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Spari sui Caschi blu. Crosetto: “Atto criminale di Israele ma Hezbollah ha riempito di armi la zona Onu”

Il ministro spiega come dietro il grave attacco di giovedì sui nostri militari ci sia il fallimento della missione Unifil. “Israele non ha giustificazioni ma l’Onu deve cambiare subito le regole d’ingaggio”. Ieri sera Meloni ha ricevuto Zelensky che ha illustrato il suo “Piano per la vittoria”. Ma la premier ha dovuto anche prendere la distanze da Orban (e da Salvini) che all’Europarlamento ha detto: “In Ucraina abbiamo perso, fatevene una ragione”.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Il ministro della Difesa Guido Crosetto (Ansa)
Il ministro della Difesa Guido Crosetto (Ansa)

Spari e granate contro le basi dei caschi blu italiani in Libano. E’ successo tra mercoledì e giovedì dopo giornate con un crescendo di avvisi da parte di Idf, la difesa israeliana che ha invitato a sgomberare l’area. Il contingente Unifil è stato preso di mira almeno tre volte. Carri armati hanno colpito e distrutto le telecamere e altri sistemi di videosorveglianza negli ultimi due avamposti dei nostri caschi blu a Naqoura. “Né un errore né un incidente” ha sottolineato il ministro della Difesa Guido Crosetto. “E’ un attacco deliberato di forze regolari israeliane. Siamo davanti ad un crimine di guerra, a violazioni senza alcuna giustificazione delle regole d’ingaggio e delle Convenzioni Onu”.  L’episodio più grave è avvenuto a Naqoura, sede del comando delle Nazioni Unite, dove un tank israeliano ha sparato contro una torretta di avvistamento, distruggendo il pilone. I due soldati indonesiani che erano di guardia sono precipitati al suolo ma hanno ferite non gravi.

I due messaggi chiari del ministro

"Per fortuna i nostri soldati sono protetti nei bunker e non hanno riportato danni o ferite” ha precisato Crosetto.  Che se è sceso in conferenza stampa e ha accettato di incontrare i giornalisti, vuol dire che la situazione è seria oltre che grave. Lo fa alle 17.45. In Italia la notizia è arrivata a metà mattinata.  E poiché le opposizioni hanno chiesto che il governo venga “subito” in aula a riferire, il ministro è sceso in sala stampa per dare subito un messaggio chiaro. Anzi, due. Il primo: Israele ha attaccato e deve spiegare perché si è resa  responsabile di un “crimine di guerra”. Il secondo: la fetta del Libano del sud affidata dal 2006 ai caschi blu dell’Onu, una missione di peace keeping con l’obiettivo di avere una fetta di territorio cuscinetto, libera cioè da minacce e bombe, è diventata invece un arsenale a cielo aperto dove Hezbollah ha potuto stoccare e mettere da parte un gigantesco deposito di armi rifornito dall’Iran. Cioè il regime iraniano e Hezbollah si sono fatti beffe per vent’anni delle regole d’ingaggio previste dall’Onu nella risoluzione 1701 e hanno continuato ad armare il braccio armato di Hezbollah (che sarebbe anche un partito e c’ha pure due ministri al governo). Tanto che in questi ultimi due anni ben settantamila israeliani hanno dovuto lasciare la parte nord del paese, che è anche collegio elettorale di Netanyahu, sotto la pioggia quasi continua di razzi in arrivo proprio dalla zona cuscinetto assegnata dalla missione Unifil. Come si vede, una realtà piana di contraddizioni e molto molto complessa.

Le accuse a Israele

Ma andiamo con ordine.  Crosetto convoca la conferenza stampa un minuto dopo che la premier Meloni verga una comunicato di condanna dell’Id israeliana. Palazzo Chigi, premier e ministro, hanno chiesto immediati chiarimenti ai rispettivi omologhi a Tel Aviv. Crosetto ha convocato l’ambasciatore. Ha parlato con Washington con Lacroix, il vice di Guterres all’Onu. Accanto a lui in conferenza stampa sede anche il generale Figliuolo comandante del Comando operativo delle forze armate.  A chi, lato Israele, ha provato a dirgli: “Avevamo avvisato di evacuare la zona e di spostare i caschi blu almeno cinque km a nord”, il ministro ha risposto - dice - brutto muso: “Riferite a Netanyahu che l’Italia e le Nazioni Unite non prendono ordini da Israele”.   Sono toni mai usai prima nei confronti di Israele. Toni per cui le opposizioni vanno a nozze. Elly Schlein chiede che il governo riferisca “subito in aula”. A Conte non pare vero di poter dire: “E allora adesso basta armi a Israele (non le forniamo più da gennaio 2024, ndr) fermiamo la follia di questa escalation”.

Le “ragioni” di Israele

Ma la realtà è più complessa di come la fanno le opposizioni. Tanto che Crosetto, sempre in conferenza stampa, rispondendo alle domande è costretto ad ammettere che il problema di quanto sta accadendo oggi sono le Nazioni Unite, il fallimento della risoluzione 1701 del 2006 e l’ipocrisia di tutti quelli che sanno e fanno finta di non capire. “La missione Unifil ha fallito il suo obiettivo, io personalmente lo dico da giugno 2023 e ho posto il problema che solo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite può affrontare e tentare di risolvere”. Cosa che non succederà mai perché la Russia, membro del Consiglio di sicurezza dove serve l’unanimità, non voterà mai a favore. Il problema sono le regole d’ingaggio e il fatto che i Caschi blu possono intervenire e operare solo “congiuntamente all’esercito libanese” la cui formazione è una delle missioni della 1701.  In questi diciotto anni, con metodo e puntualità, è successo che “l’Iran ha rifornito di armi Hezbollah che ha usato proprio l’area di Unifil per organizzare le sue milizie”. E perché i Caschi blu non hanno sminato e neutralizzato subito questo fenomeno?

