’90, ma mai iscritto ad alcun partito. Fuori dai tradizionali giochi di potere dei conservatori, ha un carattere abrasivo, a tratti forse anche vendicativo, venato da una certa presunzione. Profondamente convinto delle sue opinioni, quali che siano, non ama che vengano messe in discussione. Detesta i media, probabilmente ricambiato, ma ci tiene che sappiano e comunichino a tutti chi è lui e quale sia il suo potere. È poco amato dai notabili del partito e temuto dalla schiera delle nuove leve dell’ondata johnsoniana.
Entrato a Downing Street pochi mesi fa, con il primo governo di Boris Johnson, Cummings ha oggi un potere forte, ma ancora incerto, dalle radici fragili. È un potere che per potersi consolidare ha bisogno di essere dimostrato, reso evidente e irrefutabile. Così da non poter essere messo in discussione, ma anzi accettato da tutti e da tutti temuto.
L’occasione giusta
Lo scorso 13 febbraio Cummings ha deciso di dare una plateale dimostrazione di quel che gli è possibile e concesso. L’occasione era quella del rimpasto di governo previsto dopo la strabiliante vittoria delle elezioni di dicembre nel quale si supponeva sarebbero state cambiate solo poche caselle e in linea di massima di secondaria importanza. Una rimaneggiata alla squadra di governo e nulla di più.
Ma non è andata così. Le prime avvisaglie si sono avute con la sostituzione del ministro per l’Irlanda del Nord, del tutto inattesa, considerato il successo ottenuto con la riapertura del parlamento nordirlandese bloccato da anni da veti incrociati. Altre pedine sono cadute, ma c’era chi si sentiva sicuro della sua posizione, come Sajid Javid, il Cancelliere dello Scacchiere, l’equivalente del Ministro del Tesoro.
Ex banchiere, uno degli astri nascenti del partito conservatore, già ministro dell’interno nel governo di Theresa May e come lei sostenitore del “remain”, un peccato imperdonabile per i brexiteers, Javid è entrato al n. 10 di Downing Street convinto di dover fare una veloce e gioviale chiacchiera, magari parlando di politica fiscale e investimenti, visto che la legge di bilancio doveva essere presentata da lì a quattro settimane.
La testa del Cancelliere
E invece il clima si è fatto rapidamente teso, l’argomento è diventato quello del suo staff di special advisor, gli spads, e la richiesta quella di cambiarlo per intero per sostituirlo con uno scelto dall’ufficio del Primo Ministro, ovvero da Cummings. L’obiettivo chiaro e trasparente, rendere effettivo il soprannome che Cummings aveva affibbiato a Javid: “Chino”, acronimo di Chancellor In Name Only, cancelliere solo di nome. Dopo un’ora il colloquio ha avuto l’unico esito possibile, Javid è uscito annunciando le sue dimissioni. Erano passati solo sei mesi dalla nomina. Il mandato più breve di un Cancelliere dello Scacchiere da cinquant’anni a questa parte.
Per rendere la cosa ancora più umiliante il ministro uscente è stato sostituito dal suo giovane numero due, Rishi Sunak, un altro astro nascente del partito conservatore, ma di scarsa esperienza sia politica che ministeriale. Come sottolineato da molti commentatori, il profilo perfetto per rendere il Tesoro niente più che un’emanazione dell’ufficio del Primo Ministro. Non a caso il nuovo Cancelliere è stato rapidamente ribattezzato “Baby Chino”.
Due piccioni con una fava
Le dimissioni di Javid rappresentano per Cummings i classici due piccioni con una fava. Il primo è aver dimostrato a tutti chi comanda veramente nel governo. Il secondo è aver eliminato un potenziale problema per la nuova politica fiscale di Johnson, ovvero di Cummings, che prevede più investimenti pubblici, soprattutto nelle are depresse del Nord e delle Midlands, più assunzioni, più spesa pubblica e con molti punti interrogativi invece sul lato delle entrate. In pratica più deficit.
Una linea che avrebbe incontrato più di un ostacolo con la permanenza di Javid al Tesoro, sostenitore invece di una politica fiscale prudente e avente come obiettivo il pareggio di bilancio nel 2023. Senza contare che l’uscita di Javid vendica tre smacchi rimediati da Cummings, uno sulla nuova linea ad alta velocità, uno sul ruolo di Huawei nel 5G britannico e uno sulla nomina del nuovo governatore della Banca d’Inghilterra. In tutti e tre i casi aveva prevalso la linea di Javid rispetto a quella del consigliere di Johnson.
