Tempo scaduto per l’Europa: o si rafforza oppure si estingue. In attesa di capire cosa farà Trump
L’urgenza rispetto ai due conflitti alle porte parte Nel vertice europeo di Budapest il primo punto all’ordine del giorno sono proprio le relazioni con la Casa Bianca dopo la vittoria dell’ex presidente tornato in carica. “Farò cessare le guerre” ha detto Trump. Ma come
NEW YORK - Era l’elezione più attesa di questo anno elettorale eccezionale in cui hanno votato i paesi chiave nello scacchiere mondiale in cerca di un nuovo equilibrio. L’elezione di Donald Trump arriva dopo lo scontatissimo voto russo, quello indiano (che ha confermato ma con meno forza la leadership di Modi), Corea del Sud, Taiwan. Dopo le delicatissime e dall’esito incerto elezioni europee. Erano 76 i paesi chiamati al voto nel 2024. Donald Trump ha chiuso il grande gioco dell’anno elettorale. Tutto il mondo guarda alla Casa Bianca per capire cosa succederà adesso e come The Donald muoverà i fili della diplomazia e della più grande democrazia mondiale. Se e come sposterà il peso specifico degli Stati Uniti fuori dai confini Usa. La politica estera di The Donald è uno dei primi dossier su cui andremo a misurare la distanza tra la propaganda di ben due anni di campagna elettorale e le gestione quotidiana. Anche perchè “Make America great again”, il tormentone MAGA diventato così identitario e nazionalista, sulla carta è l’esatto contrario di un paese, gli Stati Uniti che da quasi un secolo, dalla seconda guerra mondiale, decide gli equilibri internazionali. “Farò cessare le guerre e di sicuro non ne farò avviare altre” ha detto Trump nel discorso della vittoria. E però “voglio avere le forze armate più potenti del mondo, non per usarle ma perchè sia chiaro che le abbiamo”.
La politica estera di Trump
L’Europa e i due conflitti - Ucraina e Medioriente - e l'aumento dell’aggressione cinese nel Mar Cinese Meridionale sono i primi dossier Intanto è bene chiarire che fino a gennaio, quando ci sarà l’insediamento, il nuovo inquilino della Casa Bianca potrà fare ben poco. Joe Biden ha telefonato a Trump per congratularsi e ha garantito un passaggio di consegne collaborativo. E però i due conflitti alle porte di Europa sono un’urgenza per cui Bruxelles, ma anche Kiev, Tel Aviv e Teheran non possono far passare tre mesi senza le idee chiare su come si posizionerà la Casa Bianca. Questo lascia presupporre che il 47 presidente degli Stati Uniti terrà colloqui e contatti informali fin da subito con le varie cancellerie. La telefonata avuta, tra le altre, con Giorgia Meloni; i 25 minuti, sempre al telefono con Macron e altrettanti con Starmer e il presidente della Nato Rutte indica una prassi che si presuppone possa essere costante nei prossimi mesi.
Si spacca o si rafforza?
L’elezione di Trump mette l’Europa davanti a un bivio: finisce l’era dell’alleanza blindata Usa-Ue-Nato? In questo caso, assai probabile, l’Europa si spacca oppure si ricompatta rafforzandosi?
Il vertice europeo in queste ore a Budapest, sotto la presidenza del semestre ungherese, ha in agenda nei fatti un solo tema: l’incerto futuro delle relazioni tra Ue e Usa. Molti leader europei erano diffidenti nei confronti di un ritorno di Trump. Una task force della Ue si è riunita negli ultimi mesi per preparare il suo ritorno elaborando strategie sugli aiuti all'Ucraina e sulle risposte a una possibile guerra commerciale se Trump imponesse i dazi promessi. E’ in corso un “ricalcolo e un riposizionamento piuttosto rapido” tra i leader che devono valutare cosa avrebbe significato una presidenza Trump per le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, nonché per potenziali dazi e imposte sulle società.
