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Il voto femminile spinge Harris al primo posto in Iowa e non solo. E Trump vorrebbe “sparare ai giornalisti”

Il tycoon è nervoso, ripete che “non avrebbe mai dovuto lasciare la Casa Bianca nel 2020”. Si prepara a vincere anche se non dovesse vincere. Breve viaggio tra le minoranze etniche e religiose di Brooklyn. In cerca di tendenze. Per l’uno o per l’altra

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Donald Trump e Kamala Harris sui media americani (Shutterstock)
Donald Trump e Kamala Harris sui media americani (Shutterstock)

Brooklyn - Trump è nervoso. Domenica mattina si è svegliato con una brutta notizia: in Iowa, uno stato che mette in palio sei grandi elettori e che ha sempre considerato “suo” e blindato, Kamala Harris è avanti di tre punti. I giornalisti che lo seguono embedded in queste ultime ore di campagna elettorale forsennata su e giù per i sette swinging state  lo raccontano, appunto, nervoso, chiama in continuazione, anche di notte, lo staff e i responsabili dei vari team - i sondaggisti, la comunicazione, la raccolta fondi - non si sente tranquillo. E perde la testa. Ieri , domenica, dall’ennesimo palco in Pennsylvania ha detto: “Non avrei mai dovuto lasciare la Casa Bianca, nel gennaio del 2021. Non avrei dovuto andarmene alla fine del mandato, avevamo fatto così bene e ci eravamo così divertiti”.

Il Piano B di Trump

Il suo Piano B ormai è noto: dichiarare subito, già la sera del 5, la sua vittoria senza aspettare i risultati definitivi e poi tessere la trama del complotto, della frode elettorale con cui giustificare tutto quello che potrà accadere da mercoledì 6 novembre in avanti. A cominciare, ovviamente, dalla sua sconfitta.   “Sono stanco - ha aggiunto - potrei essere al mare a godermela e invece sono qua, a lottare, a rischiare la vita. Anche se oggi per spararmi dovrebbero prima far fuori un po’ di giornalisti qui davanti. E la cosa non mi dispiacerebbe affatto”. Lo staff gli aveva appena fatto vedere il video social postato da un giornalista che lo seguiva il giorno prima mentre diceva: “Quelli di Kamala dicono che ai miei comizi viene poca gente. Bugia, bugia, bugia, quando io parlo i posti a sedere sono sempre tutti occupati”. In quel preciso momento  l’obiettivo del giornalista si sposta sulla platea e inquadra decine e decine di posti vuoti. Si capisce perchè ore dopo avrebbe voluto vedere “sparare addosso ai giornalisti”.

Harris avanti in quattro stati

Un bugiardo seriale, Donald Trump, e paranoico fino a negare l’evidenza. La questione è seria e qualcuno ha fatto anche la diagnosi. Un uomo ridicolo che può diventare pericoloso se ha potere. Figuriamoci la guida della più grande e antica democrazia occidentale.

L’evidenza nei Siena college Polls, i più quotati a questo punto della campagna con quelli di Nathan Silver, dicono che la vicepresidente Kamala Harris è avanti in quattro stati: Nevada (49 a 46), in North Carolina  (48 a 46) in Wisconsin (49 a 47), in Georgia (48 a 47). Sono testa a testa in Pennsylvania (48 a 48) e Michigan (47 a 47). Trump la stacca di ben cinque punti in Arizona. Gli analisti non ricordano, da decenni, una competizione così serrata fino alla fine. E da una parte e dall’altra, oltre a spingere ad un  vero e finale porta a porta (migliaia di volontari coinvolti in tutti i sette stati), cercano di lavorare sulle minoranze che sono la maggioranza di questo Paese che deve la sua bellezza e varietà e anche le sue contraddizioni proprio al melting pot che lo abita e lo ha fatto crescere da oltre quattro secoli. Gli Stati Uniti sono di per sè la negazione dell’isolazionismo predicato e promesso da Trump. Bastava ieri mattina sostare qualche minuto lungo la Manhattan Avenue a Greenpoint, il quartiere polacco di Brooklyn, mentre passavano i 55 mila runners impegnati nella New York City Marathon: tutte le razze, tutti i popoli, tutti i generi e tutte le nazioni mescolate a correre insieme per 42 chilometri mettendo i piedi in tutte e cinque le contee dello stato di New York.

Le minoranze a Brooklyn

Brooklyn è il luogo ideale per misurare il peso delle minoranze sul voto di domani. Tutte hanno in questa contea il proprio quartier generale: gli italiani a Benson Hurst ( ma non solo), i polacchi a Greenpoint, la chinatown di Gravesand e Homecrest, i russi a Brighton beach, la più grade comunità afroamerican a Bushwick e a Bedford Stuyvesant.

Trump ha bollato come “stupido” il sondaggio sull’Iowa. Ma è “nervoso”. Sa, gli hanno spiegato o ci hanno provato, che il cambio di passo è merito, per lui probabilmente “colpa” delle donne. Sono loro che in Iowa hanno ribaltato la percentuale: +16 % per Harris; non va altrettanto bene tra gli uomini. E c’è una data in cui questo è iniziato: il discorso di Michelle Obama in appoggio a Kamala Harris. Due donne di colore sul palco quella sera che si rivolgevano a tutte le americane mettendole in guardia da Donald Trump. 

