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La visita di Nancy Pelosi a Taipei rischia di creare uno scontro tra Usa e Cina: perché Taiwan è così speciale

La visita della speaker del Congresso degli Stati Uniti all'isola di Formosa ha suscitato un’inevitabile muscolare reazione di Pechino e più di un imbarazzo a Washington in un momento in cui la tensione era già alta.

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
Nancy Pelosi a Taiwan
Nancy Pelosi a Taiwan Foto Ansa)

Alla fine, nel corso del suo viaggio in Asia Nancy Pelosi, speaker del Congresso degli Stati Uniti, ha fatto tappa a Taiwan. La visita ha suscitato un’inevitabile muscolare reazione di Pechino e più di un imbarazzo a Washington in un momento in cui la tensione era già alta. Da mesi le dichiarazioni e il linguaggio del governo cinese su Taiwan si sono fatti sempre più fermi e a tratti aggressivi, inducendo gli Stati Uniti, la cui politica è tradizionalmente improntata alla “ambiguità strategica”, ad essere sempre meno ambigui riguardo alla possibilità di un loro intervento qualora l’isola venisse attaccata. Nel frattempo i taiwanesi chiedono più armi e si mobilitano e gli stati del Pacifico sono sempre più preoccupati. L’incidente, voluto o meno, potrebbe essere dietro l’angolo e l’ipotesi di un confronto armato diretto sino-americano comincia a essere ritenuta sempre più possibile, anche se al momento ancora poco probabile. Ma cosa ha tanto di speciale l’isola di Taiwan, o Formosa come la battezzarono i colonizzatori portoghesi, da far minacciare uno scontro armato a due potenze nucleari che in realtà nonostante tutto hanno robusti legami economici, tanto da essere condannate almeno nel breve-medio termine a una sorta di dipendenza reciproca?

Un’isola speciale

I motivi per i quali il governo cinese persegue lo “storico compito di completare la riunificazione della madre patria” per dirla con le parole del presidente Xi Jinping sono diversi. C’è un motivo ideologico e nazionalista, chiudere i conti della rivoluzione del 1949 e completare il processo di riunificazione del paese avviato con la ripresa in consegna di Macao e Hong Kong. Ce n’è uno economico, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) è il primo produttore al mondo di semiconduttori e le aziende di Taiwan controllano una discreta quota della produzione fatta in Cina in particolare quella di apparati elettronici. Far diventare da un giorno all’altro cinesi alcune tra le imprese più dinamiche e strategiche del mondo fornirebbe a Pechino una leva di notevole importanza, non solo economica, ma anche geopolitica.

Una portaerei galleggiante

Oltre al nazionalismo e al potere economico c’è tuttavia anche un terzo motivo, in genere poco evidenziato, ma altrettanto importante, ed è quello militare. Taiwan infatti è “una portaerei e una nave appoggio per i sottomarini inaffondabile” come ebbe modo di definirla il generale statunitense Douglas MacArthur. Soprattutto è la via d’accesso per il Mare delle Filippine, quella porzione di Oceano Pacifico racchiusa tra il Giappone e appunto le Filippine il cui controllo o anche solo il libero accesso è strategico per minacciare o difendere le isole nipponiche, quelle filippine, la Corea del Sud e la base navale americana di Guam a cui è affidato il controllo di tutto il Pacifico occidentale.

Cina in svantaggio

Attualmente lo scenario più verosimile di confronto o di guerra tra Cina e Stati Uniti, oltre a quello taiwanese, sarebbe un qualche tipo di minaccia cinese verso i paesi dell’area alleati degli americani. Il teatro di operazioni sarebbe quello delimitato dalla prima catena di isole al largo della costa orientale dell’Asia, ovvero le acque tra Giappone, Taiwan e le Filippine da un lato e la Cina dall’altro. In un conflitto che sarebbe fondamentalmente navale la Cina si troverebbe in svantaggio. La potenza della sua flotta infatti è ancora nettamente inferiore rispetto a quella americana. Quest’ultima, inoltre, potrebbe rapidamente guadagnare libertà d’azione distruggendo nelle prime fasi del conflitto i radar a lungo raggio cinesi. Ciò inibirebbe la capacità di Pechino di colpire con attacchi missilistici “oltre l’orizzonte”, a distanze notevoli. A quel punto le navi della VII° flotta potrebbero operare nel Mare delle Filippine correndo rischi ridotti, non nulli, ma accettabili.