La Ue divisa
L'Europa non è un blocco uniforme. Molti paesi avrebbero preferito Harris a Trump per dare continuità alle scelte di questi ultimi due anni. Molti altri, che fanno capo alle emergenti destre europee riunite nella famiglia politica dei Patrioti guidati da Orban, Le Pen, Salvini e gli altri leader nazionalisti, hanno invece salutato come un trionfo personale la vittoria di Trump. Non solo per la politica estera che vorrebbe chiudere i conflitti abbondando ad esempio l’Ucraina al suo destino sotto una finta pace e in barba al diritto internazionale e al divieto di aggressione dei confini nazionali, ma anche per l’immigrazione. “Chiudere i confini”, espellere gli irregolari, ammettere solo i regolari (fondamentali per l’economia americana così come per quella europea) sono state le parole d’ordine della campagna trumpiana e melodia per Orban, Salvini, Lepen. Restando all’Italia, Giorgia Meloni ma anche Antonio Tajani dovranno essere molto abili nel riposizionarsi rispetto a Washington. Meloni ha fatto i suoi conti per tempo e non è certo un caso che un mese fa, durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, abbia snobbato Biden e abbia scelto “il mio amico geniale Elon Musk” per essere premiata all’Atlantic council. Il boss di Tesla e Starlink assomiglia al passe-partout per Palazzo Chigi per i prossimi anni. Soluzione e trappola, questo è da vedere.
Il ruolo di Ursula von der Leyen
Chi invece si è già posizionato in modo netto e da anni al fianco di Trump è Viktor Orban. “Una vittoria necessaria per il mondo!” ha detto appena ufficiale l’elezione. Orban è anche amico di Mosca e in questi anni ha fatto di tutto per bloccare gli aiuti dell’Ue per l’Ucraina. Dato questo scenario, l’Europa può cambiare in fretta la sua strategia o può iniziare a morire. Ursula von der Leyen ha abilmente bilanciato la sua maggioranza Ppe- Pse-Liberali-Verdi nella Commissione aprendo alle destre più moderate di Meloni e dei Conservatori (Ecr) dando loro incarichi esecutivi nonostante non l’abbiano votata. Il governo von der Leyen però non ha ancora avuto il via libera del Parlamento Europeo. Socialisti e verdi hanno protestato per l’apertura alle destre e minacciato di non votare, ad esempio, il commissario italiano Fitto a cui von der Leyen ha concesso una importante vicepresidenza esecutiva. Il voto è previsto il primo dicembre e sarà, quello, l’indizio più importante per capire il destino della Ue. In questo momento l’Europa senza Washington non è in grado di sostenere l’Ucraina e questo sarà la prima vera verifica rispetto alla tenuta e quindi al futuro dell’Europa che ha investito molto in questi ultimi due anni per difendere se stessa e le democrazie dalla visione imperialista, autoritaria e repressiva della Russia di Putin che ha un unico obiettivo: dimostrare il fallimento delle democrazie.
Fine della propaganda, quale realtà?
Donald Trump, una volta tornato commander in chief grazie ai miliardi della PayPal mafia della Silicon Valley, a cominciare da Musk, vorrà difendere le democrazie o metterà al primo posto America first? La promessa Make America Great again passa anche dalla tutela del vecchio ordine mondiale? O lascerà che quello nuovo, imposto da Russia, Cina, Iran, Corea del Nord, prenda il sopravvento? Le dichiarazioni di due anni di campagna elettorale sono oggi vecchie e inutili: “Siamo sfruttati da ogni paese del mondo, compresi i nostri alleati”; “i nostri alleati sono peggiori dei nostri cosiddetti nemici”; tempo fa aveva anche incoraggiato la Russia ad “attaccare gli alleati della NATO che non fanno la loro parte” dando i necessari finanziamenti (il 2% del pil). Di certo Trump ha promesso di porre fine alla guerra in Ucraina in 24 ore, senza fornire dettagli, e questo è piaciuto molto al Cremlino convinto che possa significare la cessione del Donbass a Mosca e la fine del conflitto. Zelensky, a sua volta, ha ricordato a Trump un loro “grande incontro” avuto negli Usa a settembre, quando hanno discusso “dei modi per porre fine all’aggressione russa contro l’Ucraina”. La presidenza Trump alimenta grandi attese anche in Medioriente. Netanyahu ha esultato: “Siamo ad un nuovo inizio per l’America e un forte rinnovato impegno nei confronti della grande alleanza tra Israele e America”. In tutto questo, se l’Europa ai tempi di Biden aveva già mostrato tutta la sua “inutilità” come player internazionale, ai tempi di Trump o si rafforza (a cominciare da un suo esercito e da una politica estera unitaria) o sarà una pedina in balia di rapporti di forza decisi da altri.