L’abbraccio tra il mondo degli ultras e la criminalità organizzata
I tentacoli della ’ndrangheta anche a San Siro, un simbolo non solo calcistico ma anche di potere per il gotha della mafia calabrese
L’inchiesta "Doppia curva" getta luce su come la criminalità organizzata, in particolare la ’ndrangheta, abbia esteso la propria influenza all’interno dello stadio San Siro, un simbolo non solo calcistico ma anche di potere per il gotha della mafia calabrese. L’indagine rivela l'infiltrazione mafiosa nel tifo organizzato e mette in evidenza alcuni nomi di spicco legati alle cosche calabresi, mostrando come Milano sia diventata una delle principali piazze di potere per la ’ndrangheta.
La struttura dei gruppi ultras
Il tifo organizzato, spesso, si organizza e si delinea proprio come alcune famiglie criminali. In maniera verticistica, sfruttando la propria appartenenza e coesione per creare ambienti settari, in cui far prevalere l’uso dell’intimidazione e della forza.
Le carte d’indagine milanesi parlano di un "patto di non belligeranza fra le due tifoserie organizzate, a prima vista connesso ad una tranquilla gestione della vita di stadio ma, a ben vedere, caratterizzato da legami fra gli apicali esponenti delle curve al fine di conseguire profitto, in un contesto in cui la passione sportiva appare mero pretesto per governare sinergicamente ogni possibile introito che la passione sportiva vera, quella dei tifosi di calcio, genera". Inter e Milan, dunque, che dovrebbero essere rivali acerrimi che, invece, non si pestano i piedi, in nome degli affari.
Il “quadro fosco”
Uno dei protagonisti centrali di questa rete criminale è Giuseppe Caminiti, 45 anni, originario della Piana di Taurianova, legato alla ’ndrangheta attraverso lo zio, un uomo influente del clan di Seminara. Questo legame di famiglia non solo segnerebbe il suo percorso criminale, ma gli offrirebbe un trampolino di lancio anche a Milano, dove si afferma come "l’uomo dei parcheggi" allo stadio Meazza. Formalmente dipendente della ditta che gestisce i parcheggi, la sua posizione, come emerge dalle intercettazioni, sarebbe garantita dai suoi legami con esponenti di spicco della mafia calabrese.
Tra questi spicca Giuseppe Calabrò, conosciuto come “U Dutturicchiu” o “Il Fantasma”, un 74enne con una lunga storia criminale, noto per le sue parentele e contatti con i clan dell’Aspromonte. Sebbene non sia mai stato condannato per reati di mafia, Calabrò ha un passato oscuro, tra cui il suo coinvolgimento nel sequestro di Cristina Mazzotti, avvenuto nel 1975. Nelle conversazioni intercettate, Caminiti parla spesso di Calabrò, definendolo "il numero uno dei calabresi" e spiegando che l’influenza di Calabrò si estenderebbe ben oltre Milano, fino alla Costa Azzurra, dove gestisce una vasta rete di affari.
Per quanto riguarda la Curva dell'Inter appare "un quadro fosco" nel quale "interessi di natura economica, speculazioni e condotte delittuose ascrivibili all'ordinaria dinamica degli stadi si coniugano con un fattore di recente emersione: le attenzioni della 'ndrangheta sul mondo del tifo organizzato”. L’indagine milanese parla di "potere intimidatorio della Curva (Nord ndr) capace di spingere, addirittura il club a non favorire alcuna categoria di tifosi pur di non scontentare gli ultras poiché essi, in caso contrario sarebbero capaci di reazioni violente".
Il mondo Juventus
Le indagini sulle tifoserie di Inter e Milan hanno, evidentemente, avuto un’accelerazione dopo l’uccisione di Antonio Bellocco, rampollo della cosca di Rosarno, assassinato dal capo ultrà Andrea Beretta che, stando a quanto emerge, temeva per la propria stessa vita. Ma le dinamiche criminali interne ai gruppi organizzati emergono anche in un’inchiesta che coinvolge il mondo Juventus.
Recentemente, la Corte d'appello di Torino ha fornito una descrizione inedita della struttura interna dei Drughi, storica tifoseria organizzata della Juventus, definendola come una "cupola" a capo di una "base". Questa è la prima volta che una tifoseria viene etichettata come associazione per delinquere in una sentenza. I magistrati hanno evidenziato un sistema gerarchico a piramide, con leader e "colonnelli" che esercitavano un'autorità indiscutibile sugli altri membri, un potere che non è mai stato messo in discussione.
Secondo l'accusa, comportamenti che apparivano come comuni intemperanze da stadio, come scioperi del tifo, contestazioni, scritte offensive e cori discriminatori, venivano in realtà utilizzati per "tenere sotto scacco" la società e costringerla a concedere vantaggi non dovuti, come biglietti gratuiti o una quota extra per le trasferte di Champions League.
Il processo “Alto Piemonte”
Il processo, noto come "Last Banner", non riguarda le infiltrazioni della 'ndrangheta nella curva bianconera, già oggetto di precedenti indagini, ma piuttosto l'attività di alcuni ultrà che, tra il 2018 e il 2019, avrebbero cercato di imporre le loro richieste alla Juventus.
Qualche anno fa, la Cassazione ha reso definitive le condanne per Saverio Dominello e suo figlio Rocco, ritenuti appartenenti alla cosca Pesce-Bellocco, che erano riusciti a infiltrarsi nel mercato del bagarinaggio dei biglietti della Juventus. I giudici misero così messo un punto fermo su una questione che ha rivelato il coinvolgimento della criminalità organizzata nella gestione della Curva Sud dello Juventus Stadium. Dominello junior era stato identificato come garante della pace tra diversi gruppi ultras, utilizzati dalla 'ndrangheta per esercitare pressioni sulla società calcistica e garantirsi un profitto derivante dal bagarinaggio.