Un uomo che viene da lontano
Il suo ruolo “Dom” se l’è guadagnato sul campo e nel tempo con una lunga gavetta fatta di successi e qualche rovescio. Nel corso degli ultimi vent’anni Cummings è stato capace di ritagliarsi sempre più un ruolo centrale nelle campagne che hanno progressivamente plasmato prima il partito conservatore e poi l’intero Regno Unito. E dirigere le campagne per promuovere o impedire qualcosa, occorre riconoscerlo, è un mestiere che sa fare bene.
Dopo essere stato nei primi anni duemila direttore della campagna contro l’adesione del Regno Unito all’Euro, nel 2004 Cummings ha condotto con successo la battaglia contro uno dei progetti della devolution blairiana. Una campagna che gli ha fornito materiale per le successive e ben più rilevanti imprese.
La sua prima esperienza di consigliere politico la fa con Michael Gove che nel 2010 viene nominato Ministro dell’Educazione. Con Gove il sodalizio è forte e i due si lanciano in una battaglia contro la burocrazia ministeriale e i sindacati degli insegnanti, ribattezzati “il blob”. Non ci vuole molto, tuttavia, perché Cummings entri in collisione con i notabili del partito e venga indotto alle dimissioni.
“Take back control”
Il suo vero exploit però arriva nel 2016. Cummings è il direttore della campagna per il “leave” nel referendum sulla Brexit. Suo è l’efficace slogan “Take back control”, riprendiamoci il controllo, sue molte delle iniziative, tra cui l’utilizzo massiccio dei social media, che hanno permesso di recuperare il vantaggio dei “remain” e assicurare la vittoria ai brexiteers, imprimendo una svolta decisiva alla storia del Regno Unito.
Quando Boris Johnson arriva al potere nel luglio 2019 decide di portarlo con sé a Downing Street. E non sbaglia. Dopo pochi mesi, infatti, a causa dello stallo sulla Brexit il Regno Unito torna al voto. A dirigere la campagna elettorale è lui: “Dom”. E la campagna elettorale è un successo. Storico. È un successo l’efficacissimo slogan “Let’s get Brexit done”, portiamo a casa la Brexit, che punta alla stanchezza generale per un processo che sembra eterno. È un successo la scelta di puntare sugli strati popolari dell’Inghilterra rurale, ai bastioni dei laburisti, quelle zone che Cummings aveva battuto a fondo nel 2004. Il risultato: la maggioranza parlamentare più ampia da oltre trent’anni. E per Cummings il potere di fare quello che vuole senza che nessuno pensi che stia andando troppo oltre, che il suo carattere sia troppo difficile, le sue idee strampalate.
Cercasi strambi e disadattati
Il potere ad esempio di pubblicare sul suo blog un annuncio per la ricerca di collaboratori, funzionari e special adivsor (gli spads) per l’ufficio del Primo Ministro che abbiano idee inusuali, punti di vista diversi da quelli tradizionali e al limite siano anche “strambi e disadattati”. Domande da inviare a un indirizzo gmail, perché con quelli ufficiali non si sa mai.
Ma a volte capita che si vada troppo oltre. E che se si cercano tipi strambi e disadattati alla fine li si trovi. All’annuncio ha risposto tra gli altri anche un tale Andrew Sabisky, subito assunto. Le capacità per cui è stato preso a bordo non sono state rese note, così come il suo ruolo e i suoi compiti. Tuttavia, son presto divenuti noti i suoi post e i suoi tweet che contengono opinioni e commenti apertamente sessisti, razzisti e persino elogianti l’eugenetica. Tipi strambi va bene, ma c’è un limite. E così, senza alcun commento ufficiale, il 17 febbraio, solo quattro giorni dopo la vittoria ottenuta con le dimissioni di Javid, l’ufficio di Cummings ha dovuto accettare le dimissioni del giovane Sabisky.
La vita breve di un consigliere
Per Cumminigs si è trattato di un brutto scivolone, nulla più, ma è uno di quelli che si ricordano. Di quelli che i tuoi nemici annotano tra le cose che un giorno potrebbero venire utili. E quanto quel giorno sia lontano non è dato saperlo. Quel che è possibile dire, tuttavia, è che spesso i consiglieri che accompagnano la presa del potere non durano poi così a lungo, almeno non a lungo quanto il loro principe. I tempi cambiano, le esigenze si fanno diverse, le spinte originarie si affievoliscono, nuovi patti vengono stretti e magari quel che era buono un tempo tutto a un tratto diviene fuori moda.