Le armi di Hezbollah

"Perché non potevamo, perché possiamo segnalare all’esercito libanese ma non possiamo intervenire”. Il problema dunque è la debolezza dell’esercito libanese che, nonostante l’addestramento, non ha l’autonomia operativa. Per ragioni politiche perché il Libano è un Paese molto instabile e per ragioni economiche: la crisi, l’inflazione, ha decimato il potere d’acquisto di tutto il ceto medio e in questo modo è facile per Hezbollah, cioè l’Iran, farsi stato sociale e pagare ciò che lo Stato non può pagare. Crosetto si sofferma a lungo su questo aspetto. Parla della conferenza dei donatori per il Libano, spiega che l’Italia si fa continuamente promotrice di raccolte fondi, che l’unica strada percorribile è quella di tenere in piedi e sostenere uno stato laico forte ed indipendente. Altrimenti l’esercito libanese è alla mercé dei soldi di Hezbollah. Ecco il grande equivoco. E chissà se le opposizioni vorranno ragionare anche su questo prima di puntare il dito solo e soltanto contro Israele.

Non c’è più la comfort zone

E’ da giugno, dal voto europeo, che la politica estera non è più  la comfort zone di Giorgia Meloni. Intendiamoci: con due conflitti conclamati in corso alle porte di casa e un nuovo ordine mondiale che sta prendendo corpo, la politica estera è una sfida quotidiana che leva il fiato e carica di tensioni. Fino a giugno, però, Giorgia Meloni si è mossa, pur nelle difficoltà del contesto, con la consapevolezza di una autorevolezza conquistata sul campo. Dopo il voto europeo, in cui ha vinto ma le “sue” destre non abbastanza per vincere, è diventato più difficile e la comfort zone si è ristretta. Anche il rapporto con Zelensky si è fatto più difficile nonostante l’affetto e la stima reciproca. Ieri sera il presidente ucraino era a Roma in vista ufficiale. Dovevano vedersi domani a Ramstein i leader dei paesi Nato per un vertice specifico sull’Ucraina. La potenza dell’uragano in Florida ha impedito a Biden di lasciare la Casa Bianca e ha costretto a rinviare il summit.

Zelensky in missione

Così Zelensky è venuto in missione in Europa: l’inverno si avvicina, la Russia continua a bombardare (“avanza ma con molte perdite” ha detto Rutte, il nuovo segretario della Nato) come del resto l’Ucraina tiene ben salde le posizioni nel Kursk russo conquistato. Ma Kiev ha bisogno di armi, sostegno e appoggi di ogni genere (anche di intelligence) e la vigilia elettorale negli Stati Uniti, con Trump che tifa per la fine del conflitto e quel-che-è-stato-è-stato e Elon Musk che appoggia Trump ma ha anche in mano le comunicazioni in Ucraina grazie al sistema di satelliti Starlink, ha spinto Zelensky ad andare capitale per capitale a presentare il suo “Piano per la vittoria”. Ieri Londra, Parigi, in serata Roma, oggi Berlino. “Il piano mira a creare le giuste condizioni per una giusta fine della guerra. Ringrazio il Regno Unito per il suo continuo supporto alla difesa del nostro Paese, anche con armi a lungo raggio” ha scritto Zelensky su X. Ne ha parlato anche ieri sera con Giorgia Meloni. Che nel privato della cena a villa Doria Pamphili ha dovuto prendere le distanze da Orban. E dal suo vicepremier Salvini. “La pace non potrà mai essere una resa. Hai la parola mia e del mio governo Volodimir, l’Italia sarà al fianco tuo e dell’Ucraina fino alla fine, fino alla vittoria e anche dopo nella pace” ha detto Meloni nel punto stampa alla fine dell’incontro in cui Zelesnky ha ringraziato l’Italia “ e te cara Giorgia, per la difesa del diritto internazionale e per il sostegno solido al mio paese continuamente aggredito”.

Orban e Salvini, più di un problema

Ma è sempre più difficile credere alla parole e agli impegni della premier sul fronte della diplomazia dopo i siparietti visti nelle ultime ore. Mercoledì l’aula dell’Europarlamento è rimasta di sale quando il presidente ungherese Viktor Orban ha urlato ai microfoni e sfidando lo sguardo di Von der Leyen: “In Ucraina abbiano perso, fatevene una ragione. E prima lo farete, meglio sarà per arrivare finalmente alla pace”. Il problema è che Orban è stato ospite d’onore di Matteo Salvini domenica scorsa a Pontida. E Matteo Salvini, oltre che vicepremier del governo Meloni, ha deciso di schierarsi con la famiglia della destra estrema europea, i Patrioti di Orban appunto.  Con quante voci parla il governo italiano? Che affidabilità ci può dare? Questo si sente sussurrare con sempre maggiore preoccupazione nelle cancellerie europee. Ed è un problema per Giorgia Meloni che aveva stupito, positivamente, tutti nei primi due anni di mandato per la fermezza nel tenere fermo l’atlantismo del governo italiano.

L’alibi dei complotti

C’è la manovra, la polemica sulla tasse - che sono al 42,6%, mai stata così alte - la questione dei dossieraggi (anche ieri un post della premier sull’inchiesta a Bari sul dipendente ormai ex di Banca Intesa che ha spiato nei cc dei clienti fra cui la famiglia Meloni e Crosetto), l’autonomia regionale, la cittadinanza. Sono troppi i fronti da tenere a bada. Se si aggiunge anche la politica estera diventa tutto ancora più complicato. E per governare non basterà più, alla premier, chiudersi nel bunker e usare come unica arma quella del vittimismo e del complotto.  

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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