Nei tre gradi di giudizio, le sentenze hanno concordato sul fatto che la 'ndrangheta fosse riuscita a controllare i gruppi ultras dello Juventus Stadium. Attraverso questa gestione, i membri della cosca esercitavano pressioni sulla società per ottenere più biglietti di quanto consentito dalle norme sportive. Tuttavia, Andrea Agnelli e la Juventus non sono stati coinvolti in questa indagine penale.
Le curve in mano alla ‘ndrangheta
Ma anche in quel caso si parlò di una società prona allo strapotere dei gruppi organizzati. Proprio come si dice oggi nell’inchiesta “Doppia Curva”, curata dalla Dda di Milano e dalla Procura Nazionale Antimafia. L'influenza della ’ndrangheta a Milano non si ferma solo ai parcheggi dello stadio. Le intercettazioni mostrano chiaramente che anche il mondo degli ultras, sia interisti che milanisti, è nel mirino della mafia. Caminiti discute con i suoi interlocutori della “storia dello stadio” e del tentativo di Domenico Vottari, leader del gruppo ultras del Milan Black Devil, di prendere il controllo di spazi all’interno di San Siro. Sebbene Vottari abbia negato qualsiasi coinvolgimento con la mafia e il mondo ultras, le intercettazioni suggeriscono che il gruppo stesse cercando di assumere il controllo della curva milanista. Tuttavia, a causa della crescente attenzione delle forze dell’ordine, il piano sarebbe stato abbandonato.
Nel frattempo, la curva dell’Inter, all’epoca sotto la leadership di Vittorio Boiocchi, rimaneva più stabile. Boiocchi, figura influente nel mondo ultras, sarebbe stato coinvolto nei discorsi di Caminiti, che lo vedeva come un possibile ostacolo alle mire espansionistiche della ’ndrangheta. Calabrò, stando alle intercettazioni, era pronto a intervenire anche nella curva interista per proteggere gli interessi dei calabresi, allontanando personaggi come Boiocchi e Andrea Beretta, che dominavano la scena.
L’appartenenza di Caminiti alla ’ndrangheta sarebbe talmente radicata che nel settembre 2020 decide di tatuarsi l’immagine della Madonna di Polsi, un simbolo sacro per i mafiosi calabresi, sul braccio per sancire la sua fedeltà. La Madonna di Polsi rappresenta non solo un simbolo religioso, ma anche una connessione profonda con il cuore della ’ndrangheta, San Luca, un luogo che Caminiti continua a venerare.
Il mondo romano
Proprio come i membri dei gruppi ultras venerano i propri capi. La violenza del tifo, dunque, ha superato i recinti degli aspetti più militari, quali possono essere i disordini durante le partite, sfociando in un mix di business e fanatismo. Prova ne sia la necessità di mettere sotto tutela l’ex ad della Roma, Lina Souloukou, ritenuta responsabile dell’esonero dell’allenatore Daniele De Rossi e quindi oggetto di minacce di morte. La Capitale, dunque, non solo non è esente da queste dinamiche ma, anzi, presenta intrighi ancor più difficili da districare, per via dei tanti crocevia che uniscono vari gruppi malavitosi, autoctoni e non. Roma città aperta, da sempre, sotto il profilo criminale.
Il pomeriggio del 7 agosto 2019, Fabrizio Piscitelli, noto come “Diabolik” e leader degli Irriducibili della Lazio, è colpito da un proiettile alla nuca mentre si trova seduto su una panchina nel parco degli Acquedotti. Un omicidio “eccellente”, perché è un vero e proprio impero criminale quello costruito da Piscitelli, il cui nome era già legato a traffici di droga e attività illecite.
La sua ascesa nel mondo della malavita era stata alimentata dalla brama di potere e denaro, nonché dal supporto degli ultras. Negli anni, Piscitelli era riuscito a costruire un impero che gestiva ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, come 250 chili di cocaina e oltre 4.000 chili di hashish. Il suo cammino nel crimine inizia negli anni '90, all'epoca della Lazio di Sergio Cragnotti, quando insieme ai fondatori del gruppo degli Irriducibili, iniziò a prosperare nel settore del merchandising, lanciando il marchio “Mr Enrich”, che gli fruttò enormi guadagni.
Nonostante i guadagni, il potere politico e sociale derivante dal tifo organizzato rappresentava un altro aspetto cruciale. Gli Irriducibili, infatti, furono coinvolti in tentativi di infiltrazione della camorra nella Lazio, con comportamenti che portarono a sanzioni pesanti per il club. Le connessioni di Piscitelli con il mondo della destra eversiva (si pensi al gruppo di Massimo Carminati) e la criminalità organizzata risalgono a molto prima, fino al 1992, quando venne incluso tra i membri di un'associazione a delinquere transnazionale legata al narcotraffico. A cavallo tra la camorra e gruppi albanesi, Piscitelli consolidò il suo potere, facendosi mediatori tra famiglie mafiose rivali e avviando affari redditizi, anche se pericolosi.
Nel 2017, Piscitelli si trovava al centro di un affare di cocaina che avrebbe dovuto essere il più grande mai realizzato a Roma, ma fu bloccato dalle indagini. La sua ambizione, che lo portava a cercare di espandere ulteriormente i suoi affari in un periodo di debolezza delle famiglie storiche, segnò però anche la sua condanna a morte. Dinamiche che, ora, sembrano riproporsi con il delitto di Antonio Bellocco e gli affari milanesi, stretti nel caldo abbraccio tra tifo organizzato e cosche.