Donne come Maggie, 76 anni, abito lungo di velluto liscio e tendente al viola, con cappellino e veletta, che entra nella Full gospel church of god con la figlia Maggie e uno stuolo di teglie e contenitore di plastica tieni di cibo per la tradizionale festa dopo la funzione religiosa. Siamo a Bushwick, una delle più grandi comunità afro. Maggie non ha il minimo dubbio su chi voterà: “Kamala, my god, who else?” E chi altro. La figlia Maggie concorda e aggiunge: “Sulle donne non c’è problema, il problema sono gli uomini afro…”. A loro, per blandirli un po’, Harris ha promesso aiuti e incentivi per la piccola impresa, aiuti alla formazione e apprendistato, accesso agevolato all’istruzione. Gli afroamericani rappresentano il 13,7% della popolazione. I sondaggi dicono che il 90 per cento ha votato negli anni passati per i Dem con percentuali che si sono però erose col passare degli anni fino al 78% tra le donne e addirittura il 68 tra gli uomini.

L’early voter

Albert è a due passi dalla Chiesa, sotto il sole dell’estate indiana di New York. Non crede al 68%. Lui ha già votato e mostra con orgoglio l’adesivo “i’m an early voter”.  Sono oltre 75 milioni in tutti gli Stati Uniti. Spera che tutti siano elettori di Harris. Di sicuro lo è Paul, elegantissimo in total look bianco e nero che scende i gradini di casa e sorride: “Le pare che uno che come me possa anche solo pensare di votare Trump?”.  No, non ci pare proprio.

Kamala Harris potrebbe essere la prima donna Presidente e di colore degli Stati Uniti. E potrebbe essere penalizzata proprio dalla sua minoranza. In Georgia, uno stato cbiave, gli afroamericani sono 1/3 della popolazione. Biden vinse qua nel 2020 per 12 mila voti, quelli che fecero la differenza. Quest’anno si sono registrate per il voto il 7% in più. Tra questi anche Paula, nata nel New Jersey 31 anni fa ma solo quest’anno andrà a votare “perché è la cosa giusta da fare”.

Gli ispanici che si fidano di Trump, nonostante tutto

La seconda minoranza etnica negli Stati Uniti sono gli ispanico-latini: 36 milioni i registrati, quattro milioni in più del 2020, il doppio del 2016. Trump ha inanellato una serie di gaffe clamorose su haitiani (“mangiano i gatti”) e partoricani “che vivono su un’isola di spazzatura”. Considerato che solo in Pennsylvania ci sono oltre 400 candidati portoricani, molti hanno pensato che sarebbe stata per lui la fine. Eppure un sondaggio degli ultimi tre giorni (NYT per Siena Poll coverage) dice che “oltre il 50% degli ispanico-latini non si cura del fatto che Trump li taccia di essere “criminali in quanto migranti”, di “avvelenare il sangue del Paese”, di “vivere su un isola di rifiuti” (lo ha detto dei portoricani) o di “mangiare i gatti” come fanno gli haitiani.    

Kamala Harris  ha sangue anche indiano e la terza comunità negli Stati Uniti è proprio quella asiatico-americana. Cinesi, filippini, indiani, stanno aumentando moltissimo il peso demografico e politico nel Paese: quasi 15 milioni gli aventi diritto, il 15% (erano l’1,5% nei primi anni ottanta). Gli analisti vedono “dinamiche positive a favore di Kamala Harris” tra gli indoamericani. La comunità cinese vive nel terrore dei dazi Ma anche qui è difficile dirlo. I polachi, ad esempio: t’aspetti di trovare un blocco compatto atlantista e quindi anti Putin visto il ruolo che hanno assunto nella guerra al fianco dell’Ucraina. Spiega Ana mentre aspetta il gruppo dei maratoneti polacchi che attraversa Grrenpoint: “Chi vive qua non si cura tanto della guerra, altre cose faranno la differenza, ad esempio l’aborto” su cui Trump ha inorridito il resto del mondo. 

Incognite anche sugli arabo-americani, tre milioni di persone che si sentono, soprattutto in Michigan, sfiduciati per il sostegno a Israele.  Il movimento filopalestinese Uncommitted è contro Trump ma neppure per Harris. Idem i cattolici, il 20 % del Paese di cui però il 52% strizza l’occhio a Trump prece il suo vice JD Vance è cattolico.

Quasi 80 milioni

Ieri alle 17 ha chiuso il cosiddetto early vote, le votazioni anticipate. Sono circa 80 milioni i cittadini Usa che hanno deciso di evitare le code. In un modo o nell’altro, è sempre una buona notizia quando le gente partecipa. Il big tuesday comincia tra poche ore. Il 47 presidente degli Stati Uniti sarà deciso su pochi, pochissimi voti. Questa elezione sarà decisa veramente all’ultimo voto. Occhio a chi ha fretta a proclamarsi vincitore.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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