Ma se Taiwan fosse cinese ...

Le cose cambierebbero drasticamente, tuttavia, se le forze armate cinesi avessero Taiwan a disposizione. A largo dell’isola potrebbe essere dispiegato a gran profondità un sistema di ascolto sottomarino in grado di intercettare i rumori a bassa frequenza prodotti dalle navi americane anche a migliaia di chilometri di distanza. Le unità statunitensi potrebbero quindi essere localizzate con sufficiente precisione e diventare obiettivo dei missili cinesi. Rimarrebbero indenni i sottomarini a stelle e strisce che sono comunque troppo silenziosi per essere individuati. Inoltre, poiché attualmente sono gli Stati Uniti che possono ascoltare il traffico sottomarino dei mari interni, la conquista di Taiwan avrebbe anche il risvolto di privare la marina americana di un suo importante “orecchio”.

…sarebbero gli Stati Uniti a essere in svantaggio

Le cose per gli Stati Uniti si complicherebbero così parecchio e la loro capacità di proiezione strategica e di attacco ne sarebbe indebolita, ponendo Washington di fronte alla scelta tra un’escalation del conflitto e un sostanziale ripiegamento. L’unica altra via sarebbe quella di colpire il sistema di microfoni sottomarini o la capacità di trasmettere ed elaborare i dati da loro raccolti. Ma le possibilità di successo sarebbero ridotte, sia per i rischi dell’operazione che per la difficoltà di individuare e distruggere gli obiettivi.

Verso il Pacifico e oltre

Infine, come ricordato dal generale MacArthur, poter disporre di Taiwan consentirebbe alle forze armate cinesi di contare su di una portaerei naturale e di una base per i suoi sottomarini che aumenterebbe di molto la capacità di proiezione di Pechino verso il Pacifico e di controllo delle rotte commerciali che lo attraversano. Una capacità che crescerebbe ulteriormente se Pechino riuscisse a costruire sottomarini nucleari più avanzati e silenziosi equipaggiati con missili balistici in grado quindi di arrivare in oceano aperto senza farsi individuare dai sistemi d’ascolto americani e di lì poter minacciare di colpire direttamente il territorio degli Stati Uniti. Uno scenario al momento impossibile con la dotazione attuale costituita in gran parte da sottomarini a motore elettrico o diesel con un raggio d’azione limitato e da pochi sottomarini nucleari rumorosi e facilmente individuabili.

Scelte complicate

Il valore militare di Taiwan e la determinazione di Pechino a riconquistarla in un futuro lontano, ma non troppo, pone Washington di fronte a una difficile scelta ognuna foriera di rischi e problemi. Le opzioni sono fondamentalmente tre: proteggere Taiwan ad ogni costo, alleggerire il suo impegno a difesa dell’isola, lasciarla al suo destino. La prima è sempre più complicata e potrebbe portare al conflitto con la Cina, le altre due, non solo diminuirebbero in parte o molto il ruolo degli Stati Uniti nel Pacifico e la capacità di manovra della sua flotta, ma porrebbero in forte allarme gli alleati della regione, Giappone e Corea del Sud in testa che a loro volta si troverebbero di fronte alla scelta tra ingaggiare il confronto con Pechino o accettarne il ruolo dominante nell’area. Il risultato sarebbe la rottura di un duraturo, sebbene complicato, equilibrio e la possibile destabilizzazione di uno dei quadranti più importanti del mondo. Ecco perché l’isola è tanto speciale.

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
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